La terra dove io ora sono diretto si chiama “Capo Comorin”. Voglia Iddio, Nostro Signore, considerare il merito delle vostre preghiere e non guardare i miei infiniti peccati, e darmi quindi la Sua Grazia Santa, così che possa fare molto per Lui in queste regioni.
I mali di una lunga navigazione e l’apprensione di tante miserie spirituali intorno a noi, e altre mie miserie ancora da risanare, dover dimorare in una terra tanto dedita al peccato e all’idolatria, così opprimente per chi l’abita, col calore e l’afa che sempre vi incombe: tutte queste sofferenze sono un grande conforto quando si abbracciano per amore di Dio, sorgente di copiose consolazioni.
Coloro che portano la croce di Cristo, Nostro Signore, trovano, ne sono certo, il loro riposo quando incontrano questi patimenti e si sentono morire quando invece se ne vedono privi.
Che morte indicibile è vivere disertando il Cristo, per chi l’ha conosciuto, seguendo i propri affetti. Non c’è tristezza più grande di questa. Al contrario, com’è soave vivere morendo ogni giorno, facendo tutto il contrario dei nostri desideri, cercando “non quae nostra sunt, sed quae Jesu Christi”… (Fil 2,21).
Confido per i meriti della Chiesa santa, nostra Madre, che Nostro Signore vorrà graziosamente usare di questo inutile strumento per piantare la fede tra i pagani. Grande confusione ne verrà ai capaci di grandi cose, grande coraggio ai paurosi: questi vedranno che, per quanto io sia di polvere, per quanto io sia una vilissima creatura, pure ho la sorte di servire Iddio e di poter personalmente testimoniare del bisogno che c’è quaggiù di missionari, ed io vorrei essere null’altro che il servo perpetuo di tutti coloro che volessero venire in queste terre a lavorare nell’immenso campo di Dio.
Goa, 20 settembre 1542. San Francesco Saverio
(*) Nella Pescheria, tratto di costa sud-orientale dell’India.