Madeleine Delbrêl (1904-1964) è stata una mistica, poetessa e assistente sociale francese, riconosciuta venerabile dalla Chiesa cattolica.
Nata a Mussidan, in Dordogna (Francia), da un padre operaio e una madre di origine borghese, trascorse l’adolescenza nell’agnosticismo, dichiarandosi atea all’età di quindici anni.
A 17 anni scrisse un testo intitolato “Dio è morto… viva la morte”, di straordinaria lucidità.
A diciott’anni, Madeleine si innamorò di Jean, un ragazzo alto, sportivo, serio, con molti interessi, impegnato sia culturalmente che spiritualmente. Sembravano fatti l’uno per l’altra, tanto che tutti li consideravano una coppia perfetta. All’improvviso, però, Jean scomparve: Madeleine scoprì con dolore che era entrato nel noviziato dei domenicani, una scelta che segnò una separazione definitiva. Confusa e ferita, il suo anticlericalismo si riaccese con forza. Intanto, in famiglia la sofferenza cresceva: suo padre, un poeta mancato, perse la vista e, sopraffatto dalla disperazione, si aggirava per le strade in lacrime come un vagabondo.
“In quel momento», confessa, “avrei dato tutto l’universo, pur di sapere che cosa ci facevo dentro!”.
“Cento mondi, ancora più disperati di quello in cui vivevo, non mi avrebbero fatto vacillare, se mi avessero proposto la fede come consolazione”.
La Conversione
Nel 1924, la sua conversione, probabilmente facilitata dal ricordo di Jean e degli amici credenti che aveva incontrato, avvenne anche grazie all’incontro con l’abbé Jacques Lorenzo. Il ricordo della “bella umanità” di Jean e di altri amici conosciuti in quel periodo felice le fece vedere un aspetto della vita che non aveva mai considerato:
“Non erano né più vecchi, né più stupidi, né più idealisti di me, che vivevano la mia stessa vita, discutevano quanto me, danzavano quanto me. Anzi, avevano al loro attivo alcune superiorità: lavoravano più di me, avevano una formazione scientifica e tecnica che io non avevo, convinzioni politiche che io non avevo… Parlavano di tutto, ma anche di Dio che pareva essere a loro indispensabile come l’aria. Erano a loro agio con tutti, ma – con una impertinenza che arrivava fino a scusarsene – mescolavano in tutte le discussioni, nei progetti e nei ricordi, parole, idee, messe a punto di Gesù Cristo. Cristo avrebbero potuto invitarlo a sedersi, non sarebbe sembrato più vivo…”.
La sua conversione fu rapida e radicale: passò un anno e mezzo a leggere l’Antico e il Nuovo Testamento. “Triste, angosciata, inquieta… decisi di pregare… non potevo più lasciare Dio nell’assurdo”.
“A vent’anni fui letteralmente ‘abbagliata da Dio. Ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro”. “È l’abate Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da vivere”.
Da “Dio è morto, viva la morte!” a “Dio vive, viva la vita!”
Danza, poesia, musica, letteratura, teatro, filosofia… “Ormai considero la vita come i preludi delle splendide sonate che si aspettano in seguito. Nel preludio è già contenuta tutta la loro potente ricchezza”. Ora che vedeva la vita in questo modo, “ogni minuto acquista un’importanza singolare”.
Nel 1925, provò a pensare alla vita monastica, al Carmelo. Rinunciò anche per poter assistere i suoi genitori malati. Ma se il Carmelo non era possibile, allora ne seguiva inevitabilmente la conclusione che il mondo doveva diventare il suo Carmelo, il suo monastero.
Prega molto, si applica a vivere il Vangelo. Ed è lasciandosi plasmare, trasformare dal Vangelo che Madeleine trova quella che potrà essere la sua strada.
Con una ventina di ragazze del gruppo scout (il cappellano è l’abbé Lorenzo) nel quale si è immersa completamente (1926), passa poi a formare un gruppo chiamato “Carità”, in ricordo dell’impresa di san Vincenzo de’ Paoli che aveva dato questo nome alle comunità di donne che si prendevano cura dei malati e degli emarginati. Ha un solo progetto chiaro: “Essere volontariamente di Dio, quanto una creatura umana può volere appartenere a colui che ama. Essere volontariamente proprietà di Dio, nella stessa maniera totale, esclusiva, definitiva, pubblica con cui lo diviene una religiosa che si consacra a Dio”. In altre parole: ciò che di più profondo c’è nel sacramento del matrimonio e ciò che di più totale c’è nella vocazione religiosa, ella vuole viverlo nel mondo. A tale scopo, la scelta della verginità è indiscutibile (e ciò rende necessario anche un orientamento contemplativo), ma ella vivrà tutto ciò senza allontanarsi dal mondo.
“Far calare i consigli evangelici nella vita laica, votarsi cioè alle beatitudini in un dono totale di sé, non per vivere tagliata fuori dal mondo ma nel mondo”.
Nel 1930, le persone destinato a vivere nei bassifondi delle città erano principalmente poveri e operai, il vero proletariato, soggetti a sfruttamento. Questi individui riponevano nel marxismo le proprie speranze di riscatto. Erano “poveri che non sono soltanto fratelli da amare come fratelli ma come i nostri padroni perché il povero è il nostro Signore”.
Nel 1933, pur rimanendo laica, Madeleine decide di consacrarsi al Signore. Il 15 ottobre, festa di Santa Teresa d’Avila, parte per Ivry-sur-Seine insieme a due compagne, Hélène e Suzanne. Prima di salire sul tram per Ivry, alcuni amici le salutano con fiori e auguri, mentre le tre donne portano con sé una statua della Vergine Maria.
Ivry, profondamente segnata dalla rivoluzione industriale, è una città di estrema povertà e “capitale politica del Partito Comunista Francese” e sede del segretario generale del partito. Sulle strutture pubbliche sventola la bandiera rossa al posto del tricolore, e i muri sono coperti di manifesti che promuovono film sovietici, conferenze ideologiche, battesimi civili e celebrazioni laiche. L’amministrazione comunale favorisce gli iscritti al partito per alloggi e impieghi, e ci si saluta con il pugno alzato.
Inizialmente, Madeleine e le sue compagne optano quindi per abiti comuni per integrarsi meglio con la gente. Si trasferiscono all’11 di Rue Raspail, lasciando l’alloggio gratuito offerto dalla parrocchia per evitare di essere assorbite completamente dagli impegni ecclesiali.
Dopo un’iniziale diffidenza, l’amministrazione comunista le offre un lavoro come assistente sociale. Madeleine accetta e, giorno dopo giorno, entra in contatto con la miseria e l’ingiustizia che il marxismo denuncia.
Alla luce del Vangelo, meditato quotidianamente, Madeleine sviluppa una chiara distinzione tra l’ideologia marxista, che rifiuta con fermezza, e le persone concrete, che considera degne di attenzione e amore, indipendentemente dalla loro appartenenza politica. Sceglie di lottare al fianco dei comunisti per difendere i poveri e la giustizia sociale, senza però confondere l’emancipazione del proletariato con l’ideale evangelico.
Convinta che «Dio non ha mai detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso, eccetto i comunisti», riconosce che questi ultimi sono, di fatto, il suo prossimo più immediato e, per questo, meritevoli di rispetto e vicinanza. Tuttavia, si ferma solo quando si scontra con il problema della violenza, che percepisce come un ostacolo insormontabile rispetto al messaggio evangelico di pace e riconciliazione.
La missione è in strada, lo riassume in un testo del 1938:
Noi delle strade
(M.Delbrel, Nous autres gens de la rue, pubblicato in Etudes carmélitaines, XXIII, 1938, vol. I, p.32 ss.)
Ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito, ma c’è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi. C’è gente che Dio prende e mette da parte. Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine, che non «ritira dal mondo». E’ gente che fa un lavoro ordinario, che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe. Gente che ha malattie ordinarie, lutti ordinari. Gente che ha una casa ordinaria, vestiti ordinari. E’ la gente della vita ordinaria. Gente che s’incontra in una qualsiasi strada. Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via, come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta che si è rinchiusa definitivamente dietro di loro. Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca, perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato.
Il silenzio
Il silenzio non ci manca, perché lo abbiamo. Il giorno in cui ci mancasse, significherebbe che non abbiamo saputo prendercelo. Tutti i rumori che ci circondano fanno molto meno strepito di noi stessi. Il vero rumore è l’eco che le cose hanno in noi. Non è il parlare che rompe inevitabilmente il silenzio. Il silenzio è la sede della Parola di Dio, e se, quando parliamo, ci limitiamo a ripetere quella parola, non cessiamo di tacere. I monasteri appaiono come i luoghi della lode e come i luoghi del silenzio necessario alla lode. Nella strada, stretti dalla folla, noi disponiamo le nostre anime come altrettante cavità di silenzio dove la Parola di Dio può riposarsi e risuonare. In certi ammassi umani dove l’odio, la cupidigia, l’alcool segnano il peccato, conosciamo un silenzio da deserto e il nostro cuore si raccoglie con una facilità estrema perché Dio vi faccia risuonare il suo nome: «Vox clamans in deserto».
Solitudine
A noi gente della strada sembra che la solitudine non sia l’assenza del mondo ma la presenza di Dio. E’ l’incontrarlo dovunque che fa la nostra solitudine. Essere veramente soli è, per noi, partecipare alla solitudine di Dio. Egli è così grande che non lascia posto a nessun altro, se non in lui. Il mondo intero è come un faccia a faccia con lui dal quale non possiamo evadere. Incontro della sua causalità viva dove le strade si intersecano accese di movimento. Incontro con la sua orma sulla terra. Incontro della sua Provvidenza nelle leggi scientifiche. Incontro del Cristo in tutti questi «piccoli che sono suoi»: quelli che soffrono nel corpo, quelli che sono presi dal tedio, quelli che si preoccupano, quelli che mancano di qualcosa. Incontro con il Cristo respinto, nel peccato dai mille volti. Come avremmo cuore di deriderli o di odiarli, questi infiniti peccatori ai quali passiamo accanto? Solitudine di Dio nella carità fraterna: il Cristo che serve il Cristo; il Cristo in colui che serve, il Cristo in colui che è servito. L’apostolato come potrebbe essere per noi una dissipazione o uno strepito?
Il quotidiano e la periferia
La santificazione del quotidiano ha avuto promotori eccezionali, come Santa Teresina di Lisieux e Charles de Foucauld. In Italia, Pier Giorgio Frassati (morto nel 1925) e il beato Alberto Marvelli hanno rappresentato figure significative, mentre più tardi Chiara Lubich fondò il Movimento dei Focolari. In Spagna, Josemaría Escrivá de Balaguer fondò l’Opus Dei nel 1928, promuovendo la santificazione del lavoro quotidiano. In Francia, Madeleine Delbrêl ha rinnovato la condizione laicale, introducendo una sorta di “monachesimo metropolitano”, offre una nuova visione della missione urbana, sostituendo l’immagine tradizionale del missionario vestito di bianco in terre lontane con un’immagine di un missionario tra la folla metropolitana.
C’era il rischio di diventare una attivista o una progressista la cui azione era solo verticale, che la preghiera e il Vangelo hanno sventato perchè Madeleine era nel mondo ma non del mondo.
“Il missionario, in abito o giacca o in impermeabile, dall’alto di una scalinata del metrò, vede di gradino in gradino, nell’ora di punta, una distesa di teste, distesa che freme aspettando l’apertura dei cancelli: una distesa di baschi, berretti, cappelli, copricapo di tutti i colori. Centinaia di teste, centinaia di anime. E noi lì in alto. E, più in alto, dappertutto, Dio…”.
«Ogni piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso e in cui possiamo dare il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto questo non è che la scorza di una realtà splendida: l’incontro dell’anima con Dio, incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia, sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Una informazione?… Eccola: è Dio che viene ad amarci. È l’ora di mettersi a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare».
La preghiera nel quotidiano è espressa così:
«Signore, i miei occhi, le mie mani, la mia bocca sono tuoi. / Questa donna così triste davanti a me: ecco la mia bocca perché tu le sorrida. / Questo bambino quasi grigio, tanto è pallido: ecco i miei occhi perché tu lo guardi. / Quest’uomo così stanco: ecco tutto il mio corpo perché tu gli lasci il mio posto, ed ecco la mia bocca perché tu gli dica dolcemente: “Sedetevi”. / Questo ragazzo così fatuo, così sciocco, così duro, ecco il mio cuore perché tu lo ami, più di quanto non lo sia mai stato…».
Citandosi anche san Giovanni della Croce, Delbrêl spiegava: «Si semina Dio all’interno del mondo, sicuri che germoglierà da qualche parte, perché: “Dove non c’è amore, mettete amore e raccoglierete amore”.»
In merito alla preghiera, scriveva: «Senza la preghiera, non ameremmo il Dio d’amore. Saremmo forse i suoi servitori, i suoi combattenti, perfino i suoi discepoli; ma non saremmo né dei bambini che amano il Padre, né gli amici o gli innamorati di Gesù Cristo. Qualunque sia la forma della preghiera, è attraverso di essa che incontriamo il Dio vivo, il Cristo vivo.»
I riferimenti a Charles de Foucauld e Teresa di Lisieux mettono in evidenza che, pur essendo laiche e semplici cristiane, vivevano in piena fedeltà ai precetti del Vangelo. Non erano interessate a fare voti, ma a mettere al centro della loro vita il Vangelo, con una condizione di vita da salariate, senza ambizione di carriera. Vivere in comune, con preferenza per incarichi modesti, senza aspirare alla ricchezza, divenne il loro modo di essere testimoni della santità nel quotidiano.
L’Occidente come terra di missione
Già ai suoi tempi si avvertivano i primi segni della secolarizzazione e scristianizzazione della Francia (e dell’Occidente intero). Dai suoi scritti, Madeleine Delbrêl suggerisce di annunciare il Vangelo vivendolo a pieno nel quotidiano, accettando di viverlo nella solitudine, nel deserto della città e delle periferie atee. Invita anche a scommettere su un nascondimento simile a quello vissuto da Charles de Foucauld.
Con le sue sorelle di fede, Madeleine vive da laica il suo battesimo: «Noi siamo veramente laiche, non abbiamo altri voti se non le promesse del nostro battesimo. Siamo un gruppo di donne laiche, anche se ciascuna di noi si è donata interamente a Cristo per tentare di vivere e di stare in mezzo a coloro che non lo conoscono».
«Avrei voluto unicamente appartenere interamente ed esclusivamente a Gesù, Nostro Signore e nostro Dio; avrei voluto provare a vivere il suo Vangelo, essere completamente disponibile alla sua volontà, nel più intimo della Chiesa e per la salvezza dell’uomo… Avrei voluto che ciò bastasse a spiegare tutto».
La casa in rue Raspail è, in quegli anni, una casa viva: sempre aperta al quartiere, accogliente con gli immigrati (che siano italiani, algerini o profughi spagnoli), pronta a sostenere chi sciopera, a raccogliere le firme contro la scelta americana di mettere a morte i coniugi Rosenberg, ad aderire alle campagne di Pax Christi. La casa vuole essere il segno di quelle “piccole comunità secondo il Vangelo” che rappresentavano la risposta al desiderio di vita e di Vangelo del tempo.
Madeleine, negli anni Cinquanta, viene invitata spesso a parlare della sua testimonianza in vari gruppi («mi sento un commesso viaggiatore della Parola», scrive un giorno); gli appunti dei suoi interventi, minuziosamente preparati, insieme alle numerose lettere, costituiscono una documentazione preziosa che testimonia lo sviluppo del suo pensiero e del suo cammino spirituale.
Negli anni Cinquanta, Madeleine soffre molto per le tensioni sorte a proposito dell’esperienza dei preti-operai. Si inquieta per le imprudenze di alcuni di loro, ma anche per il rifiuto pregiudiziale che certi ambienti ecclesiastici dimostrano per questo nuovo tipo di missione. Quando l’esperienza viene bloccata da Roma, ne è rattristata, ma invita tutti i suoi amici all’obbedienza filiale verso la Chiesa e li incoraggia a mantenere viva la speranza.
Il mio augurio è che siate veramente libere
Madeleine muore il 13 ottobre 1964. Tra i suoi consigli più preziosi, lascia: «Leggere il Vangelo – tenuto dalle mani della Chiesa – come si mangia il pane». «Vi lascio un parere: non sia il mio ricordo a farvelo seguire… poiché il mio augurio è che voi siate veramente liberi».
Opera omnia
- Abbagliata da Dio. Corrispondenza 1910-1941, presentazione di Enzo BIANCHI, Gribaudi, Milano 2007 (OC 1).
- Insieme a Cristo per le strade del mondo. Corrispondenza 1942-1952, Gribaudi, Milano 2008 (OC 2).
- Professione assistente sociale. Scritti professionali, Gribaudi, Milano 2009 (OC 5).
- Umorismo nell’Amore. Meditazioni e fantasie, Gribaudi, Milano 2011 (OC 3).
- Città marxista terra di Missione, nuova traduzione, Gribaudi, Milano 2015 (OC 11).
- La santità della gente comune, Gribaudi, Milano 2020 (OC 7).
Antologie
- Noi delle strade, Gribaudi, Torino 1969; 1988 [NS].
- Che gioia credere, Gribaudi, Torino 1970; La gioia di credere, Gribaudi, Torino 1988 [GC].
- Comunità secondo il Vangelo, Morcelliana, Brescia 1976; Gribaudi, Torino 19964 [CV]
- Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Gribaudi, Torino 1990.
- Indivisibile Amore. Pensieri di una cristiana controcorrente, Piemme, Casale Monferrato 1994 [IA].
- È stato il mondo a farci così timidi? Uno scritto inedito, Berti, Piacenza 1999.
- Missionari senza battello. Le radici della missione, Messaggero, Padova 2004.
- Chiesa ateismo evangelizzazione, GUASCO,M. (a cura di), Ed. Esperienze, Fossano (CN) 2005.
- Il Rosario. Meditare i misteri di Cristo, Gribaudi, Milano 2018.
- Tu esistevi e io non lo sapevo. I testi più belli, Gribaudi, Milano 2022.
Biografie
TOMASI, Wanda, Vivere Dio qui e ora, Paoline, Roma 2023, 128 pp.
BOISMARMIN, Christine De, Madeleine Delbrêl (1904-1964). Strade di città, sentieri di Dio, Città Nuova, Roma 1988.
GUÉGUEN, Jean, Madeleine Delbrêl. Una mistica nel mondo, Massimo, Milano 1997.
MANN, Charles F., Madeleine Delbrêl. Una vita senza frontiere, Gribaudi, Torino 2004.
FRANÇOIS Gilles – PITAUD Bernard, Madeleine Delbrêl. Biografia di una mistica tra poesia e impegno sociale, Bologna 2014.
COMUNITA DELLE SORELLE DEL SIGNORE (a cura di), L’audacia del Vangelo, Centro Ambrosiano, Milano 2023
Di LORENZO, Maria Amata, Il cielo in una strada. Madeleine Delbrêl, Edizioni Immacolata, Borgonuovo (Bologna) 2023, 112 pp.
Il ballo dell’obbedienza
(M.DelBrel, Vie spiritelle, 1946, novembre, pp. 195 ss.)
“Noi abbiamo suonato il flauto e voi non avete danzato”
E’ il 14 luglio Tutti si apprestano a danzare. Dappertutto, dopo mesi, dopo anni, il mondo danza Ondate di guerra, ondate di ballo.
C’è proprio molto rumore. La gente seria è a letto. I religiosi recitano il mattutino di sant’Enrico, re. E io, penso All’altro re. Al re Davide che danzava davanti all’Arca.
Perché se ci sono molti santi che non amano danzare Ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare, Tanto erano felici di vivere: Santa Teresa con le sue nacchere, San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia, E san Francesco, davanti al papa.
Se noi fossimo contenti di te, Signore, Non potremmo resistere A questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo, E indovineremmo facilmente Quale danza ti piace farci danzare Sposando i passi che la tua Provvidenza ha segnato.
Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza Della gente che, sempre, parla di servirti con l’aria da capitano, Di conoscerti con aria da professore, Di raggiungerti con regole sportive, Di amarti come ci si ama in un matrimonio invecchiato.
Un giorno in cui avevi un po’ voglia d’altro Hai inventato san Francesco, E ne hai fatto il tuo giullare. Spetta a noi ora di lasciarci inventare Per essere gente allegra che danza la propria vita con te.
Per essere un buon danzatore, con te come con tutti, Non occorre sapere dove la danza conduce. Basta seguire, Essere gioioso, Essere leggero, E soprattutto non essere rigido.
Non occorre chiederti spiegazioni Sui passi che ti piace fare. Bisogna essere come un prolungamento, Vivo ed agile, di te. E ricevere da te la trasmissione del ritmo che l’orchestra scandisce.
Non bisogna volere avanzare a tutti i costi, Ma accettare di girarsi, di andare di fianco. Bisogna sapersi fermare e sapere scivolare invece di camminare. Ma non sarebbero che passi senza senso Se la musica non ne facesse un’armonia.
Ma noi dimentichiamo la musica del tuo Spirito, E facciamo della nostra vita un esercizio di ginnastica; Dimentichiamo che fra le tue braccia la vita è danza, Che la tua Santa Volontà E’ di una inconcepibile fantasia, E che non c’è monotonia e noia Se non per le anime vecchie, Che fanno tappezzeria Nel ballo gioioso del tuo amore.
Signore, Vieni a invitarci. Siamo pronti a danzarti questa corsa da fare, Questi conti, il pranzo da preparare, questa veglia in cui avremo sonno. Siamo pronti a danzarti la danza del lavoro, Quella del caldo, e quella del freddo, più tardi. Se certe arie sono spesso in minore, non ti diremo Che sono tristi; Se altre ci fanno un poco ansimare, non ti diremo Che sono logoranti. E se qualcuno ci urta, la prenderemo in ridere; Sapendo bene che questo capita sempre quando si danza.
Signore, insegnaci il posto Che tiene, nel romanzo eterno Avviato fra te e noi, Il ballo singolare della nostra obbedienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni; In essa quel che tu permetti Dà suoni strani Nella serenità di quel che tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno la nostra condizione umana Come un vestito da ballo che ci farà amare da te, tutti i suoi dettagli Come indispensabili gioielli.
Facci vivere la nostra vita, Non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, Non come una match dove tutto è difficile, Non come un teorema rompicapo, Ma come una festa senza fine in cui l’incontro con te si rinnova, Come un ballo, Come una danza, Fra le braccia della tua grazia, Nella musica universale dell’amore.
Signore, vieni a invitarci.
Spiritualità della bicicletta
(M.Delbrel, La gioia di credere, Ed. Gribaudi, pp. 84-85)
“Andate…” dici a ogni svolta del Vangelo. Per essere con Te sulla Tua strada occorre andare anche quando la nostra pigrizia ci scongiura di sostare.
Tu ci hai scelto per essere in un equilibrio strano. Un equilibrio che non può stabilirsi né tenersi se non in movimento, se non in uno slancio.
Un po’ come in bicicletta che non sta su senza girare, una bicicletta che resta appoggiata contro un muro finché qualcuno non la inforca per farla correre veloce sulla strada.
La condizione che ci è data è un’insicurezza universale, vertiginosa. Non appena cominciamo a guardarla, la nostra vita oscilla, sfugge.
Noi non possiamo star dritti se non per marciare, se non per tuffarci, in uno slancio di carità.
Tutti i santi che ci sono dati per modello, o almeno molti, erano sotto il regime delle Assicurazioni, una specie di Società assicurativa spirituale che li garantiva contro rischi e malattie, che prendeva a suo carico anche i loro parti spirituali. Avevano tempi ufficiali per pregare e metodi per fare penitenza, tutto un codice di consigli e di divieti.
Ma per noi è in un liberalismo un poco pazzo che gioca l’avventura della tua grazia. Tu ti rifiuti di fornirci una carta stradale. Il nostro cammino si fa di notte. Ciascun atto da fare a suo turno s’illumina come uno scatto di segnali. Spesso la sola cosa garantita è questa fatica regolare dello stesso lavoro ogni giorno da fare della stessa vita da ricominciare degli stessi difetti da correggere delle stesse sciocchezze da non fare.
Ma al di là di questa garanzia tutto il resto è lasciato alla tua fantasia che vi si mette a suo agio con noi.
Liturgia Laica
(M.Delbrel, Il piccolo monaco, P.Gribaudi editore, Torino, 1990)
Tu ci hai condotto stanotte in questo bar che ha nome “chiaro di luna”. Volevi esserci Tu, in noi, per qualche ora, stanotte. Tu avevi voglia di incontrare, attraverso le nostre povere sembianze, attraverso il nostro miope sguardo, attraverso i nostri cuori che non sanno amare, tutte queste persone venute ad ammazzare il tempo.
E poiché i tuoi occhi si svegliano nei nostri, il tuo cuore si apre nel nostro cuore, noi sentiamo il nostro labile amore aprirsi in noi come una rosa espansa, approfondirsi come un rifugio immenso e dolce per tutte queste persone, la cui vita palpita intorno a noi.
Allora il bar non è più un luogo profano, quell’angolo di mondo che sembrava voltarti le spalle. Sappiamo che, per mezzo di Te, noi siamo diventati la cerniera di carne, la cerniera di grazia, che lo costringe a ruotare su di sé , a orientarsi suo malgrado, e in piena notte, verso il Padre di ogni vita.
In noi si realizza il sacramento del tuo amore. Ci leghiamo a Te con tutta la forza della nostra fede oscura, ci leghiamo a loro con la forza di questo cuore che batte per Te, Ti amiamo, li amiamo, perché si faccia di noi tutti una cosa sola.
In noi, attira tutto a Te… Attira il vecchio pianista, dimentico del posto in cui si trova e suona soltanto per la gioia di suonare bene; la violinista che ci disprezza e offre in vendita ogni colpo d’archetto, il chitarrista e quello che suona la fisarmonica che fan della musica senza saperci amare. Attira quest’uomo triste, che ci racconta storie cosiddette gaie; attira il bevitore che scende barcollando la scala del primo piano; attira questi esseri accasciati, isolati dietro un tavolo e che sono qui soltanto per non essere altrove; attirali in noi perché incontrino Te, Tu, il solo che ha diritto di avere pietà. Dilataci il cuore, perché vi stiano tutti; incidili in questo cuore, perché vi rimangano iscritti per sempre.
Tu fra poco ci condurrai Sulla piazza ingombra di baracconi da fiera. Sarà mezzanotte o più tardi. Soli resteranno sul marciapiede Quelli per cui la strada è il focolare, quelli per cui la strada è la bottega. Che i sussulti del Tuo cuore affondino i nostri Più a fondo dei marciapiedi, perché i loro tristi passi camminino sul nostro amore e il nostro amore gl’impedisca di sprofondare più a fondo nello spessore del male.
Resteranno, intorno alla piazza, tutti i mercanti di illusioni, venditori di false paure, di falsi sports, di fase acrobazie, di false mostruosità. Venderanno i loro falsi mezzi di uccidere la noia, quella vera, che rende simili tutti i volti scuri. Facci esultare nella Tua verità e sorridere loro Un sorriso sincero di carità. Più tardi saliremo sull’ultimo metrò. Delle persone vi dormiranno. Porteranno impresso su di sé Un mistero di pena e di peccato. Sulle banchine delle stazioni quasi deserte, anziani operai, deboli, disfatti, aspetteranno che i treni si fermino per lavorare e riparare le vie sotterranee.
E i nostri cuori andranno sempre dilatandosi, sempre più pesanti del peso di molteplici incontri, sempre più grevi del Tuo amore, impastati di Te, popolati dai nostri fratelli, gli uomini. Perché il mondo Non sempre è un ostacolo a pregare per il mondo. Se certuni lo devono lasciare per trovarlo E sollevarlo verso il cielo, altri visi devono immergere per levarsi con lui verso il medesimo cielo. Nel cavo dei peccati del mondo Tu fissi loro un appuntamento: incollati al peccato, con Te essi vivono un cielo che li respinge e li attira. Mentre Tu continui A visitare in loro la nostra scura terra, con Te essi scalano il cielo, votati a un’assunzione pesante, inguaiati nel fango, bruciati dal Tuo spirito, legati a tutti, legati a Te, incaricati di respirare nella vita eterna, come alberi con radici che affondano.
Tratto da AAVV, La solitudine, AVE (Roma 1966): In una città comunista, quello che può colpirci più sensibilmente è spesso la scomparsa di un Dio fin allora manifesto, apparente per noi. Questa scomparsa ha per emblema una totale “inutilità” di Dio che esplode nella vita dei comunisti ed in quella della città in quanto tale. Come corollario a questo stato di cose si verifica un’ “epifania” dell’uomo, del suo valore, della sua potenza, del suo destino collettivo. Perché se un ambiente comunista tutto particolare come per esempio quello di Ivry (con responsabili nazionali, regionali e locali, tutti dottrinalmente formati secondo il grado delle loro responsabilità) è la dimostrazione, ad un tempo, di virtù umane indispensabili e di una efficacia umana in pieno lavorio, sembra che non ci si curi affatto di Dio, ed è come se Dio non mancasse a nessuno ed a nessuna cosa. Un tale ambiente può metterci in una tentazione nella quale non riconosciamo la prova . Tentazione tanto più forte in quanto possiamo man mano vedere, con gli occhi dei nostri compagni e dei nostri amici, quelli che altre volte erano per noi segni di Dio. Questi segni ci appaiono allora illeggibili per colui che non sa in anticipo ciò che essi vogliono dire. Nello stesso tempo, nonostante i più grandi affetti, ci accorgiamo di diventare estranei agli altri proprio per la fede che ce li fa amare sempre di più. Può accadere, a questo punto, che noi accusiamo apertamente o sottovoce la fede di essere estranea al nostro mondo. E’ una grande sofferenza. Se non vediamo, sotto le apparenze della tentazione, la prova necessaria, possiamo soccombere molto facilmente. Ma se, al contrario, crediamo in colui che, avendoci chiamati, “è fedele”; se ci lasciamo ammaestrare da lui, egli ci dirà in questo caso ciò che abbiamo dimenticato, ciò che non abbiamo mai saputo per essere dei convertiti viventi: “La fede è un dono di Dio”. La fede, dono di Dio, estranea al mondo, è data al mondo. Credere è stabilire, tra la fede e il mondo, un’alleanza eterna: se essa fa sorgere dei fedeli, non si tratta di una fedeltà di sangue, di patria o di persona, ma d’una fedeltà personale al Dio vivente che chiama ed al quale colui che è chiamato deve rispondere liberamente e sempre, col suo cuore di uomo libero. Alla chiamata, come alla risposta, è necessaria la solitudine; essa non è più tentazione, ma l’indispensabile punto di contatto con Dio. La preghiera rinsalda le sue radici. La nostra visione di ogni comunità nella Chiesa si trasforma. Gli alberi che debbono insieme formare una foresta vivono ciascuno delle sue radici solitarie. Impariamo che Dio, per proporci la fede, chiama ciascuno col suo nome, che la fede non è un privilegio dovuto all’eredità o alla nostra buona condotta, che essa è la grazia di sapere che Dio fa grazia; la grazia di essere, nel mondo, votati col Cristo alla sua missione di redenzione. Messi di nuovo in stato di conversione, impariamo che la fede nel Figlio di Dio e nel Figlio dell’uomo ci lega indissolubilmente a Dio che la dona e all’uomo, all’uomo della creazione, all’umanità tutta intera. Perché anche noi possiamo dire di essere “uno per tutti”. E’ per tutti che ciascuno di noi riceve la fede. La solitudine in cui Dio ci ha spinti ci rende consapevolmente solidali con ogni uomo che viene in questo mondo, con tutte le nazioni che Cristo convocherà nell’ultimo giorno.