Petros eni. Il mistero della tomba di San Pietro a Roma

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Image par NoName_13 de Pixabay

Quando su un libro di storia o di arte si parla della Basilica di San Pietro e si legge che lì ci sono i resti di San Pietro, primo Papa della Chiesa Cattolica, chi non è uno studioso può lecitamente chiedersi come si possa esserne certi e che prove vi siano.

Le prove storiche e archeologiche

Le fonti cristiane dei primi secoli, l’archeologia e l’epigrafia, confermano un dato che non può ancora essere ignorato o messo in discussione: la tomba e le ossa sotto la Basilica Vaticana appartengono all’Apostolo.

Le due visite di Pietro a Roma

Pietro va a Roma due volte, nel 42 e nel 62 d.C.

42 d.C.: all’inizio del regno di Claudio, Pietro sfugge all’arresto di Agrippa I e “se ne va e si mette in viaggio per un altro luogo” (At 12,17). Fonti cristiane autorevoli del II secolo, come Papia di Gerapoli (Eusebio, Historiae ecclesiasticae II, 15; III, 39.15) e Clemente di Alessandria (Eusebio, Historiae ecclesiasticae VI, 4.6; fr. 9 Stahelin), collegano questo evento con la predicazione del Vangelo che Marco, su richiesta dei Romani, mette per iscritto dopo la partenza di Pietro. In questo contesto, Roma è menzionata come destinazione dell’Apostolo, identificata con il nome di Babilonia (cfr. Ezechiele 12,3; 13,13).

Il termine Babilonia è usato nello stesso modo in 1 Pt 5,13, come crittogramma per Roma. L’uso di un crittogramma, come è stato giustamente osservato, rivela l’antichità degli Atti degli Apostoli e l’autenticità della Prima Lettera di Pietro, entrambi scritti certamente mentre Pietro è ancora vivo e presente a Roma.

La prima lettera e la morte di Pietro

62 d.C.: Pietro scrive la sua prima lettera e subisce il supplizio della croce, in seguito all’incendio di Roma attribuito a Nerone. Il 62 segna il momento della svolta neroniana: la Prima Lettera di Pietro riflette il clima ormai mutato nell’impero, anticipando l’imminenza di una persecuzione. Da qui il ricorso a un crittogramma, volto a nascondere alla polizia imperiale la presenza dell’Apostolo a Roma. Nerone decide di applicare, forse già nel 63, l’antico senatoconsulto che dichiara il cristianesimo illecito. Contemporaneamente, in Giudea, vengono recepite le accuse contro i discepoli di aver sottratto il corpo di Cristo dal sepolcro, accuse formalizzate con il cosiddetto editto di Nazareth e che, secondo Matteo, sono ancora vive tra i Giudei del suo tempo. Nel 64, infine, per distogliere da sé l’accusa dell’incendio di Roma, Nerone incolpa i cristiani, facendone mettere a morte una multitudo ingens fra atroci sofferenze nei giardini neroniani sul Vaticano (Tacito, Annali XV, 44).

Il martirio di Pietro e il suo significato per la Chiesa

Il confronto tra Tacito e Clemente Romano (1 Cor 5: poly plethos) mostra che Pietro fu giustiziato insieme ad altri cristiani, il cui supplizio Nerone trasformò in uno spettacolo, un circense ludicrum. Questo evento si colloca nel 64 d.C., e non nel 67, come talvolta sostenuto sulla base dell’attribuzione all’episcopato romano di Pietro dei 25 anni che la tradizione più antica riferisce al periodo compreso tra la crocifissione e Nerone. Durante questo arco di tempo, secondo Lattanzio, “i discepoli di Cristo pongono i fondamenti della Chiesa in tutte le province e città” (De mortibus persecutorum II, 4).

La trasformazione del supplizio in spettacolo, descritta da Tacito con il riferimento a uomini dilaniati dai cani (ferarum tergis contecti), altri crocifissi e bruciati vivi (crucibus adfixi atque flammati), e da Clemente con l’allusione alle donne cristiane camuffate da Dirci e Mènadi, suggerisce che tali atrocità avvennero durante giochi organizzati dall’imperatore in occasione di una festività particolare. Il contesto del circense ludicrum e la vicinanza temporale all’incendio di Roma rafforzano questa ipotesi. La Guarducci propone che tali giochi si svolsero durante le festività del 13 ottobre del 64, alcuni mesi dopo l’incendio, in un momento in cui il malcontento popolare contro Nerone era ancora diffuso, spingendolo forse a cercare capri espiatori. Inoltre, si deve considerare che nel 66 Nerone partì per la Grecia e che già nel 65, con la repressione della congiura di Pisone, fu impegnato a fronteggiare altre preoccupazioni.

Clemente associa alle numerose vittime anche Pietro e Paolo, indicando che i loro martirî avvennero in epoche molto vicine tra loro, sebbene Paolo sia stato ucciso poco prima per ragioni indipendenti dall’incendio.

La Chiesa Romana, del resto, ha sempre unito Pietro e Paolo nel martirio e nella venerazione, riconoscendoli come suoi cofondatori. A conferma di ciò, vi è un’iscrizione cristiana di Ostia (C.XIV, 566), pressoché contemporanea alla lettera di Clemente, che, secondo la storica Marta Sordi, risale all’epoca domizianea. L’iscrizione è dedicata da un membro della gens Annea, M. Anneus Paulus, al figlio carissimo M. Anneo Paulo Petro.

Nel II secolo, durante il pontificato di papa Zefirino (199-217), Gaio, un presbitero della Chiesa di Roma, entrò in polemica con Proclo, un eretico montanista che cercava di sminuire l’autorità della Chiesa di Roma, vantando la presenza in Asia Minore di importanti tombe d’età apostolica. Secondo quanto riportato da Eusebio di Cesarea nella sua Storia Ecclesiastica (Historiae ecclesiasticae, II, 25,7), Gaio replicò con queste parole: «Io posso mostrarti i trofei degli Apostoli. Se vorrai recarti in Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che hanno fondato questa Chiesa».


Le prove archeologiche e il lavoro di Margherita Guarducci

Margherita Guarducci è stata una grandissima epigrafista che, grazie a dati risultanti dalle fonti e alle conferme emergenti da un lavoro interdisciplinare, ha individuato la tomba e le reliquie di Pietro, confermandolo con i seguenti punti:

  • Sotto la Basilica costantiniana si trova un antico sepolcreto, risalente al I secolo d.C., cioè all’epoca del martirio dell’Apostolo. Si trattava di una necropoli pagana, che fu completamente interrata per creare il piano su cui fu poi costruita la Basilica. Questa decisione è molto significativa: l’imperatore Costantino distrusse una necropoli ancora in uso, un’azione grave, ma che fu compiuta perché la tomba di San Pietro, situata in quella zona, aveva un’importanza superiore.
  • Sotto il luogo nel quale, nell’attuale basilica, sorge l’altare papale, c’è un’edicola funeraria risalente al 160 circa d.C., identificata con il “trofeo” di cui parla Gaio.
    I trofei — spiega il professore — sono gli elementi monumentali trionfalistici e vittoriosi che segnalano la tomba di un apostolo martire che ha vinto la morte grazie al martirio.
  • Sul “muro rosso”, a cui l’edicola è addossata, c’è un graffito in greco databile alla stessa epoca dell’edicola, con le parole Petros eni, “Pietro è qui dentro”. Oppure, se si interpretano le due lettere come parte della parola eirene (pace in greco): “Pietro in pace”.
    (La Guarducci vide una foto su Il Messaggero e dalla Civiltà Cattolica e ottenne dal papa il permesso di esaminare il reperto). La studiosa riconobbe in modo inequivocabile il nome di Pietro, ripetuto più volte e spesso unito ai nomi di Cristo e di Maria, così come le lettere “PE” unite a formare una chiave, simbolo di Pietro, poiché Pietro era l’apostolo a cui il Signore aveva consegnato le chiavi del Regno dei Cieli.
  • Nel corso di una delle sue indagini, la Guarducci si accorse che dentro il “muro g” era stato ricavato un loculo foderato di marmo, Dunque, dentro l’altare costantiniano c’era un altro monumento più antico, del II secolo, una edicola funeraria. Nel pavimento di questa edicola c’era un chiusino che corrispondeva ad una tomba primitiva in terra, che non poteva essere altro che la tomba di Pietro, ma dentro non fu trovato assolutamente niente
  • Il cosiddetto “muro g”, vicinissimo all’edicola, è pieno di graffiti risalenti al III e IV secolo, che invocano, con un singolare sistema di crittografia mistica (applicando valori simbolici ad alcune lettere, congiungendo due o più lettere per esprimere concetti religiosi, trasfigurando lettere in simboli cristiani), i nomi di Cristo, Maria e Pietro, e rivelano la devozione dei pellegrini.
    venivano poi fatte delle allusioni alla chiave di Pietro, e poi si acclamava – questo è molto interessante, e confortante – alla comune vittoria di Cristo, Pietro e Maria

Il ritrovamento della tomba e delle ossa di San Pietro

Il luogo di sepoltura dell’apostolo Pietro è stato rinvenuto sotto la Basilica Vaticana, nei pressi degli antichi Horti appartenuti a Druso, Agrippina, Caligola e Nerone, lo stesso luogo dove si è consumato il suo martirio. Qui i primi pellegrini, attraverso graffiti, hanno lasciato testimonianze della loro profonda devozione.

Pietro fu sepolto in una semplice tomba scavata nella nuda terra, situata ai margini settentrionali di questi giardini. In origine, le sue ossa erano custodite sotto un’edicola del II secolo e, nel secondo decennio del IV secolo, l’imperatore Costantino decise di proteggere la tomba con una struttura muraria e, successivamente, nel 320, iniziò la costruzione della grandiosa basilica. Il suo fulcro coincide esattamente con il monumento che racchiudeva il sepolcro dell’apostolo, trasformandolo nel cuore spirituale della cristianità.

Se inizialmente vi fu certezza solo del ritrovamento della tomba di Pietro, la conferma del ritrovamento dei resti avvenne successivamente, studiando una cassa contenente ossa avvolte in un drappo di porpora intessuto d’oro purissimo, frammenti del quale furono ritrovati insieme ai resti. Le ossa appartenevano a un uomo adulto di sesso maschile, di età avanzata, stimata tra i 60 e i 70 anni.

La cassa giaceva ignota dal 1941, all’interno di un ripostiglio delle Grotte Vaticane, a seguito dei primi scavi di ricerca.


Gli scavi e gli altari attraverso i secoli

Sopra l’altare costantiniano, Papa Gregorio Magno (590-604) ha fatto costruire un nuovo altare agli inizi del VII secolo. Successivamente, nel 1123, Callisto II lo ha inglobato in un ulteriore altare, a sua volta sovrastato, nel 1594, dall’Altare della Confessione, eretto per volere di Clemente VIII. Quest’ultimo altare si trova esattamente sulla verticale del sepolcro dell’Apostolo, che è ombreggiato dal maestoso baldacchino in bronzo realizzato da Gian Lorenzo Bernini. Sopra di esso si apre la grandiosa cupola progettata da Michelangelo Buonarroti e completata da Giacomo Della Porta, il cui vertice coincide con un filo a piombo calato sulla tomba di Pietro, ancora oggi visibile e ammirata.

Non va dimenticato che, circa ottant’anni prima, Papa Giulio II ha ordinato la demolizione della basilica costantiniana per far posto a una nuova e imponente struttura. Anche in questa occasione, la centralità del sepolcro di Pietro è stata scrupolosamente rispettata: il culmine della cupola michelangiolesca, infatti, si trova esattamente al di sopra del luogo di sepoltura dell’apostolo.

La storia millenaria degli altari e del sepolcro di Pietro è venuta finalmente alla luce grazie agli scavi archeologici condotti tra il 1939 e il 1949, voluti da Papa Pio XII. Per la prima volta nella storia della Chiesa, un pontefice ha autorizzato un’indagine archeologica sotto l’altare maggiore della Basilica Vaticana. Nonostante le resistenze incontrate sia all’interno del Vaticano che al di fuori, Papa Pacelli ha deciso di portare avanti con determinazione questo ambizioso progetto per cercare prove definitive e fugare i dubbi che alcuni ambienti protestanti e circoli anticlericali avevano sollevato sulla presenza di Pietro a Roma e sul suo martirio.

Il 26 giugno 1968 Paolo VI annunziò pubblicamente l’avvenuto riconoscimento delle reliquie di Pietro.

Bibliografia

S. Mazzarino, L’impero romano, Laterza.
M. Guarducci, La tomba di Pietro, Roma 1959.
M. Sordi, Il cristianesimo e Roma, Cappelli, Bologna 1965.
M. Sordi, I cristiani e l’Impero Romano, Collana Di fronte e attraverso, Jaca Book, 1984.
M. Guarducci, La tomba di San Pietro: una vicenda straordinaria, Milano 1989.
C.P. Thiede, Simon Pietro della Galilea a Roma, trad. it., Milano 1999, p. 291 ss.
E. Grzybek, Les premiers chrétiens à Rome, in Neronia VI, Coll. Latomus, vol. 268, 2002, p. 565 ss.
AA.VV., Pietro: la storia, l’immagine, la memoria, Venezia 1999.

Paolo Botti

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