Quando e come Cristo affida il primato a Pietro? (Martinelli – n.7)

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Su quale base si fonda il primato di Pietro, e quindi del Papa?

Si fonda sulla volontà di Cristo stesso.

Dove appare tale volontà di Cristo?

Nelle pagine del Vangelo e in parte degli Atti degli Apostoli sono presenti “numerosi indizi” che manifestano la volontà di Cristo di attribuire a Pietro uno speciale rilievo all’interno del Collegio degli Apostoli. Ad esempio:

  • Egli è l’unico apostolo al quale Gesù assegna un nuovo nome, Cefa, che vuol dire “Pietra”. L’evangelista Giovanni così scrive al riguardo: “Fissando lo sguardo su di lui, disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Kefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42).
    Gesù non era solito cambiare il nome ai suoi discepoli. Se si eccettua l’appellativo di “figli del tuono”, rivolto in una precisa circostanza ai figli di Zebedeo (cfr. Mc 3,17) e non più usato in seguito, Egli non ha mai attribuito un nuovo nome ad un suo discepolo.
    Lo ha fatto invece con Simone, chiamandolo Kefa, nome che fu poi tradotto in greco Petros, in latino Petrus. E fu tradotto proprio perché non era solo un nome; era un “mandato” che Petrus riceveva in quel modo dal Signore. Non bisogna dimenticare che nell’Antico Testamento, il cambiamento del nome preludeva in genere all’affidamento di una missione (cfr. Gn 17,5; 32,28 ss. ecc.). Il nuovo nome Petrus ritornerà più volte nei Vangeli e finirà per soppiantare il nome originario Simone.
  • Altri indizi sono:
  • Dopo Gesù, Pietro è il personaggio più noto e citato negli scritti neotestamentari: viene menzionato 154 volte con il soprannome di Pètros, “pietra”, “roccia”.
  • I Vangeli ci informano che Pietro è tra i primi quattro discepoli del Nazareno (cfr. Lc 5, 1-11).
  • A Cafarnao il Maestro va ad alloggiare nella casa di Pietro (cfr. Mc 1,29).
  • Quando la folla gli si accalca intorno sulla riva del lago di Genesaret, tra le due barche lì ormeggiate, Gesù sceglie quella di Simone (cfr. Lc 5,3), e così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù.
  • Quando in circostanze particolari Gesù si fa accompagnare da tre discepoli soltanto, Pietro è sempre ricordato come primo del gruppo: così nella risurrezione della figlia di Giairo (cfr. Mc 5,37; Lc 8,51), nella Trasfigurazione (cfr. Mc 9,2; Mt 17,1; Lc 9,28), e infine durante l’agonia nell’Orto del Getsemani (cfr. Mc 14,33; Mt 16,37).
  • A Pietro si rivolgono gli esattori della tassa per il Tempio ed il Maestro paga per sé e per lui soltanto (cfr. Mt 17, 24-27).
  • A Pietro per primo Egli lava i piedi nell’ultima Cena (cfr. Gv 13,6).
  • È per lui soltanto che prega affinché non venga meno nella Fede e possa confermare poi in essa gli altri discepoli (cfr. Lc 22, 30-31).

Pietro è consapevole di questa sua posizione particolare?

Sì. Infatti:

  • È lui che spesso, a nome anche degli altri, parla chiedendo la spiegazione di una parabola difficile (cfr. Mt 15,15), o il senso esatto di un precetto (cfr. Mt 18,21) o la promessa formale di una ricompensa (cfr. Mt 19,27).
  • È lui che risolve l’imbarazzo di certe situazioni, intervenendo a nome di tutti. Così quando Gesù, addolorato per l’incomprensione della folla dopo il discorso sul “pane di vita”, domanda: “Volete andarvene anche voi?”, la risposta di Pietro è perentoria: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (cfr. Gv 6, 67-69).
  • Ugualmente decisa è la professione di Fede che, ancora a nome dei Dodici, egli fa nei pressi di Cesarea di Filippo. A Gesù che chiede: “Voi chi dite che io sia?”, Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 15-16).

Pietro ha seguito Gesù con slancio, ha superato la prova della Fede, abbandonandosi a Lui. Viene tuttavia il momento in cui anche lui cede alla paura e cade: tradisce il Maestro (cfr. Mc 14,66-72). Pietro che aveva promesso fedeltà assoluta, conosce l’amarezza e l’umiliazione del rinnegamento. Ma si pente, riconoscendo il suo grave peccato: scoppia in un liberatorio pianto di pentimento.

Ed è proprio a lui, Pietro, che Gesù affida una missione speciale, che viene descritta dall’evangelista Giovanni in quel famoso dialogo che ha luogo tra Gesù e Pietro (cfr. Gv 21, 15-18).

In tale dialogo si rileva un gioco di verbi molto significativo. In greco il verbo “filéo” esprime l’amore di amicizia, tenero ma non totalizzante, mentre il verbo “agapáo” (agapé) significa l’amore senza riserve, totale ed incondizionato. Gesù domanda a Pietro la prima volta: «Simone… mi ami tu (agapâs-me)?» con questo amore totale e incondizionato (cfr. Gv 21,15). Prima dell’esperienza del tradimento l’Apostolo avrebbe certamente detto: “Ti amo (agapô-se) incondizionatamente”. Ora che ha conosciuto l’amara tristezza dell’infedeltà, il dramma della propria debolezza, dice con umiltà: “Signore, ti voglio bene (filô-se)”, cioè “ti amo del mio povero amore umano”. Il Cristo insiste: “Simone, mi ami tu con questo amore totale che io voglio?”. E Pietro ripete la risposta del suo umile amore umano: “Kyrie, filô-se”, “Signore, ti voglio bene come so voler bene”. Alla terza volta Gesù dice a Simone soltanto: “Fileîs-me?”, “mi vuoi bene?”. Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace, e tuttavia è rattristato che il Signore gli abbia dovuto dire così. Gli risponde perciò: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene (filô-se)”.

Qual è la dichiarazione solenne che definisce, una volta per tutte, il ruolo di Pietro nella Chiesa?

E’ quando Gesù afferma: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa… A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 18-19).

In tale affermazione, sono molto chiare le tre metafore a cui Gesù ricorre:

  • Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l’edificio della Chiesa.
  • Egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto.
  • Infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. È sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro.

È così descritto, con immagini di plastica evidenza, quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di “primato di giurisdizione”.

Questa posizione di preminenza, che Gesù ha inteso conferire a Pietro, si riscontra anche dopo la Risurrezione di Cristo?
◼ Certamente. Infatti:

  • Gesù incarica le donne di portarne l’annunzio a Pietro, distintamente dagli altri Apostoli (cfr. Mc 16,7);
  • Da lui e da Giovanni corre la Maddalena per informare della pietra ribaltata dall’ingresso del sepolcro (cfr. Gv 20,2), e Giovanni cederà a lui il passo quando i due arriveranno davanti alla tomba vuota (cfr. Gv 20,4-6);
  • Sarà poi Pietro, tra gli Apostoli, il primo testimone di un’apparizione del Risorto (cfr. Lc 24,34; 1 Cor 15,5).

◼ Questo suo ruolo, sottolineato con decisione (cfr. Gv 20,3-10), segna la continuità fra la preminenza avuta nel gruppo apostolico e la preminenza che continuerà ad avere nella comunità nata con gli eventi pasquali, come attesta il Libro degli Atti (cfr. At 1,15-26; 2,14-40; 3,12-26; 4,8-12; 5,1-11.29; 8,14-17; 10; ecc.).

◼ Il suo comportamento è considerato così decisivo, da essere al centro di osservazioni ed anche di critiche (cfr. At 11,1-18; Gal 2,11-14).

◼ Al cosiddetto Concilio di Gerusalemme, Pietro svolge una funzione direttiva (cfr. At 15 e Gal 2,1-10), e proprio per questo suo essere il testimone della Fede autentica Paolo stesso riconoscerà in lui una certa qualità di “primo” (cfr. 1 Cor 15,5; Gal 1,18; 2,7s.; ecc.).

◼ Il fatto, poi, che diversi dei testi chiave riferiti a Pietro possano essere ricondotti al contesto dell’Ultima Cena, in cui Cristo conferisce a Pietro il ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22,31 s.), mostra come la Chiesa che nasce dal memoriale pasquale, celebrato nell’Eucaristia, abbia nel ministero affidato a Pietro uno dei suoi elementi costitutivi.

Qual è il senso ultimo del primato di Pietro?
◼ Questa contestualizzazione del Primato di Pietro nell’Ultima Cena, nel momento istitutivo dell’Eucaristia, Pasqua del Signore, indica anche il senso ultimo di questo Primato:

  • Pietro, per tutti i tempi, dev’essere il custode della comunione con Cristo; deve guidare alla comunione con Cristo;
  • Deve preoccuparsi che la rete non si rompa e possa così perdurare la comunione universale. Solo insieme a Pietro, possiamo essere con Cristo, che è il Signore di tutti.

◼ Responsabilità di Pietro è di garantire così la comunione con Cristo con la carità di Cristo, guidando alla realizzazione di questa carità nella vita di ogni giorno. “Il primato petrino ha questo mandato di rendere visibile e concreta l’unità, nella molteplicità storica, concreta, nell’unità di presente, passato, futuro e dell’eterno” (BENEDETTO XVI, Discorso, 30-7-2010)

◼ «Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo» (BENEDETTO XVI, Omelia, 7-5-2005)

◼ Il ruolo di Pietro ha delle priorità. “La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: “Tu … conferma i tuoi fratelli” (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3, 15)” (BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi, 12-3-09).

In quale modo il primato di Pietro è legato a Roma?
◼ Pietro si recò a Roma, centro dell’Impero, simbolo dell’“Orbis” – l’“Urbs” che esprime l’“Orbis” la terra – dove concluse con il martirio la sua corsa al servizio del Vangelo. Per questo la sede di Roma, che aveva ricevuto il maggior onore, raccolse anche l’onere affidato da Cristo a Pietro: di essere al servizio di tutte le Chiese particolari per l’edificazione e l’unità dell’intero Popolo di Dio.

◼ La sede di Roma venne così riconosciuta come quella del successore di Pietro, e la “cattedra” del suo vescovo rappresentò quella dell’Apostolo incaricato da Cristo di pascere tutto il suo gregge. Lo attestano i più antichi Padri della Chiesa, come ad esempio:

  • Sant’Ireneo (vescovo di Lione fino al 202, ma veniva dall’Asia Minore), il quale nel suo trattato Contro le eresie, nel 180 d.C., descrive la Chiesa di Roma come “più grande e più antica, conosciuta da tutti; … fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo”; e aggiunge: “Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque” (III, 3, 2-3);
  • Tertulliano, poco più tardi (nel 200 d.C.), da parte sua, afferma: “Questa Chiesa di Roma, quanto è beata! Furono gli Apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta” (La prescrizione degli eretici, 36);
  • Così scrive San Girolamo (che nacque verso il 340 a Stridone, ai confini con la Pannonia): “Ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella Fede che la bocca di un Apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo. Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che su questa pietra è edificata la Chiesa” (Le lettere I, 15,1-2);
  • Esiste inoltre l’importante lettera che San Clemente (il terzo successore di Pietro) ha inviato, nel 96, alla Chiesa di Corinto. Tale lettera costituisce un primo esercizio del Primato romano dopo la morte di san Pietro. A riguardo di tale lettera, Sant’Ireneo (Vescovo di Lione fino al 202) scrive: “Sotto Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinti una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro Fede e annunciare la tradizione, che da poco tempo essa aveva ricevuto dagli Apostoli” (Adv. haer 3,3,3).

◼ Quanto al rapporto tra Pietro e i suoi successori, occorre dire che “molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui” (SAN LEONE MAGNO, Papa, Discorso 4,1-2).

Che cosa possiamo fare noi per il Papa?
Possiamo e dobbiamo pregare perché il Primato di Pietro, affidato a povere persone umane, possa sempre essere esercitato in questo senso originario voluto dal Signore e possa così essere sempre più riconosciuto nel suo vero significato dai fratelli ancora non in piena comunione con la Chiesa Cattolica.

NB: per approfondire l’argomento si legga:
BENEDETTO XVI, Catechesi del mercoledì, 17-24 maggio e 7 giugno 2006.

Monsignor Raffaello Martinelli

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