Una grave malattia e la comunione tutte le settimane (dal Diario di Elisabetta Canori Mora)

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Di Fraychero – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36628948

Una grave malattia

Erano già trascorsi venticinque anni della mia età, cinque di matrimonio, quando mi sopraggiunse al male di stomaco una malattia mortale, che mi ridusse agli estremi della vita. Fu questo l’ultimo colpo di grazia, che mi destò dal letargo mortale in cui giaceva la povera anima mia.

Fui dunque sorpresa da febbre putrida maligna con altri mali complicati; diciannove giorni stetti priva di ogni umano pensiero, ma il pensiero dell’eternità, in cui sicuramente credevo di dover passare, teneva tutte impiegate le potenze della mia povera anima. Non cercavo rimedio al mio male, né di sostentare le mie deboli forze; ma solo, rivolto il mio cuore al Signore, gli domandavo misericordia e perdono. Prevenuta dalla grazia, eccessivo era il dolore dei miei peccati, le mie speranze erano nei meriti del mio Gesù crocifisso, che tenevo sempre stretto nelle mie mani, con questo sfogavo gli affetti del mio cuore, a questo offrivo tutta me stessa, tutta a lui mi consacravo in vita e in morte.

In questo tempo non parlavo di altro che di Dio, non altro cercavo che il mio Gesù, altro non gradivo che il mio confessore, con lui mi trattenevo con piacere a parlare delle cose appartenenti alla povera anima mia. Fui assistita da questo ministro del Signore con somma carità e premura, mi visitava per ben quattro volte al giorno, e pregava i miei parenti che tutte le volte che l’avessi richiesto, sebbene l’ora fosse incompatta, l’avessero mandato a chiamare liberamente, mentre teneva per bene impiegato qualunque incomodo, per avere il piacere di assistermi.

Ogni giorno si faceva più grave il mio male; spedita dai medici, fui munita del sacro viatico, che ricevetti con sommo amore, sperando per mezzo di Gesù sacramentato il perdono dei miei peccati, domandavo al mio confessore se credeva che mi potessi salvare. Andavo spesso ripetendo: «Padre, mi salverò?». Questo mi rispondeva che nei meriti di Gesù Cristo teneva per certa la mia eterna salute. La tranquillità di spirito, i buoni desideri che mi venivano somministrati dalla grazia di Dio, l’essere affatto libera da tentazioni, credevo un segno certo della mia predestinazione.

Come a Dio piacque, incominciò a cedere il male, ma la gravezza di questo mi portò cinque mesi di convalescenza. Al ventuno di aprile del 1802 fui assalita da questa infermità, nel mese di agosto incominciai ad uscire di casa, sebbene non ero ancora ristabilita; ma in questo tempo il mio confessore mi visitava di frequente, e mi faceva considerare che la vita miracolosa che il Signore mi aveva restituito, non doveva essere più mia, ma tutta sua, ad altro non avessi pensato che piacere a lui.

1.5. La comunione tre volte la settimana

Le parole di questo ministro del Signore penetravano altamente il mio cuore, mi offrii tutta al mio Signore e al suo divino servizio. Incominciai a frequentare i sacramenti di Confessione e Comunione ogni otto giorni; nacque in me un desiderio grande di ricevere più spesso questo divino sacramento, ma non ardivo dirlo al mio confessore; mi raccomandavo caldamente al Signore e alla Vergine santissima, che si fossero degnati di dare forte ispirazione al suddetto.

Vado dunque una mattina a confessarmi, il confessore mi dice: «Una particolare ispirazione mi obbliga a darvi la santa Comunione tre volte alla settimana». Di questa grazia ringraziai affettuosamente Gesù e Maria. Qual profitto mi portò la frequenza della santa Comunione! non posso esprimere i buoni effetti che produceva in me questo divino sacramento.

Mi distaccai dalla vanità del mondo, vinsi molti ostacoli che mi impedivano di andare a Dio, particolarmente i vani giudizi degli uomini. Questo apportò molto fastidio ai miei parenti, il vedermi affatto allontanata dai divertimenti del mondo, abbandonare gli ornamenti femminili, contenta di vestire un abito triviale senza alcun ornamento. Fiera fu la guerra che mi mosse il demonio, non solo da parte dei parenti e persone secolari, ma eziandio da persone di buona vita, mentre questi criticavano e biasimavano la mia condotta, e con consigli mi volevano persuadere che non era conveniente che una giovane di venticinque anni, come ero io, si fosse allontanata dal mondo; che si poteva benissimo accordare il divertirsi lecitamente, senza trasgredire la legge di Dio, mentre la prudenza portava che non avessi disgustato i parenti, già che questi erano offesi del mio operare.

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Eccoci pronti a partire (Paolo VI)

Elisabetta Canori Mora

I frequenti favori del Signore (dal Diario di Elisabetta Canori Mora)