Sulla riaffermazione dei diritti delle donne basati sul sesso, compresi i diritti all’integrità fisica e riproduttiva, e l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’“identità di genere”, e dalla maternità “surrogata” e le pratiche ad essa legate.
Introduzione
Questa Dichiarazione riafferma i diritti delle donne basati sul sesso esposti nella
Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne
adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 (CEDAW),
ulteriormente sviluppati nelle Raccomandazioni Generali del Comitato della CEDAW, e
adottati, tra l’altro, nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della
Violenza contro le Donne (UNDEVW) del 1993.
L’articolo 1 della CEDAW definisce la discriminazione contro le donne: “ogni distinzione,
esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo.’’
Il sesso è definito dalle Nazioni Unite: “le caratteristiche fisiche e biologiche che distinguono i maschi dalle femmine.’’ (Glossario della Parità di Genere, ONU Donne).
La CEDAW assegna agli Stati gli obblighi di ‘‘prendere tutte le misure appropriate, comprese quelle legislative, per modificare o abolire le leggi, le usanze e le pratiche esistenti che costituiscono discriminazioni contro le donne.’’ (Articolo 2 (f)); e di prendere, in tutti i campi, “ogni misura adeguata, incluse le disposizioni legislative, al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne, per garantire loro l’esercizio e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali su una base di uguaglianza con gli uomini.’’ (Articolo 3).
Nel campo dei diritti umani c’è stato a lungo accordo sul fatto che i ruoli sessuali stereotipati di uomini e donne sono un aspetto fondamentale della disuguaglianza e devono essere eliminati.
L’articolo 5 della CEDAW afferma:
“Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata al fine di:
1. modificare gli schemi ed i modelli di comportamento sociali e culturali degli uomini e delle donne, al fine di ottenere l’eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso, o sull’idea di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne.’’
2. Il genere si riferisce ai “ruoli, comportamenti, attività e attributi che una determinata società in un momento determinato considera appropriati per gli uomini e le donne…
Questi attributi, opportunità e relazioni sono costruiti socialmente e imparati attraverso
i processi di socializzazione.’’ (Glossario della Parità di Genere, ONU Donne).
I cambiamenti recenti, in cui i riferimenti alla categoria del sesso, che è biologico, nei documenti, nelle strategie e nelle azioni delle Nazioni Unite, sono stati sostituiti dal linguaggio del “genere”, che si riferisce ai ruoli sessuali stereotipati, hanno portato ad una confusione che, in ultima analisi, rischia di indebolire la protezione dei diritti umani delle donne.
La confusione tra sesso e “genere” ha contribuito ad aumentare l’accettabilità dell’idea di “identità di genere” innate, e ha portato alla promozione di un diritto alla protezione di tali “identità”, e in ultima analisi all’erosione delle conquiste ottenute dalle donne nel corso di decenni. I diritti delle donne, che sono stati ottenuti in base al sesso, ora sono indeboliti dall’inclusione di concetti come “identità di genere” e “Orientamenti Sessuali e Identità di Genere” (SOGIES) in documenti internazionali.
I diritti legati all’orientamento sessuale sono necessari per eliminare la discriminazione contro chi è sessualmente attratto da persone dello stesso sesso. Questi diritti sono compatibili con i diritti delle donne basati sul sesso e necessari per mettere in grado le lesbiche, il cui orientamento sessuale è diretto verso altre donne, di esercitare pienamente i loro diritti basati sul sesso.
Tuttavia, il concetto di “identità di genere” trasforma gli stereotipi costruiti socialmente che organizzano e mantengono la disuguaglianza delle donne in essenze innate, quindi indebolisce i diritti delle donne basati sul sesso.
Per esempio, i Principi di Yogyakarta affermano che:
“L’identità di genere è intesa come l’esperienza del genere interna, individuale e profondamente sentita di ogni persona. Può corrispondere o no al sesso assegnato alla nascita e include la percezione personale del proprio corpo (che può comprendere, se scelte liberamente, modifiche dell’aspetto o delle funzioni fisiche con mezzi medici, chirurgici, o altri) e altre espressioni del genere, compresi il modo di vestire, di parlare e le maniere.’’ (Principi di Yogyakarta: Principi sull’applicazione della legislazione internazionale sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere, marzo 2007).
Il diritto degli individui a vestirsi e presentarsi secondo le loro scelte è compatibile con i diritti delle donne basati sul sesso.
Tuttavia, il concetto di “identità di genere” ha messo gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile in grado di affermare, nella legge, nelle politiche e nella pratica, di essere membri della categoria delle donne, che è basata sul sesso.
La Raccomandazione Generale N. 35 della CEDAW nota che: “La Raccomandazione Generale N. 28 sugli obblighi fondamentali degli Stati sotto l’articolo 2 della Convenzione, così come la Raccomandazione Generale N. 33 sull’accesso delle donne alla giustizia, conferma che la discriminazione contro le donne è inestricabilmente legata ad altri fattori che toccano le loro vite. La giurisprudenza del Comitato evidenzia che questi possono includere…l’essere lesbiche.” (II, 12).
Il concetto di “identità di genere” viene usato per mettere in dubbio i diritti degli individui a definire il proprio orientamento sessuale sulla base del sesso invece che dell’“identità di genere”, mettendo gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile in grado di cercare di essere inclusi nella categoria delle lesbiche, basata sul sesso. Questo indebolisce i diritti delle lesbiche basati sul sesso ed è una forma di discriminazione contro le donne.
Alcuni uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile cercano di essere inclusi nella categoria legale di “madri”. La CEDAW enfatizza i diritti materni e il “valore sociale della maternità’’. I diritti materni e i servizi alla maternità si basano sulla capacità esclusivamente femminile di portare in grembo e dare alla luce i bambini.
L’inclusione degli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile nella categoria legale di “madri” intacca il valore sociale della maternità e indebolisce i diritti materni previsti dalla CEDAW.
La Dichiarazione di Pechino (1995) afferma che:
“Il riconoscimento esplicito e la riaffermazione del diritto di tutte le donne a controllare tutti gli aspetti della loro salute, in particolare la propria fecondità, sono di primaria importanza per il rafforzamento del loro potere di azione’’. (Appendice 1, 17)
Questo diritto è indebolito dall’uso della maternità “surrogata”, che sfrutta e mercifica la capacità riproduttiva delle donne. Questo sfruttamento e questa mercificazione sostengono anche una ricerca medica che ha il fine di consentire agli uomini di portare avanti gravidanze e partorire. L’inclusione degli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile nelle categorie legali di “donne”, “lesbiche” e “madri” minaccia di privare queste categorie di ogni significato, dato che costituisce una negazione delle realtà biologiche su cui si basano le condizioni di donna, lesbica e madre.
Le organizzazioni che promuovono il concetto di “identità di genere” mettono in dubbio il diritto delle donne e delle ragazze di definirsi sulla base del sesso e di riunirsi e organizzarsi sulla base dei loro interessi comuni come sesso. Questo include la messa in dubbio dei diritti delle lesbiche di definire il loro orientamento sessuale sulla base del sesso invece che dell’“identità di genere”, e di riunirsi e organizzarsi sulla base del loro orientamento sessuale comune.
In molti paesi enti statali, organismi pubblici e organizzazioni private stanno cercando di costringere le persone a identificare e riferirsi agli individui in base all’“identità di genere” invece che in base al sesso. Questi sviluppi costituiscono forme di discriminazione contro le donne e indeboliscono i loro diritti alla libertà di espressione, di opinione e di associazione.
Gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile stanno venendo messi in grado di accedere alle opportunità e alle misure di protezione riservate alle donne.
Questo costituisce una forma di discriminazione contro le donne e mette in pericolo i loro diritti fondamentali alla sicurezza, alla dignità e all’uguaglianza.
L’articolo 7 della CEDAW afferma l’importanza delle misure per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne nella vita politica e pubblica, e l’articolo 4 afferma l’importanza delle misure speciali temporanee per accelerare de facto la parità tra uomini e donne. Quando gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile sono ammessi alle quote di partecipazione delle donne e ad altre misure speciali progettate per aumentare la partecipazione delle donne alla vita politica e pubblica,
l’obiettivo di queste misure, il raggiungimento dell’uguaglianza per le donne, è indebolito.
L’articolo 10 (g) della CEDAW si appella agli Stati perché assicurino che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini di partecipare attivamente agli sport e all’educazione fisica. A causa delle differenze fisiologiche tra donne e uomini, l’esercizio di questo diritto da parte delle donne richiede che certe attività sportive siano divise in base al sesso. Quando gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile sono messi in grado di partecipare alle attività sportive riservate alle donne, queste si trovano in un’ingiusta posizione di svantaggio e possono vedere aumentato il rischio di danni fisici.
Questo indebolisce la possibilità delle donne e delle ragazze di avere le stesse opportunità degli uomini di partecipare agli sport, e perciò costituisce una forma di discriminazione contro le donne e le ragazze che dovrebbe essere eliminata.
Nel campo dei diritti umani c’è stato a lungo accordo sul fatto che la violenza contro le donne e le ragazze è endemica dovunque, e che è uno dei meccanismi sociali determinanti per cui le donne sono costrette ad una posizione subordinata rispetto agli uomini.
La Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne riconosce che:
“La violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, e che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata
rispetto agli uomini.’’
Questa dominazione e questa discriminazione si basano sul sesso e non sull’“identità di genere”.
La fusione delle categorie di sesso e “identità di genere” ostacola la protezione delle donne e delle ragazze dalla violenza perpetrata contro di loro dagli uomini e dai ragazzi, perché dà sempre di più agli uomini che ritengono di avere un’“identità di genere” femminile la possibilità di rivendicare l’accesso ai servizi di sostegno alle vittime e agli spazi riservati alle donne, sia come utenti che come fornitori di questi servizi. Questo include i luoghi riservati alle donne vittime di violenza, come i rifugi e le strutture sanitarie, ed altri servizi in cui il fatto che siano riservati alle donne è fondamentale per
la promozione della sicurezza fisica, della salute, della privacy e della dignità delle donne e delle ragazze. La presenza degli uomini negli spazi e servizi riservati alle donne ne indebolisce il ruolo nella protezione delle donne e delle ragazze, e potrebbe renderle vulnerabili a uomini violenti che potrebbero rivendicare un’“identità di genere” femminile.
Il Comitato della CEDAW, nella sua Raccomandazione Generale n. 35, sottolinea l’importanza di raccogliere dati e compilare statistiche sulla diffusione delle diverse forme di violenza contro le donne in rapporto allo sviluppo di misure efficaci per prevenirla e porvi rimedio.
“I dati divisi in base al sesso sono dati classificati secondo il sesso, presentando le informazioni separatamente per uomini e donne, ragazzi e ragazze. I dati divisi in base al sesso riflettono i ruoli, le situazioni reali, le condizioni generali delle donne, degli uomini, delle ragazze e dei ragazzi in tutti gli aspetti della società. … Quando i dati non sono divisi in base al sesso, è più difficile identificare le disuguaglianze reali e potenziali.’’ (ONU Donne, Glossario della Parità di Genere).
La fusione del sesso con l’“identità di genere” conduce a raccolte di dati scorrette e fuorvianti sulla violenza contro le donne e le ragazze, perché i perpetratori della violenza vengono identificati sulla base della loro “identità di genere” invece che del sesso. Questo crea un impedimento significativo allo sviluppo di leggi, politiche, strategie ed azioni efficaci per l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze.
Il concetto di “identità di genere” viene usato sempre di più per “riassegnare il genere” dei bambini e delle bambine che non sono conformi agli stereotipi sui sessi, o a cui viene diagnosticata disforia di genere. Interventi medici ad alto rischio di conseguenze negative a lungo termine sulla salute fisica o psichica di un bambino, come l’uso di ormoni che sopprimono la pubertà, ormoni del sesso opposto e interventi chirurgici vengono usati su bambini e bambine che non hanno la competenza per dare un consenso pieno, libero e informato, data la loro età. Questi interventi medici possono causare una
serie di effetti negativi permanenti sulla salute fisica, compresa la sterilità, così come effetti negativi sulla salute psichica.
Preambolo
Richiamando l’impegno per gli uguali diritti e l’innata dignità umana delle donne e degli uomini, ed altri obiettivi e principi racchiusi nell’atto costitutivo delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed in altri documenti internazionali sui diritti umani, in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (UNCRC), così come nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto allo Sviluppo, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (“Convenzione di Istanbul’’), il Protocollo all’Atto
Africano dei Diritti Umani e dei Popoli sui Diritti delle Donne in Africa (“Protocollo di Maputo’’), e la Convenzione Interamericana sulla Prevenzione, la Punizione e l’Eliminazione della Violenza Contro le Donne (“Convenzione di Belem do Parà’’);
Riaffermando l’impegno ad assicurare la piena messa in atto dei diritti umani delle donne e delle ragazze come parte inalienabile, integrale e indivisibile di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali;
Riconoscendo il vasto consenso e i progressi fatti nelle precedenti conferenze mondiali e nei summit delle Nazioni Unite, inclusi l’Anno Internazionale delle Donne a Città del Messico nel 1975, il Decennio delle Nazioni Unite per le Donne a Copenaghen nel 1980, il Decennio delle Nazioni Unite per le Donne a Nairobi nel 1985, il Summit Mondiale sull’Infanzia a New York nel 1990, il Summit della Terra sull’Ambiente e lo Sviluppo a Rio de Janeiro nel 1992, la Conferenza Mondiale sui Diritti Umani a Vienna nel 1993, la Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo al Cairo nel 1994, il Summit Mondiale sullo Sviluppo Sociale a Copenaghen nel 1995, e la Conferenza Mondiale sulle Donne a Pechino nel 1995, con l’obiettivo di raggiungere l’uguaglianza, lo sviluppo e la
pace;
Riconoscendo che nei primi decenni dell’approccio delle Nazioni Unite ai diritti umani c’era una chiara comprensione del fatto che la discriminazione contro le donne è basata sul sesso;
Notando che gli accordi, le politiche, le strategie, le azioni e i documenti delle Nazioni Unite sui diritti umani riconoscono che i ruoli sessuali stereotipati, ora chiamati più comunemente “stereotipi di genere”, sono dannosi per le donne e le ragazze;
Riconoscendo che il concetto chiaro di “ruolo sessuale stereotipato” ora è stato confuso attraverso l’uso del linguaggio del genere;
Preoccupate perché il concetto di “identità di genere” è stato incorporato in molti e influenti, anche se non vincolanti, documenti internazionali sui diritti umani;
Notando che l’uso del linguaggio del “genere” invece che del sesso ha permesso lo sviluppo di un concetto di “identità di genere” in cui gli stereotipi sui sessi sono visti come essenze innate, il che a sua volta ha costruito la base di un’erosione delle conquiste nei diritti umani delle donne e delle ragazze;
Preoccupate perché gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile affermano nella legge, nelle politiche e nella pratica di essere membri della categoria delle donne, e questo ha come risultato l’erosione dei diritti umani delle donne;
Preoccupate perché gli uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile affermano nella legge, nelle politiche e nella pratica che l’orientamento sessuale si basa sull’“identità di genere” invece che sul sesso, e cercano di essere inclusi nella categoria delle lesbiche; e perché questo ha come risultato l’erosione dei diritti umani, basati sul sesso, delle lesbiche;
Preoccupate perché alcuni uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile fanno reclami per essere inclusi nella categoria legale di “madri” nella legge, nelle politiche e nella pratica, e perché quest’ inclusione erode il valore sociale della maternità, e indebolisce i diritti materni;
Preoccupate per lo sfruttamento e la mercificazione della capacità riproduttiva delle donne che sostiene la maternità “surrogata”;
Preoccupate per lo sfruttamento e la mercificazione della capacità riproduttiva delle donne che sostiene la ricerca medica finalizzata a consentire agli uomini di portare avanti gravidanze e partorire;
Preoccupate perché le organizzazioni che promuovono il concetto di “identità di genere” stanno cercando di limitare il diritto di avere ed esprimere opinioni sull’“identità di genere” promuovendo tentativi da parte di enti statali, organismi pubblici e organizzazioni private di usare sanzioni e punizioni per costringere le persone a identificare gli individui sulla base dell’“identità di genere” invece che del sesso;
Preoccupate perché il concetto di “identità di genere” viene usato per indebolire il diritto delle donne e delle ragazze di riunirsi e associarsi come donne e ragazze in base al loro sesso, senza includere uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile;
Preoccupate perché il concetto di “identità di genere” viene usato per indebolire il diritto delle lesbiche a definire il loro orientamento sessuale in base al sesso, ed a riunirsi e associarsi in base al loro orientamento sessuale comune, senza includere uomini che rivendicano un’“identità di genere” femminile;
Preoccupate perché l’inclusione di uomini e ragazzi che rivendicano un’“identità di genere” femminile in competizioni e premi riservati alle donne e alle ragazze, compresi gli sport competitivi e le borse di studio, costituisce una discriminazione contro le donne e le ragazze;
Preoccupate perché la fusione di sesso e “identità di genere” sta portando alla registrazione di dati scorretti e fuorvianti usati quando si progettano leggi, politiche e azioni relative, tra l’altro, al lavoro, alla parità di stipendio, alla partecipazione politica e alla distribuzione di fondi statali, ostacolando, di conseguenza, misure efficaci finalizzate all’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze, e alla promozione del loro progresso nella società;
Preoccupate perché le politiche basate sul concetto di “identità di genere” vengono usate da enti statali, organismi pubblici e organizzazioni private in modi che minacciano la sopravvivenza della fornitura di servizi solo per donne, compresi quelli di sostegno alle vittime e di cure mediche;
Preoccupate perché il concetto di “identità di genere” viene usato per giustificare l’intrusione di uomini e ragazzi in spazi riservati alle donne con il fine di proteggerne la sicurezza, la privacy e la dignità, e di sostenerle quando sono state soggette a violenza;
Preoccupate perché la fusione di sesso e “identità di genere” sta portando alla registrazione di dati scorretti e fuorvianti sulla violenza contro le donne e le ragazze, ostacolando, di conseguenza, lo sviluppo di misure efficaci finalizzate all’eliminazione di questa violenza;
Preoccupate perché il concetto di “identità di genere” viene usato per oscurare il sesso dei perpetratori di crimini specifici del sesso maschile, come lo stupro e altri crimini sessuali, ostacolando, di conseguenza, misure efficaci finalizzate alla riduzione di questi crimini;
Preoccupate perché la cancellazione di azioni, strategie e politiche riservate alle donne e alle ragazze indebolirà decenni di lavoro delle Nazioni Unite per riconoscere l’importanza dei servizi solo per donne in zone colpite da catastrofi, campi di rifugiati, prigioni ed ogni altro contesto in cui l’uso di strutture miste sarebbe una minaccia alla sicurezza, alla dignità e alla protezione delle donne e delle ragazze, in particolare delle più vulnerabili;
Enfatizzando che il concetto di “identità di genere” è stato sviluppato specificamente in
Occidente a partire dal postmodernismo e dalla “teoria queer” e viene diffuso a livello
internazionale attraverso potenti organizzazioni, anche in paesi nelle cui lingue il
termine “genere” non esiste e non può essere compreso facilmente;
Riconoscendo che la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo afferma
che, per i suoi fini, un bambino è qualsiasi essere umano con meno di 18 anni; e che la
Dichiarazione dei Diritti dell’Infanzia del 1959 afferma che:
“Il fanciullo, a causa della sua immaturità fisica e intellettuale, ha bisogno di una
particolare protezione e di cure speciali, compresa un’adeguata protezione giuridica, sia
prima che dopo la nascita;”
Riconoscendo che la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (Articolo 3)
afferma che, in tutte le azioni che riguardano i bambini e le bambine, il loro maggiore interesse sarà tenuto in considerazione in primo luogo;
Notando che il concetto di “identità di genere” viene usato sempre di più per “riassegnare il genere” dei bambini e delle bambine che non sono conformi agli stereotipi sui sessi, o a cui viene diagnosticata disforia di genere, e che su di loro vengono praticati interventi medici ad alto rischio di conseguenze negative a lungo termine sulla salute fisica o psichica, come l’uso di ormoni che sopprimono la pubertà, ormoni del sesso opposto e interventi chirurgici, nonostante non abbiano la competenza
per dare un consenso pieno, libero e informato, data la loro età, a questi interventi medici, che possono portare ad effetti indesiderati permanenti, compresa la sterilità;
Riconoscendo che l’uso di farmaci che sopprimono la pubertà, ormoni del sesso opposto e interventi chirurgici sui bambini e sulle bambine sono pratiche dannose emergenti secondo la definizione della Parte V della Raccomandazione Generale Congiunta N. 31 del Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne/ Commento Generale N. 18 del Comitato per i Diritti dell’Infanzia sulle pratiche dannose;
Notando che l’uso di farmaci che sopprimono la pubertà, la somministrazione di ormoni del sesso opposto e la sottoposizione a interventi chirurgici su bambini e bambine soddisfano i quattro criteri di determinazione delle pratiche dannose, in quanto:
(a) Queste pratiche costituiscono una negazione della dignità e dell’integrità del bambino ed una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali racchiuse nelle due Convenzioni, in quanto comportano interventi medici ad alto rischio di conseguenze negative a lungo termine sulla salute fisica e psichica dei bambini e delle bambine, che non hanno la competenza per dare un consenso pieno, libero e informato, data la loro età, a questi interventi medici;
(b) Queste pratiche costituiscono una discriminazione contro i bambini e le bambine e sono dannose nella misura in cui hanno come risultato conseguenze negative per loro come individui, inclusi danni fisici, psichici, economici o sociali e/o violenza e limitazioni alla loro capacità di partecipare pienamente alla società, o di sviluppare e raggiungere il loro vero potenziale. Queste conseguenze negative possono includere problemi di salute fisica e psichica a lungo termine, effetti negativi permanenti, come la sterilità, e dipendenza a lungo termine da prodotti farmaceutici come gli ormoni
sintetici;
(c) Sono pratiche emergenti prescritte o mantenute da norme sociali che perpetuano il dominio maschile e la disuguaglianza delle donne e dei bambini, in base al sesso, al genere, all’età e ad altri fattori che si intersecano con questi, in quanto nascono da un concetto di “identità di genere” basato su ruoli sessuali stereotipati;
(d) Queste pratiche sono imposte ai bambini e alle bambine dai familiari, dalle comunità o dalla società in generale, indipendentemente dal fatto che le vittime diano, o siano in grado di dare, un consenso pieno, libero e informato;
Preoccupate perché alcuni documenti internazionali non vincolanti rivendicano il fatto che i bambini e le bambine abbiano “identità di genere” innate che richiedono protezione sotto l’Articolo 8 dell’UNCRC nello stesso modo dell’identità nazionale, pertenendo ai diritti umani dell’infanzia. Questa rivendicazione si basa sull’affermazione che i bambini nascono “transgender”, che non ha nessuna prova scientifica obiettiva.
Articolo 1
Riaffermazione dei diritti delle donne come basati sulla categoria del sesso.
Gli Stati dovrebbero preservare la centralità della categoria del sesso, e non quella di ‘identità di genere’ in relazione al diritto di donne e bambine a non essere soggette a discriminazione.
(a) Ai fini della presente Dichiarazione, l’espressione “discriminazione contro le donne” sta ad indicare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza fra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo (CEDAW, Articolo 1).
Gli Stati dovrebbero comprendere che includere uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile nella categoria delle donne per legge, nelle politiche e nella pratica, costituisce discriminazione contro le donne, poiché compromette il riconoscimento dei diritti umani delle donne basati sul sesso. Gli Stati dovrebbero comprendere che includere uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile nella categoria delle donne risulta nella loro inclusione nella categoria delle lesbiche, costituendo una forma di discriminazione contro le donne in quanto compromette il riconoscimento dei diritti umani delle lesbiche basati sul sesso.
(b) Gli Stati ‘‘devono prendere ogni misura adeguata, incluse le disposizioni legislative, in tutti i campi, ed in particolare in campo politico, sociale, economico e culturale, al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne, per garantire loro l’esercizio e il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali su una base di uguaglianza con gli uomini” (CEDAW, Articolo 3).
Ciò dovrebbe comprendere il mantenimento nella legge, nelle politiche e nella pratica del significato della categoria “donna” come femmina adulta della specie umana, del significato della categoria “lesbica” come femmina adulta della specie umana sessualmente orientata verso altre femmine adulte della specie umana, e del significato della categoria “madre” come genitore di sesso femminile; e l’esclusione degli uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile da suddette categorie.
(a) Gli Stati dovrebbero “condannare la discriminazione contro le donne in ogni sua forma, e convenire di perseguire, con ogni mezzo appropriato e senza indugio, una politica tendente ad eliminare la discriminazione contro le donne.” (CEDAW, Articolo 2).
Ciò dovrebbe comprendere l’eliminazione di atti e pratiche di discriminazione contro le donne derivanti dall’inclusione degli uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile nella categoria “donna”. Tale inclusione erode i diritti delle donne alla sicurezza, alla dignità e all’uguaglianza.
(d) Gli Stati dovrebbero assicurarsi che la parola “donna”, la parola “ragazza”, la parola “bambina” e tutti i termini tradizionalmente utilizzati per riferirsi alle parti del corpo e alle funzioni corporee femminili sulla base del loro sesso continuino a essere usati negli atti costituzionali, nella legislazione, nella fornitura di servizi, e nei documenti politici e normativi, ogni qualvolta ci si riferisca a persone di sesso femminile. Il significato della parola “donna” non può essere modificato per includere gli uomini.
Articolo 2
Riaffermazione della natura della maternità come una condizione esclusivamente
femminile.
(a) La CEDAW enfatizza il “significato sociale della maternità”. L’Articolo 12 (2) afferma
che “Gli Stati parte garantiranno alle donne servizi appropriati e se necessario gratuiti
relativi a gravidanza, parto e post-parto”.
(b) I diritti e i servizi materni si basano sulla peculiare capacità delle donne di fare esperienza della gravidanza e del parto. Le caratteristiche fisiche e biologiche che distinguono i maschi dalle femmine della specie umana fanno sì che la capacità riproduttiva delle donne non possa essere condivisa da uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile. Gli Stati dovrebbero comprendere che l’inclusione di uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile nella categoria “madre” per legge, nelle politiche e nella pratica, e la conseguente inclusione di donne che dichiarano di avere un’’identità di genere’ maschile nella categoria “padre”, costituisce una discriminazione contro le donne, in quanto intende eliminare la condizione di maternità come peculiare delle donne, ed erode i diritti basati sul sesso delle donne in quanto madri.
(c) Gli Stati dovrebbero assicurarsi che la parola “madre” e tutti i termini tradizionalmente utilizzati per riferirsi alla capacità riproduttiva delle donne sulla base del loro sesso continuino a essere usati negli atti costituzionali, nella legislazione, nella fornitura di servizi, e nei documenti politici e normativi, ogni qualvolta ci si riferisca a madri e maternità. Il significato della parola “madre” non può essere modificato per includere gli uomini.
Articolo 3
Riaffermazione dei diritti di donne, ragazze e bambine all’integrità fisica e riproduttiva.
(a) Gli Stati dovrebbero garantire il rispetto dei diritti riproduttivi di ragazze e donne nella loro pienezza, così come il libero accesso a tutti i servizi riproduttivi.
(b) Gli Stati dovrebbero riconoscere che pratiche dannose come le gravidanze forzate e lo sfruttamento, commerciale o altruistico, delle capacità riproduttive delle donne coinvolto nella maternità ‘surrogata’, costituiscono violazioni dell’integrità fisica e riproduttiva di donne e ragazze e vadano eliminate in quanto forme di discriminazione basate sul sesso.
(c) Gli Sati dovrebbero riconoscere che la ricerca medica finalizzata a consentire agli uomini la gestazione e il parto costituisca una violazione dell’integrità fisica e riproduttiva di ragazze e donne, e vada abolita in quanto forma di discriminazione basata sul sesso.
Articolo 4
Riaffermazione dei diritti delle donne alla libertà di opinione e alla libertà di
espressione.
(a) Gli Stati dovrebbero garantire il diritto delle donne a “non essere molestate per le proprie opinioni” (Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), Articolo 19 (1)). Ciò dovrebbe comprendere il diritto a esprimere opinioni relative al concetto di ‘identità di genere’ senza essere soggette a molestie, azioni penali o punizioni.
(b) Gli Stati dovrebbero sostenere il diritto delle donne alla libertà di espressione; diritto che comprende “la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta” (ICCPR, Articolo 19(2)). Ciò dovrebbe comprendere la libertà di comunicare e condividere idee relative al concetto di ‘identità di genere’, senza essere soggette a vessazioni, azioni penali o punizioni.
(c) Gli Stati dovrebbero sostenere il diritto di chiunque a descrivere gli altri, in qualsiasi contesto, sulla base del loro sesso, invece che sul concetto di ‘identità di genere’. Gli Stati dovrebbero riconoscere che i tentativi mossi da agenzie statali, enti pubblici e organizzazioni private per costringere le persone a usare termini correlati al concetto di ‘identità di genere’, invece che al sesso, costituiscano una forma di discriminazione contro le donne, e dovrebbero prendere misure per eliminare tale forma di
discriminazione.
(d) Gli Stati dovrebbero proibire qualsiasi forma di sanzione, persecuzione o punizione rivolta a persone che rigettano i tentativi di costrizione a identificare le altre persone sulla base non del sesso, ma del concetto di ‘identità di genere’.
Articolo 5
Riaffermazione del diritto delle donne alla libertà di riunirsi e associarsi pacificamente.
Gli Stati dovrebbero supportare il diritto delle donne alla libertà di riunirsi pacificamente e associarsi con altre persone (ICCPR, Articoli 21 e 22). Ciò dovrebbe comprendere i diritti di donne e ragazze a riunirsi e associarsi in quanto ragazze e donne sulla base del proprio sesso, e i diritti delle lesbiche a riunirsi e associarsi sulla base del comune orientamento sessuale, senza l’inclusione di uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile.
Articolo 6
Riaffermazione dei diritti delle donne alla partecipazione politica sulla base del sesso.
(a) Gli Stati “devono prendere ogni misura adeguata ad eliminare la discriminazione contro le donne nella vita politica e pubblica del paese”. (CEDAW, Articolo 7).
Ciò dovrebbe includere forme di discriminazione contro le donne che consistono nell’inclusione degli uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile nella categoria “donna”. Tutte le misure finalizzate a facilitare l’accesso delle donne al diritto di voto, all’eleggibilità, alla partecipazione alla formulazione e attuazione di politiche governative, e alla partecipazione in organizzazioni non-governative e associazioni che si occupano di vita pubblica e politica, dovrebbero essere basate sul sesso, senza discriminare contro le donne per mezzo dell’inclusione di uomini che
dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile.
(b) Gli Stati dovrebbero garantire che “l’adozione di misure temporanee speciali finalizzate ad accelerare l’uguaglianza di fatto tra uomini e donne” (CEDAW Articolo 4) sia applicata esclusivamente a persone di sesso femminile e non discrimini contro le donne per mezzo dell’inclusione di uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile.
Articolo 7
Riaffermazione dei diritti delle donne ad avere le medesime opportunità degli uomini di partecipare attivamente agli sport e all’educazione fisica.
L’Articolo 10 (g) della CEDAW stabilisce che gli Stati parte debbano garantire ‘‘le medesime opportunità di partecipare attivamente agli sport e all’educazione fisica” a ragazzi e uomini e a ragazze e donne. Ciò dovrebbe includere l’offerta, a ragazze e donne, dell’opportunità di partecipare a sport ed educazione fisica sulla base del proprio sesso, in condizioni non miste. Al fine di garantire equità e sicurezza per ragazze e donne, l’ingresso di ragazzi e uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile in squadre, competizioni, strutture, spogliatoi o altro predisposti per donne e
ragazze dovrebbe essere proibito, in quanto costituisce discriminazione sessuale.
Articolo 8
Riaffermazione della necessità di eliminare la violenza contro le donne.
(a) Gli Stati dovrebbero ‘‘Lavorare per assicurare, nel massimo grado possibile alla luce delle risorse disponibili e, dove necessario, nell’ambito del sistema della cooperazione internazionale, che le donne sottoposte a violenza e, dove appropriato, i loro figli abbiano una assistenza specializzata, come la riabilitazione, l’assistenza nella cura e nel mantenimento dei bambini, i trattamenti sanitari, la consulenza, i servizi sanitari e sociali, le agevolazioni e i programmi, così come le strutture di sostegno, e prendere ogni altra misura appropriata per promuovere la loro sicurezza e riabilitazione
psicologica”. (UNDEVW, Articolo 4 (g)).
Tali misure dovrebbero includere la fornitura di servizi e spazi fisici esclusivi per donne, ragazze e bambine, che offrano loro sicurezza, privacy e dignità. Che siano forniti da enti pubblici o privati, questi servizi andrebbero destinati sulla base del sesso e non su quella del concetto di ‘identità di genere’ e il personale dovrebbe essere composto da donne, sulla base del sesso e non su quella del concetto di ‘identità di genere’.
(b) Le misure divise per sesso dovrebbero includere, tra gli altri, servizi specializzati per donne, ragazze e bambine vittime di violenza, quali servizi di assistenza per vittime di stupro, strutture sanitarie specializzate e rifugi per donne e minori che fuggono da abusi domestici o altre forme di violenza. Dovrebbe inoltre includere tutti gli altri servizi sesso-specifici atti a incentivare la sicurezza fisica, la privacy e la dignità di donne, ragazze e bambine. Tra questi troviamo prigioni, servizi sanitari e reparti ospedalieri, centri di riabilitazione per l’abuso di sostanze, alloggi per le persone senza tetto, bagni, docce e spogliatoi, e qualunque altro spazio chiuso ove degli individui risiedano o possano trovarsi in uno stato di nudità o semi-nudità. Le strutture destinate a soddisfare le necessità di donne, ragazze e bambine dovrebbero presentare disponibilità e qualità quantomeno eque rispetto a quelle destinate a uomini, ragazzi e bambini. Tali strutture non dovrebbero includere gli uomini che dichiarano di avere un’’identità di genere’ femminile.
(c) Gli Stati dovrebbero “Promuovere la ricerca, raccogliere dati e compilare statistiche, concernenti in particolar modo la violenza domestica, riguardanti l’incidenza delle diverse forme di violenza contro le donne e incoraggiare la ricerca sulle cause, la natura, la gravità e le conseguenze della violenza contro le donne e sull’efficacia delle misure adottate per prevenire e riparare alla violenza contro le donne; queste statistiche e gli esiti delle ricerche saranno resi pubblici”. (UNDEVW, Articolo 4 (k)).
Ciò dovrebbe comprendere il riconoscimento del fatto che la violenza contro le donne sia uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini in quanto categoria sessuale, e che ricerche e raccolte dati accurate riguardanti la violenza contro donne, ragazze e bambine necessita della possibilità di identificare tanto i perpetratori quanto le vittime della violenza sulla base del sesso, e non del concetto di ‘identità di genere’.
“I dati disaggregati per sesso sono dati classificati in base al sesso, mediante la presentazione di informazioni separate per uomini e donne, ragazzi e ragazze. I dati disaggregati per sesso riflettono ruoli, situazioni reali, condizioni generali di donne e uomini, ragazze e ragazze in ogni aspetto della società. … L’assenza di disaggregazione per sesso rende più difficile identificare disuguaglianze reali o potenziali.” (Gender Equality Glossary, UN Women).
(d) Gli Stati dovrebbero ‘‘Includere nelle analisi sulle tendenze e i problemi sociali preparate dalle organizzazioni e dagli organismi del sistema delle Nazioni Unite, come i rapporti periodici sulla situazione sociale mondiale, ricerche sulle tendenze della violenza contro le donne” (UNDEVW Articolo 5 (d)). A tal fine è necessario garantire che le identità dei perpetratori e delle vittime della violenza contro donne, ragazze e bambine vengano registrati, da parte di tutti gli enti pubblici, inclusa polizia, pubblici ministeri e tribunali, sulla base del sesso e non del concetto di ‘identità di genere’.
(e) Gli Stati dovrebbero “Sviluppare sanzioni penali, civili, di diritto del lavoro e amministrative nell’ordinamento nazionale per punire e riparare agli illeciti causati alle donne che sono sottoposte a violenza; alle donne che sono sottoposte a violenza dovrebbe essere fornito l’accesso ai meccanismi della giustizia e, come previsto dalla legislazione nazionale, a giusti ed efficaci rimedi per il danno che hanno sofferto; gli Stati dovrebbero inoltre informare le donne dei loro diritti nel cercare una riparazione attraverso tali meccanismi”. (UNDEVW, Articolo 4 (d)).
Ciò dovrebbe comprendere il riconoscimento del diritto di donne, ragazze e bambine a descrivere con precisione il sesso di coloro che hanno esercitato violenza su di loro. Enti pubblici quali polizia, pubblici ministeri e tribunali non dovrebbero obbligare le vittime di violenza a descrivere i propri assalitori in base al concetto di ‘identità di genere’ invece che al sesso.
Articolo 9
Riaffermazione della necessità di tutela dei diritti di bambini e bambine.
(a) “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.” (UNCRC Articolo 3 (1)). Gli Stati dovrebbero riconoscere che interventi medici atti a ‘riassegnare il genere’ a bambini e bambine tramite l’uso di bloccanti della pubertà, ormoni del sesso opposto e chirurgia non sono al servizio dell’interesse superiore di bambini e bambine. I minori e le minori non hanno raggiunto uno stadio di sviluppo che li renda capaci di fornire un consenso che sia pieno, libero e informato a tali interventi medici, che presentano elevato rischio di avere conseguenze negative a lungo termine sulla loro salute fisica e psicologica, e che potrebbero risultare in conseguenze avverse permanenti, quali la sterilità. Gli Stati dovrebbero proibire l’utilizzo di tali interventi medici su bambini e bambine.
(b) Gli Stati dovrebbero riconoscere che gli interventi medici atti a eseguire la ‘riassegnazione di genere’ di bambini e bambine per mezzo di medicinali e chirurgia costituiscono pratiche dannose emergenti, che rispondono ai criteri delineati nella Parte V della disposizione combinata “Raccomandazione Generale n°31 della Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne/Commento Generale n°18 del Comitato sui Diritti dell’Infanzia” sulle pratiche dannose.
(c) Gli Stati dovrebbero sviluppare procedure di raccolta dati e monitoraggio relative a queste pratiche, ed implementare e attuare leggi finalizzate alla loro eliminazione. Le disposizioni degli Stati dovrebbero includere protezione legale e cure adeguate per tutte le bambine e tutti i bambini che sono stati danneggiati da queste pratiche, così come la disponibilità di risarcimenti e riparazioni.
(d) Gli Stati dovrebbero riconoscere ‘‘il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione.’’ (UNCRC, Articolo 24). Ciò dovrebbe comprendere la protezione dei corpi in piena salute di bambini e bambine dai danni arrecati dall’uso di medicinali e interventi chirurgici finalizzati a trattamenti di ‘riassegnazione di genere’.
(e) Gli Stati dovrebbero vigilare “affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute’’ (UNCRC, Articolo 3). Ciò dovrebbe comprendere misure che impediscano a organizzazioni che promuovono il concetto di ‘identità di genere’ e gruppi di interesse privi di esperienza clinica e di formazione in psicologia infantile, di esercitare influenza sui servizi sanitari per l’infanzia.
(f) Gli Stati dovrebbero rispettare “la responsabilità, il diritto e il dovere dei genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o della collettività, come previsto dagli usi locali, dei tutori o altre persone legalmente responsabili del fanciullo, di dare a quest’ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l’orientamento e i consigli adeguati all’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Convenzione.” (UNCRC, Articolo 5). Gli Stati dovrebbero impedire ad agenzie statali, enti pubblici e privati, medici e altri professionisti del benessere dell’infanzia di intraprendere azioni volte a forzare i genitori ad acconsentire a interventi medici o di altro tipo finalizzati alla ‘riassegnazione di genere’ dei loro figli o delle loro figlie.
(g) Gli Stati dovrebbero riconoscere “il diritto del fanciullo all’educazione, e in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità.” (UNCRC, Articolo 28). Ciò dovrebbe comprendere il diritto dei bambini e delle bambine a seguire programmi scolastici materialmente accurati in relazione alla biologia e alla riproduzione umana, e che includano informazioni circa i diritti umani delle persone dei diversi orientamenti sessuali, tenendo in considerazione la capacità evolutiva e gli stadi di sviluppo psicologico dei bambini e delle bambine.
(h) Gli Stati dovrebbero garantire l’inclusione, nella formazione del personale docente e nei programmi di sviluppo professionale, di materiale accurato in relazione alla biologia e alla riproduzione umana, nonché di informazioni circa i diritti umani delle persone dei diversi orientamenti sessuali, con particolare attenzione al contrasto di stereotipi sessuali e omofobia.
(i) Gli Stati “convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità la preparazione del fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi” (UNCRC, Articolo 29).
(j) Ciò dovrebbe comprendere misure per garantire che non vengano allocati fondi statali a organizzazioni che promuovono gli stereotipi sessuali e il concetto di ‘identità di genere’ negli istituti scolastici, in quanto questo costituisce promozione della discriminazione contro donne, ragazze e bambine.
(k) Gli Stati ‘‘proteggono il fanciullo contro ogni altra forma di sfruttamento pregiudizievole al suo benessere in ogni suo aspetto.’’ (UNCRC, Articolo 36). Ciò dovrebbe comprendere misure giuridiche efficaci e appropriate atte ad abolire: pratiche tradizionali ed emergenti che impongono stereotipi di ruolo sessuale a bambine e bambini; la diagnosi e il trattamento di bambini e bambine considerati ‘nati nel corpo sbagliato’ perché non si conformano agli stereotipi di ruolo sessuale tradizionali;
l’identificazione di giovani ragazze e ragazzi attratti da persone dello stesso sesso come affetti da disforia di genere; e la sottoposizione di minori a interventi medici che potrebbero risultare nella loro sterilizzazione o in altri danni permanenti.