«Il sacramento del matrimonio comporta un impegno preciso: si ama come ama Dio, per sempre. Ci vuole coraggio per amarsi come Cristo ama la Chiesa. Per questo gli sposi coraggiosi son una risorsa essenziale per la Chiesa»,
Narrano le cronache che molti giovani fidanzati abbiano incrociato gli sguardi e mostrato un sorriso di sorpresa nell’ascoltare Papa Francesco mentre vestiva di eroismo l’unione coniugale. Un accostamento all’apparenza provocatorio, in realtà fondato e ben spiegato dal Pontefice, la cui riflessione è arrivata in un mese, quello di Maggio, solitamente nuziale e dunque propizio per interrogarsi sull’essenza e forse pure sul futuro del matrimonio e del sacramento matrimoniale.
In effetti, dentro alla precarizzazione dei sentimenti, tra le onde di una cultura in cui la normalità della relazione sentimentale fra un uomo e una donna è sempre più la convivenza, scelta per essere liberi di lasciarsi a piacimento, la rotta cristiana, richiamata dal Santo Padre, può sembrare simile a quella di certi navigatori del Cinquecento, che allestivano una flotta e sfidavano gli oceani per una terra ignota, sulle carte geografiche inesistente.
Capitani coraggiosi, gli sposi. Qualcuno potrebbe anche obiettare che la pretesa cristiana è troppo grande per gli uomini e le donne di oggi e che, forse, bisognerebbe mitigarla, per non spaventare chi vi si avvicini. Così, in molti casi, il matrimonio si riduce ad una convivenza temporanea di solitudini, gestite alla meno peggio ma sempre pronte a esplodere. Perdonare, soprattutto, riesce difficile, per chi pensa – secondo un costume oggi in voga – di non avere nulla da farsi perdonare. Nella elusione della propria coscienza viene meno anche il nesso con la misericordia per l’altro. E intanto le aspettative, le pretese si moltiplicano: educati come siamo a credere di poter avere tutto ciò che vogliamo, è frontale lo scontro con l’altro che a sua volta ha questa pretesa. Poi, e forse è la questione fondamentale, ognuno crede che tutto dipenda da sé, dalla propria volontà o abnegazione; ed è logorante tenere addosso sempre i panni dell’eroe. Ciò che manca, probabilmente, è la capacità di amarsi totalmente sapendo rispettare l’altro, lasciandogli una sua dignità e una sua intimità spirituale, sapendo che uno più uno, nel matrimonio, non fa due soggettività, ma un soggetto unico e complesso. «La fusione delle anime», ricorda in versi Nazim Hikmet, «è mille volte più difficile della fusione dei metalli. Non nasce in un’ora il vero amore né da scintille a comando sulla pietra. Nasce, invece, lento e si propaga dopo una lunga complicità che lo rafforza». L’amore non è fulminante: anche se nasce da una folgorazione, deve essere costruito e custodito, crescere e rafforzarsi, con coraggio e abnegazione. La sua strada non conosce solo l’esaltazione e la festa, ma anche l’abbattimento e la ferialità, come pure le cadute e il perdono. Non è fatto solo di coccole e di carezze; attraversa pure il tempo dell’oscurità e della freddezza. Ma solo se temprato e costantemente alimentato riesce ad essere autentico e perenne.
Un matrimonio così, cristiano, esiste. Ma deve anche essere appreso, lentamente. Chi vuol saperne di più chieda alle tante coppie che, per fortuna, nella vecchiaia conoscono ancora la fusione delle anime e hanno tanto da dire a quelle che stanno sbocciando. E l’amore così inteso è un amore che va oltre. È eterno.
Monsignor Vincenzo Bertolone