Il contesto nigeriano: uno stato, tanti poteri

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La Nigeria, con i suoi 36 Stati federali (più Abuja, Federal Capital Territory) e 196 milioni di abitanti, rappresenta lo Stato più popoloso dell’Africa.
Prima della colonizzazione da parte del Regno Unito non costituiva un paese unificato e le profonde differenze tra le diverse zone sussistono ancora oggi.
La Repubblica federale nigeriana è divenuta indipendente nel 1960, in quello che viene definito “l’anno dell’Africa”, che ha visto la liberazione di 17 Stati dalle potenze coloniali; la sua storia, seppur breve, è stata costellata da colpi di Stato, con regimi militari e totalitari che si sono susseguiti quasi ininterrottamente fino al 1999, anno in cui è avvenuta la transizione democratica con la promulgazione di una nuova Costituzione. Il processo di costruzione dello Stato è risultato di difficile attuazione, come ricorda anche il Rapporto ISPI La Nigeria in Africa e la politica dell’Italia in Nigeria, e le conseguenze sono ancora visibili, ad esempio nel divario economico tra il Sud e il Nord del Paese.

La Nigeria, infatti, pur essendo oggi una delle maggiori economie dell’Africa, continua a presentare grandi squilibri socio-economici e una profonda sperequazione nella distribuzione della ricchezza tanto da essere definita “un gigante dai piedi di argilla”.
Il 62% della popolazione è in uno stato di estrema povertà: nel Sud del Paese le rendite associate all’estrazione petrolifera sono appannaggio di pochi, mentre la maggioranza della popolazione si è impoverita a causa dello scempio ambientale provocato dall’estrazione del petrolio. La distruzione della fauna ittica in zone in cui era diffusa la pesca, l’inquinamento del suolo coltivabile, l’esproprio delle terre da parte delle multinazionali occidentali e la conseguente distruzione del sistema agricolo su cui si basava la sopravvivenza delle popolazioni presenti sul cosiddetto territorio del Delta del Niger, sono tutti fattori di estremo impoverimento e di disastro ecologico ed economico per intere aree.
Intorno al petrolio si combatte una vera e propria guerra con la presenza, nella zona del Delta del Niger, di 48 gruppi dediti al sabotaggio delle estrazioni del greggio.
Quella della distribuzione della ricchezza e della conseguente indigenza di gran parte della popolazione non è l’unica sfida che il “gigante nero” deve sostenere: a fronte di una complessità geografica e politica molto accentuata, sono diversi i fronti su cui la Repubblica Federale Nigeriana deve agire.

Il 15 aprile 2014 Boko Haram è entrato nelle cronache internazionali, in occasione del rapimento di 276 studentesse di una scuola di Chibok, nel Borno State.
Il gruppo integralista, il cui nome significa “l’educazione occidentale è peccato” e la cui fondazione da parte dell’Imam Mohamed Yusuf risale al 2002, ha come principale scopo quello dell’istituzione di un nuovo califfato e della diffusione della Sharia in tutto il Paese. Dopo la morte in cella del fondatore, avvenuta nel luglio 2009, si è assistito all’emersione di “una componente più estremista, responsabile del sempre più sistematico ricorso alla violenza”.  Il leader attuale, Abubakar Shekau, nel 2014 ha ufficialmente dichiarato il suo appoggio all’ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) e l’attività terroristica si è negli anni pericolosamente intensificata.
Le stime parlano di 1 milione e 800 mila nigeriani sfollati, costretti spostarsi internamente in seguito agli attacchi di Boko Haram, e 191 mila quelli obbligati a lasciare il Paese trovando rifugio in quelli limitrofi.

Nella guerra dichiarata contro Boko Haram anche l’esercito nigeriano si è macchiato di gravi violazioni dei diritti umani, senza che il governo intraprendesse alcuna indagine o muovesse alcun tipo di accuse contro l’operato delle Forze di sicurezza. L’operato dell’esercito nigeriano, d’altronde, è stato messo in discussione in molte altre occasioni, tra le quali vale la pena citare le manifestazioni pro-Biafra che interessano il sud est della Nigeria.

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