Attraverso l’analisi di 60 verbali, relativi alle audizioni effettuate in sede di Commissione territoriale di Roma per il riconoscimento della protezione internazionale nel periodo compreso fra il 2016 e il 2017, sono state identificate le motivazioni alla base della partenza dalla Nigeria, a loro volta incrociate con altre variabili – nello specifico età, data di arrivo in Italia, presenza della famiglia, presenza del giuramento, stato di vittima di tratta, auto identificazione come vittima di tratta, presenza di un debito contratto – allo scopo di rilevare l’eventuale esistenza di una relazione significativa tra di esse.
Le donne i cui verbali sono stati analizzati nell’ambito della ricerca hanno nel 66% dei casi una età compresa tra i 19 e i 24 anni e il loro arrivo in Italia è molto recente – l’86,7% è arrivato fra il 2015 e il 2017. Nella quasi totalità dei casi provengono dallo Stato di Edo e nel 60% continuano ad avere contatti con la propria famiglia di origine, rimasta in Nigeria.
Rispetto alle motivazioni alla base della partenza, è interessante notare come nel 61% dei casi la ragione dell’espatrio sia attribuibile al fenomeno della violenza di genere, dove con questo termine si intende designare “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.
Il rapporto EASO (European Asylum Support Office) sulla Nigeria del 2017 contiene importanti informazioni sulla diffusione della violenza di genere: nel sud del Paese (zona di provenienza della quasi totalità delle donne interessate alla ricerca) la violenza fisica nei confronti delle donne ha una incidenza del 52% e insufficienti appaiono le misure di protezione messe in atto dal governo nigeriano, tanto che il 45% di donne non ha mai cercato aiuto e solo il 2% si è rivolto alla polizia per avere assistenza; la violenza domestica appare come socialmente accettata da molti nigeriani e la polizia stessa spesso si rifiuta di intervenire nei casi di violenza contro le donne, o tende a incolpare la vittima della violenza subita.
Il 33,3% delle donne richiedenti asilo riferisce, nei verbali analizzati, di una situazione di estrema povertà. Sebbene non sia stato sempre possibile comprendere se le donne in questione fossero anche le primogenite, magari in famiglie numerose, la relazione tra la povertà e la posizione all’interno della famiglia, o addirittura la mancanza di rete familiare, dovrebbe essere approfondita, poiché, delle 20 donne che sono partite perché povere e tutte vittime di tratta, ben 8 risultano non avere nessun familiare nel Paese di origine e 5 hanno dichiarato di essere primogenite. Questa condizione è tra gli indicatori rilevati dall’OIM nelle procedure di identificazione delle potenziali vittime di tratta.
Una relazione molto significativa è riscontrabile tra lo stato di vittima di tratta e il giuramento, e tra quest’ultimo e la contrazione di un debito alla partenza. Nel primo caso, delle 59 identificate come vittime di tratta, in 37 hanno fatto il giuramento (in ulteriori tre casi il dato non è rilevato), con un livello di significatività molto alto, pari allo 0,001. Nel secondo caso, il giuramento ha interessato 37 donne sulle 41 che hanno contratto il debito; su 15 donne che negano il debito, 14 non hanno fatto alcun giuramento.
Appare evidente che debito e giuramento risultano strettamente correlati tra loro e si rinforzano reciprocamente nel contribuire al soggiogamento delle ragazze. Il giuramento è da considerare come un potente meccanismo di controllo specifico della mafia nigeriana, utilizzato in modo sistematico allo scopo di soggiogare la vittima anche per molti anni, costringendola ad accettare lo sfruttamento. Secondo Suor Eugenia Bonetti, missionaria da decenni impegnata nel contrasto alla tratta di esseri umani, una ragazza nigeriana per saldare il debito, quando questo si aggira sui 70-80.000 euro, è costretta a non meno di 4.000 prestazioni sessuali. Mancini, Sostituto Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) de L’Aquila, sottolinea come il rituale del giuramento sia un “potente strumento per vincolare gli affiliati e assoggettare le vittime”.
L’ammontare del debito di viaggio negli ultimi anni si è leggermente abbassato, con una forbice più ampia, che va dai 25.000 euro fino ai 60.000. L’abbassamento della cifra è dovuto sia alla diminuzione del prezzo delle prestazioni sessuali – che attualmente vanno dai 10 ai 15 euro – sia al maggior numero di ragazze nigeriane, sia infine alla modalità del viaggio, che negli anni passati avveniva per lo più in aereo, e ora invece attraverso la rotta libica, con un rischio di morte delle ragazze molto più elevato.
Oltre al debito a vincolare le vittime agli sfruttatori è “il timore [..] per eventuali ritorsioni violente nei confronti dei propri familiari rimasti in Nigeria.” Nel momento in cui la ragazza scappa dalla mamam in Italia, o smette di pagare il debito, è frequente che i membri del racket rimasti in Nigeria minaccino le famiglie o con pressioni psicologiche, relative per esempio al rito juju, o con vere e proprie aggressioni fisiche ai danni dei parenti più prossimi.
Rapporto Actionaid “Mondi Connessi, la migrazione femminile dalla Nigeria all’Italia e la sorte delle donne rimpatriate”