
Alcuni musulmani, soprattutto donne, parlano di una necessità di liberarsi dalle pratiche che considerano culturali piuttosto che religiose, chiedendo una maggiore autonomia e autodeterminazione.
Però, quando si affrontano questi argomenti, emerge spesso la questione delle accuse di islamofobia, che possono essere mosse contro chiunque sollevi preoccupazioni sul velo integrale, indipendentemente dalle intenzioni. Questo perché, in molte circostanze, le discussioni sul burqa e il niqab vengono viste come un attacco non solo a una pratica religiosa, ma a un’intera comunità.
Quando si parla di lotta alla diffusione del burqa, è possibile che vengano strumentalizzate le parole, trasformando in un attacco indiscriminato una critica legittima a una determinata pratica.La realtà dice invece che da decenni il mondo musulmano lotta contro il velo integrale. Non parliamo del semplice velo che copre la testa ma del burqa e del niqab che coprono tutto tranne gli occhi, anzi in certi casi anche gli occhi che vedono dietro una stoffa.
Esempi storici di riforma
L’Egitto in primis: all’inizio degli anni Venti, con Hoda Shaarawi, migliaia di donne sono scese per strada, testa nuda. E prima di loro Qasim Amin, il padre del femminismo islamico, e tanti altri. Dal 1924 il velo integrale venne vietato nelle università e negli uffici statali in Turchia dal ‘padre della Nazione’, Kemal Atatürk, che certo non era un imperialista occidentale. In Tunisia avvenne lo stesso dagli anni Cinquanta con Habib Bourguiba, il fondatore della Tunisia moderna. Idem accadde con in Siria con il partito Baath, che ha rinnovato la nazione e che ora è stato messo al bando da jihadisti.
Anche in Iran, prima della Rivoluzione del 1979, Reza Shah Pahlavi aveva vietato il velo integrale nel 1936, come parte di un programma di modernizzazione del Paese. Suo figlio, Mohammad Reza Pahlavi, ha continuato questa politica fino alla caduta del regime. In Afghanistan, durante il regno di Amanullah Khan negli anni Venti, si tentarono riforme simili, vietando il burqa in alcune aree urbane. Più recentemente, in Arabia Saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman ha ridotto le restrizioni sull’abbigliamento femminile, rendendo il niqab non obbligatorio.
Il ruolo dell’Occidente e la modernizzazione
Ogni Stato musulmano per modernizzarsi ha dovuto vietare il velo integrale almeno in certi luoghi. Sicuramente questa modernizzazione è stata favorita dal contatto con l’Occidente. Ma il mondo islamico non ha su questo copiato l’Occidente, non ha mai rivendicato il preteso ‘diritto’ all’aborto, scendendo per strada e gridando «Il corpo è mio!». Non ha mai rivendicato il preteso ‘diritto’ all’omosessualità in nome della modernità. Ma ha affermato il diritto delle donne alla parità, sul campo del lavoro come della libertà.
Un imperialismo islamico, non occidentale
Se c’è un imperialismo legato al velo, non è quello occidentale, ma piuttosto islamico. Per gli islamisti, il velo non serve tanto a islamizzare l’Europa, ma a controllare i musulmani ovunque siano, imponendo loro regole precise in nome della religione. Questo permette di influenzarli più facilmente, e l’influenza spirituale è sempre accompagnata da flussi di denaro che arricchiscono pochi e non le masse mussulmane.
L’islam radicale e il controllo attraverso i simboli
Si assiste a una radicalizzazione dell’islam che punta più sull’apparenza che sulla spiritualità. Vengono enfatizzati simboli esteriori come il modo di vestire, la barba, il rifiuto di stringere la mano alle donne e la separazione tra i sessi. La pratica religiosa si è svuotata del suo significato più profondo: il Ramadan è spesso un mese di grandi banchetti, anche se dovrebbe essere di digiuno; “Allah(u) akbar”, che significa “Dio è più grande”, viene usato dai terroristi per incitare alla violenza; la preghiera, da dialogo con Dio, è ridotta a gesti rigidi e codificati.
Il velo come strumento politico
Alcune donne scelgono il velo per motivi personali, ma nel mondo islamico è ormai un atto politico
L’imperialismo non appartiene solo all’Occidente. Anche se in passato ha assunto forme economiche e politiche, oggi nel mondo islamico si manifesta soprattutto come un’imposizione religiosa. Il velo non è un obbligo islamico, perché il Corano non lo prescrive chiaramente. Ancora oggi, gli studiosi discutono il significato dei pochi versetti che ne parlano. Inoltre, la parola araba “hijab” non significa propriamente “velo”, ma più in generale “ciò che copre o nasconde”.
Il paradosso del divieto del velo integrale alla Mecca
Se il velo integrale fosse davvero un obbligo religioso, come mai perfino l’Arabia Saudita lo vieta alla Mecca? Nel luogo più sacro dell’islam, durante il pellegrinaggio, le donne non possono coprirsi completamente il volto con il burqa o il niqab, perché il contatto e il riconoscimento tra i fedeli sono considerati essenziali. Questo dimostra che l’imposizione del velo integrale è più una questione ideologica che spirituale.
Un’arma politica contro la globalizzazione
Nel mondo islamico, il velo è da alcuni decenni un’arma politica per un progetto globale di islamizzazione della società, in contrapposizione alla globalizzazione rappresentata dall’Occidente. Questo viene confermato da numerosi articoli su testate come Middle East Transparent, che riportano anche l’opinione di Gamal al-Banna, fratello del fondatore dei Fratelli Musulmani, il quale nega che il velo sia un obbligo chiaro nell’islam.
Libertà di scelta o imposizione?
Quando si vedono migliaia di bambine di cinque o sei anni indossare il velo integrale, come si può credere che a sedici anni lo scelgano liberamente? Il non-divieto del burqa apre la porta a pressioni morali e sociali che di fatto limitano la libertà individuale. In questo contesto, il divieto del velo nelle scuole e negli uffici statali non toglie libertà, ma la protegge.
Norme per garantire una vera libertà
Per un islam libero, moderno e spirituale, è necessario adottare misure che garantiscano la libertà delle donne, proteggendole dalle imposizioni. Questo non significa imporre un’ideologia occidentale—che spesso ha anch’essa tratti imperialisti o illiberali —ma conoscere la realtà islamica odierna e contrastare la strumentalizzazione della religione per il controllo sociale. L’obiettivo dei fondamentalisti è re-islamizzare in chiave estremistica i musulmani ovunque siano, imponendo loro comportamenti prestabiliti e attribuiti all’islam per poterli manipolare meglio. Se il burqa viene imposto alle bambine, come si può poi fingere che le adolescenti lo scelgano davvero?
Serve quindi un divieto generalizzato di portare il burqa e il niqab e punire chi lo impone diffondendo permessi di soggiorno speciali per le donne che si ribellano o che hanno subito imposizioni.
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