Adolescenti mandate in Europa da e per la famiglia

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Foto di Engin Akyurt da Pixabay

Sicuramente le ragioni che spingono i giovani a compiere viaggi così lunghi ed estenuanti sono complesse; ma indubbiamente una tra le principali ragioni che ha condotto ad una graduale diminuzione dell’età dei migranti è riscontrabile nelle crescenti difficoltà che gli adulti incontrano nel portare a compimento i loro viaggi; soprattutto in un clima che ha visto l’intensificarsi dei controlli alle frontiere, l’emergere di nuovi e più severi accordi internazionali e l’affermarsi di più rigide politiche di espulsione.

Nel caso delle giovani nigeriane, tra i motivi del viaggio verso l’Europa ci sono l’“immobilità” sociale nel paese d’origine per l’eccessivo autoritarismo esercitato dai più anziani verso i più giovani, le condizioni economiche molto precarie dei paesi d’origine e soprattutto i redditi assolutamente non equiparabili a quelli delle società occidentali; è quest’ultima ragione il principale motivo all’origine della partenza.

Nelle odierne migrazioni un ruolo non trascurabile è svolto dai moderni mezzi di comunicazione. Si pensi ad esempio all’importanza dei telefoni cellulari che possono diventare uno strumento grazie al quale giovani donne possono custodire gli affetti e i ricordi attraverso fotografie, canzoni o messaggi. Questi strumenti finiscono per diventare i simboli di una modernità incombente che si contrappone ad una cultura o una tradizione pressochè immobile. Più in generale i mezzi di comunicazioni di massa hanno sempre rappresentato uno strumento necessario sia a direzionare i flussi migratori sia ad incentivare la partenza, soprattutto in seguito alla diffusione di una serie di immagini miranti a raffigurare un occidente ricco e sfarzoso dove è possibile ottenere facili e copiosi guadagni.

Scrive Del Grande “i racconti di chi è arrivato in Italia e ce l’ha fatta alimentano un immaginario già viziato da anni di studi eurocentrici, pellicole americane, telefilm italiani e francesi trasmessi sui canali satellitari, pubblicità, campionati di calcio oltre che ore e ore di navigazione su internet”.

Certamente una delle ragioni che spinge le ragazze a partire è anche la volontà di allontanarsi da modelli familiari e culturali percepiti in quanto primitivi ed estremamente vincolanti oltre che poco condivisi, soprattutto, dalle nuove generazioni che nelle grandi città della Nigeria abbracciano lo stile di vita caratteristico delle società occidentali che si è imposto in molte città africane con una vivacità sempre maggiore.

A questi fattori, generatori di fuga, si va ad aggiungere un tasso di disoccupazione giovanile sempre più in crescita che colpisce prevalentemente le donne. In queste circostanze sono sempre di più le ragazze che decidono di lasciare il loro paese per trasferirsi all’estero, di cui l’Italia è una delle mete.

L’esperienza di Torino

Torino era stata, già prima degli anni ‘80, una meta privilegiata per i giovani anche in virtù delle particolari facilitazioni che il governo italiano aveva riservato agli immigrati dalla Nigeria, partner economico nel settore automobilistico; i primi migranti di provenienza nigeriana arrivarono nel nostro Paese per continuare gli studi e per specializzarsi, soprattutto nel settore ingegneristico. Su questo primo gruppo si innestò poi l’immigrazione organizzata e massiccia delle donne nigeriane.

Come accade in tutti i contesti migratori i soggetti che decidono di migrare cercano di spostarsi seguendo un sistema di reti già consolidato; in questo modo le madam e i loro affiliati finiscono per concentrarsi in aree in cui la presenza di connazionali è numericamente forte.

Le imprese migratorie hanno sempre più spesso origine per iniziativa di singoli individui, in genere giovani, che si spostano alla ricerca di nuove possibilità di impiego e soprattutto di realizzazione personale. Ora se la scelta del viaggio si presenta sempre più come una scelta individuale e personale non è corretto affermare che tale asserzione valga in generale. Infatti nel corso del lavoro mi sono dovuta confrontare con una serie di racconti (reali e fittizi) e situazioni tra loro molto differenti. Per molte ragazze, incontrate in questi mesi, la decisione della partenza ha rappresentato una scelta consapevole e autonoma; alcune ragazze hanno riferito di aver fatto tutto da sole: “Volevo partire, ho fatto tutto sola grazie ai contatti di una amica che era già viaggiato in Italia! Alla fine sono partita!”

Quando è la ragazza ad organizzare il viaggio spesso i genitori non sono a conoscenza del progetto migratorio e la decisione viene comunicata ai membri familiari solo una volta giunto il momento della partenza. Alcune ragazze hanno confermato di essere partite contro la volontà delle loro famiglie le quali temevano che le ragazze, una volta giunte a destinazione, si sarebbero cacciate trovate in brutte situazioni. I manifesti pubblicitari che disincentivano le ragazze e le loro famiglie alla partenza sono ormai affissi in tutti i grandi centri nigeriani e inoltre la questione è abbondantemente affrontata anche dai media locali e dall’industria cinematografica di Nollywood.

In Nigeria il traffico di giovani donne ha dato origine all’affermazione di politiche che tendono a criminalizzare la prostituzione senza però proporre soluzioni al problema. Ad esempio lo stato dell’Edo, identificato come centro propulsore per il traffico di giovani donne, ha emanato delle leggi contro il traffico di esseri umani e contro la prostituzione delle donne. Nonostante la presenza di tali norme il numero delle giovani donne trafficate continua ad aumentare (fino ad inzio 2018, nel 2019 c’è stato crollo del 99%). Per fronteggiare il problema è stata creata un’agenzia nazionale la NAPTIP il cui scopo è quello di arrestare e perseguire i trafficanti.

L’esperienza del viaggio intrapreso a qualunque costo resta un’opzione desiderabile e rappresenta un’occasione per giocarsi un’opportunità oltre che per scommettere su un futuro che, per molti, non può essere peggiore del presente. Oggi quasi sempre le giovani nigeriane sono consapevoli del fatto che dovranno lavorare come prostitute tanto che forse sarebbe opportuno parlare, a proposito di tali viaggi, più che di meccanismi d’inganno di forme di autoinganno.

È ormai risaputo, negli stati più interessati dal fenomeno, che in seguito al viaggio le possibilità di guadagnare in un qualche ambito diverso dalla prostituzione sono molto poche tanto che Braimah ha affermato che “nello Stato dell’Edo, in particolare nella città di Benin City, la prostituzione all’estero è stata normalizzata ed è stata dipinta come un’attività ricca di glamour e come un modo di guadagnare molto denaro in valuta forte”. I familiari che in passato avrebbero ripudiato la figlia prostituta hanno finito per tollerare questa figura in quanto importante fonte di reddito in un momento storico incerto: per un “povero” nigeriano arrivare in Europa per arricchirsi rappresenta comunque un momento positivo. In passato a partire erano prevalentemente coloro che riversavano in condizioni di forte povertà, privi d’istruzione o con un’istruzione incompleta (spesso le ragazze non avevano completato neanche l’istruzione primaria) e che una volta arrivati a destinazione mostravano non poche difficoltà nell’apprendimento della nuova lingua.

Nel clima attuale la partenza non è necessariamente binomio di povertà e analfabetismo; infatti, sempre più spesso, le ragazze che oggi arrivano nell’area torinese hanno discreti livelli d’istruzione.

Queste donne al contrario di quanto si potrebbe pensare non sono “deboli, stupide o passive; finiscono in questa posizione perché non vogliono accettare le limitazioni della situazione, perché sono intraprendenti, coraggiose e disposte a prendere iniziative per migliorare le loro condizioni di vita e quelle delle loro famiglie. Ma è da qualche parte nel processo che rimangono intrappolate”.

M., ad esempio, è una ragazza di Benin City che al momento del nostro incontro ha affermato di vivere a Torino da circa due mesi. È arrivata in Italia tre mesi fa e per il primo mese ha vissuto a Lecce; da qui ha preso il treno per raggiungere Torino e adesso vive a casa di un’amica. M., che in strada è molto discreta nelle movenze e sobria nell’abbigliamento, mi ha colpito per la sua ottima conoscenza dell’inglese “scolastico” e per la capacità di padroneggiare già molti vocaboli, anche complessi, della lingua italiana (considerando il suo recente arrivo in Italia!). M., ha affermato di conoscere molto bene l’inglese e di averlo appreso a scuola; prima della partenza per l’Italia la ragazza frequentava un corso presso l’Uniben, l’Università di Benin City. Afferma di conoscere un po’ d’italiano perché aveva iniziato a studiarlo poco prima della sua partenza. Ho provato a chiedere il perché avesse deciso di abbandonare gli studi e partire per l’Italia; inoltre ho chiesto se era a conoscenza dell’attività che avrebbe svolto una volta giunta a destinazione. M. ha annuito sorridendo e sempre con quel sorriso stampato sul volto ha affermato: “Is’t a long story, but the reason for the start is money! I know you know it!.

Le ragazze che decidono di partire da sole non incoraggiate dalle loro famiglie finiscono per compiere un atto di disobbedienza che ha, forse, come obiettivo quello di capovolgere il tradizionale sistema gerarchico basato sulle classi di età.

Lo sfruttamento sessuale finisce per configurarsi come un’anomala scala di mobilità sociale grazie alla quale gruppi discriminanti e sprovvisti di opportunità lecite di avanzamento possono migliorare sensibilmente la loro condizione economica attraverso mezzi illeciti.

Negli attuali stati meridionali dell’Edo e del Delta la suddivisione della popolazione per età rappresenta ancora oggi l’ordine gerarchico principale operante a livello di comunità locale. Gli anziani rappresentano il gruppo che esprime le principali decisioni della comunità e gli appartenenti alle classi di età via via inferiori devono obbligatoriamente accettarne la leadership.

Sebbene oggi la decisione della partenza si configuri per i giovani sempre più come una scelta individuale l’espatrio è, ancora in alcuni casi, deciso dai genitori ed ha lo scopo di contribuire al benessere della famiglia nel suo complesso. In questo caso sono le stesse famiglie ad investire direttamente, in termini economici e psicologici, nel viaggio spingendo il proprio membro familiare ad aderire alle proposte fatte da persone in vista, interne alla comunità o da conoscenti (Prina, 2003).

Una ricerca condotta molti anni fa dall’United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute poneva l’accento su come ogni famiglia Edo avesse almeno un componente familiare coinvolto nella tratta o come trafficante o come madame.

Per i giovani la partenza rappresenta sempre un momento importantissimo: la possibilità di emigrare fa si che anche i più giovani siano investiti di responsabilità affinché possano, all’interno di un sistema politico a base gerontocratica, ricoprire un ruolo nevralgico all’interno di un progetto familiare. In questo modo la partenza finisce per presentarsi come un elemento di prestigio per la figlia prescelta soprattutto se minorenne; la giovane ragazza viene mandata all’estero per risollevare le sorti dell’intero nucleo familiare. In questo modo, anche se involontariamente, i genitori o i membri più anziani della famiglia attivano nelle ragazze un processo di cambiamento che conduce ad una trasformazione del suo status sociale.

La partenza, per quelle ragazze che versano in condizioni di povertà ed emarginazione, non può essere intrapresa facilmente ed è possibile solo in seguito alla contrazione di un debito. Anche quando sono i genitori responsabili della partenza delle ragazze il debito, che la famiglia contrae nei confronti della madame, finisce per gravare automaticamente sulle giovani che dovranno assumersi da sole ogni responsabilità. Si assiste così ad un trasferimento di responsabilità dai membri più anziani della famiglia a quelli più giovani, dal momento che è chi compie fisicamente il viaggio che risponderà in prima persona alle istanze di restituzione del debito precedentemente contratto. Questo rappresenta per le minori un evento traumatico, uno tra i tanti, che produce una iper-personalizzazione e una sostanziale spersonalizzazione con la conseguente progressiva riduzione e perdita di identità che si manifesta nel corso di pochi mesi dall’avvenuta emigrazione (UNICRI, 2010, p. 33).

Queste considerazioni sono importanti per comprendere come la decisione di intraprendere il viaggio porti in ogni caso a ridefinire i tradizionali ruoli svolti dai differenti attori sociali che prendono parte, attivamente o passivamente, al progetto migratorio.

La partenza comporta inevitabilmente una serie di trasformazioni e fa emergere un bisogno concreto: ridefinire i rapporti di dominio.

Tra i gruppi etnici Edo, Esan, Igbo, Urhobo e Yoruba, che rappresentano i gruppi maggiormente presenti nella città di Torino, i rapporti di potere sono connessi con quel tradizionale sistema politico che prevede l’assoluto rispetto dei giovani nei confronti degli anziani oltre che la totale dipendenza delle donne nei confronti degli uomini. È proprio nel momento della partenza che i tradizionali ruoli svolti dai differenti membri familiari finiscono inevitabilmente per sfaldarsi.

Per le ragazze che decidono di partire autonomamente il momento di rottura potrebbe essere individuato proprio nell’ostinazione a voler compiere il viaggio anche contro la volontà dei propri familiari. Questo passaggio produce un cambiamento nella relazione: la giovane adolescente scegliendo di partire finisce per non rispettare i parenti più anziani e così facendo viene meno all’ordine sociale stabilito. Nel caso in cui, invece, la partenza avviene per volontà della famiglia questa rottura con l’ordine sociale stabilito si verifica solamente una volta che il soggetto sarà giunto a destinazione. Quindi, almeno in un primo momento, la donna si sente investita di un’importante responsabilità cioè quella di contribuire al sostentamento dei membri familiari rimasti a casa che ne hanno sostenuto e promosso la sua partenza. Ma una volta arrivata a destinazione la ragazza sente il bisogno di dover ridefinire il proprio status sociale. Queste giovani donne si renderanno conto di essere le sole responsabile del debito contratto ed è in quest’ottica che ciò che un tempo era sentito come un progetto migratorio collettivo finisce per diventare individuale. Le giovani migranti sole e senza punti di riferimento cercano di far dialogare tra loro due sistemi politici, sociali e culturali completamente differenti. I sistemi gerarchici adottati nel paese d’origine finiranno, quindi, per scontrarsi con quelli caratteristici dei territori di nuovo insediamento.

Uno dei passaggi relazionali più complessi, per i migranti di molti paesi, consiste proprio nella transizione da un modello di rapporti plurali e responsabilità condivise che si realizza in seno alla famigli allargata a quello della personalizzazione dei legami e della responsabilità individuale tipica della famiglia nucleare, su cui si fonda anche il quadro dei riferimenti giuridici del nuovo ambiente.

Le ragazze che partono (a prescindere da quale sia stato il motore della decisione) spesso sono colpite da un senso di abbandono a cui segue una condizione di forte isolamento che è necessaria affinché le giovani donne possano ricostruire delle nuove relazioni nel territorio di destinazione. Quanto detto ci può aiutare a comprendere come mai i soggetti presi in carico nelle strutture di accoglienza manifestino in alcuni casi atteggiamenti conflittuali e oppositivi nei discorsi relativi ai membri della propria famiglia.

Dalla mia esperienza è emerso, in più casi, un rifiuto nei confronti dei propri familiari e in qualche caso si è manifestato anche il desiderio di rimozione dei propri cari.

T., che non ha ancora compiuto 18 anni e che è stata venduta dai suoi genitori in giovane età, sembra aver voluto rimuovere ogni ricordo della sua famiglia. Quando le ho chiesto se avesse voluto far ritorno, una volta raggiunta la maggiore età e ottenuto tutti i documenti necessari per l’espatrio, nel suo villaggio d’origine ha sorriso e con una particolare inflessione della lingua italiana che padroneggia assai bene ha affermato: “in Nigeria si ma non per sempre! La Nigeria è bella, fa caldo e c’è tanto sole no come qua! Ma io non voglio ritornare nel mio villaggio ma magari posso tornare in un’altra città vicina”.

L,è nata in una famiglia numerosa che professa il credo pentecostale ed è l’unica della famiglia ad essere migrata in Italia: “le mie sorelle avevano già figli e quindi sono venuta io, ma non sono né la più grande né la più piccola delle donne”. Quando T. parla della sua famiglia fa un’enorme confusione tra i nomi dei suoi fratelli e delle sue sorelle e anche i nomi dei suoi nipoti non vengono ricordati e spesso si sovrappongono nella sua memoria; mi dice chiaramente che parlare della sua famiglia non le piace affatto e conclude il discorso con un’esclamazione che sembra essere per lei quasi liberatoria e che è emersa in differenti circostanze: “fuck my family, fack my mother, fack my father!”.

In questo caso ci troviamo davanti ad una situazione ancora diversa: qui la ragazza non decide di migrare in seguito ad una scelta autonoma e consapevole, né parte in seguito alla decisione della famiglia che investe risorse nella speranza di poter raggiungere poi, grazie alle rimesse, una certa stabilità. Qui la ragione della partenza è insita nella vendita di quella che potrebbe essere definita come una merce vivente.

Per tutte le ragazze che partono il desiderio di “normalità” è associato all’accumulo di oggetti che è alla base di una profonda simbologia della modernità. Il mondo moderno viene percepito dai giovani come fatto di tempo libero, svago, realizzazione di sé, riconoscimento sociale, senso di utilità e crescita personale.

Al di là dell’effettiva utilità le “cose normali” rappresentano quel mondo “moderno” che, come ha sottolineato con eloquente efficacia lo psicanalista tunisino Fethi Benslama, produce e si fonda sul “desiderio di essere altro”.

Il desiderio di mobilità che attraversa i percorsi di vita di queste donne non stupisce affatto. La mobilità è stata un tratto che ha contraddistinto molti degli stati a Sud della Nigeria sia in periodo pre-coloniale sia durante la post colonia. Il tema della mobilità dei giovani mi fa ritornare alla mente una conversazione avuta con una delle mie interlocutrici.

G., sapendo del suo immediato trasferimento in un paese nella prima periferia di Torino mi invita a casa sua per un saluto. Mostra un grande entusiasmo. È molto felice per il suo trasferimento e afferma: “sono felice perché per la prima volta nella mia vita parto per una cosa bella perché mi sposo”. G. mi racconta che appena ha potuto è partita. Ha vissuto in molte città sia in Africa sia in Europa.

“io mi sono sempre spostata … tipo già a 10 anni, sono dovuta andare lontano da casa. Ho vissuto in tanti posti e con tante persone. Molto spesso la gente che ho incontrato non era brava con me! Ma cosa devi fare? C’è una parola habibakopike che da noi si dice per dire poveraccio! Io ero habibakopike e quando sei poveraccio devi solo sopportare e non puoi fare niente, poi ti devi spostare da un posto all’altro, devi guadagnare… ehh! È così! Questa volta sono felice perché forse posso costruire la mia vita. Quando sono venuta ho sperato di poter ricostruire una nuova vita più bella. Ora forse posso farlo!”

Lo studio condotto nel 2004 nella città di Benin City e apparso su Social Science & Medicine, mi sembra significativo per sottolineare come la prostituzione internazionale non rappresenti più un tabù nei territori di origine delle donne che migrano. Lo studio è importante perché dimostra come la scelta di partire sia ormai condivisa da gran parte dei giovani che vivono nella città di Benin. La ricerca condotta e progettata per comprendere le esperienze, gli atteggiamenti e le conoscenze nei riguardi del traffico sessuale delle donne aveva lo scopo di provare a creare nuove strategie d’intervento per arrestare il flusso delle donne.

La ricerca è stata condotta su un campione di giovanissime ragazze di età compresa tra i 15 e i 25 anni. I risultati ottenuti mostravano che una gran parte delle donne, che aveva aderito allo studio, aveva sentito parlare di traffico di sesso internazionale e molte ragazze conoscevano direttamente qualcuno che viveva all’estero e che era stato indotto alla prostituzione.

I dati fecero emergere alcuni principali fattori di rifiuto nei confronti della prostituzione internazionale come ad esempio il rischio maggiore di contrarre malattie sessualmente trasmissibili che inducono alla morte come AIDS; la sensazione di provare disagio nei confronti della famiglia ma soprattutto la necessità di dover ritardare l’età del matrimonio. Emersero dallo studio anche alcuni fattori di attrazione nei confronti di tale attività; in tal caso la prostituzione all’estero veniva legittimata in quanto finiva per essere vista come l’unico mezzo vitale e veloce di sostentamento economico. Nonostante queste premesse per una ragazza la possibilità di partire sembra annullare ogni rischio, il sogno è piu’ grande dell’evidenza.

parzialmente tratto dalla tesi di laurea di Pecoraro Federica “Essere ‘omomo’, essere ‘edede’. Giovani ragazze nigeriane a Torino tra desiderio di successo e tutela delle minori.”

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