I trans vittime di tratta

legs-2635038_1280
Foto di Daniel Reche da Pixabay

Tratta e sfruttamento delle persone transessuali: un fenomeno a dir poco sconosciuto, ma che dà vita a un business fiorente basato sulla coercizione e la minaccia e non solo come si crede, sulla scelta volontaria. 

Proprio come accade per le donne nigeriane, spesso sono altre persone transgender a sfruttare chi è nella loro stessa condizione: individui che, prima di diventare sfruttatori, sono stati a loro volta sfruttati. Tra le nigeriane esistono le maman, mentre in Brasile vengono chiamate cafetinas; sono persone che organizzano reti di sfruttamento delle cosiddette “figliole” e, talvolta, anche delle “nipoti” attraverso giri più complessi.

Le analogie continuano, poiché anche per la tratta dal Brasile viene usato il voodoo, che in Brasile si chiama Candomblè e condivide molte delle stesse divinità e tradizioni dell’Edo State in Nigeria.

Le persone transgender vengono contattate e convinte con la promessa di emigrare in Italia per sottoporsi a interventi di chirurgia plastica o comunque per guadagnare più denaro per le loro famiglie. Al momento della partenza e durante il loro soggiorno in Italia, contraggono un debito che non sempre riescono a saldare.

Lo sponsor richiede circa 10-12 mila euro più il costo del biglietto aereo per una città europea, che si aggira intorno ai 2 mila euro, e i soldi per i traghettatori che li portano in Italia, generalmente tra i 300 e i 400 euro. In Italia, dovranno anche pagare la piazzola di prostituzione (il joint), che costa intorno ai 3-4 mila euro, ma può arrivare anche a 6-8 mila euro se la cafetina deve a sua volta pagare un’altra sfruttatrice, creando così un sistema di sfruttamento a più livelli.

A questi costi si aggiungono quelli per vitto e alloggio: un posto letto costa tra 250 e 300 euro a settimana, mentre il vitto si aggira sui 150-200 euro. Inoltre, il passaggio andata e ritorno al posto di lavoro, almeno nei primi tempi quando la persona transgender non è ancora riuscita a organizzarsi autonomamente o con qualche cliente, costa circa 40 euro al giorno.

A tutto questo si aggiungono i costi cosmetici a cui le persone transgender si sottopongono, come il silicone e altri interventi estetici. Per risparmiare o velocizzare, spesso si ricorre alle “bombere”, costruttrici clandestine di corpi illegali, che operano in condizioni sanitarie estremamente rischiose e precarie. In questo caso, i prezzi si aggirano sui 3 mila euro per rifarsi i fianchi o i glutei e sui mille per il mento, la fronte o le labbra.

Per saldare il debito spesso servono dai 2 ai 4 anni, ma uno dei grandi problemi è che le persone transgender non percepiscono la loro condizione come quella di persone sfruttate. Chi fatica a pagare il debito, subisce troppe violenze o si stanca della vita da sfruttato e decide di uscire dal sistema, cerca di accedere ai programmi di protezione sociale, che richiedono la denuncia dei propri sfruttatori.

L’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione contempla due percorsi differenti: quello giudiziario, che prevede la denuncia dello sfruttatore da parte della vittima, e quello umanitario o sociale, che non richiede la denuncia. Purtroppo, le denunce sono poche per il timore di ritorsioni sui familiari.

bangladesh-162238_1280

Modalità e motivi della presenza bengladese in Italia (2024)

happiness-839037_1280

Il “gioco d’azzardo” e la tristezza interiore dell’Europa