Malattie infettive nel mondo delle dipendenze

È importante premettere che la considerevole disomogeneità interregionale nella quota di utenti testati e positivi ai marker per le patologie infettive non permette un’interpretazione univoca dei dati e delle differenze rilevate. Per consentire un confronto è essenziale ottenere una raccolta di dati omogenei. L’estrema variabilità interregionale, inoltre, risente della mancata rilevazione di questo tipo di informazione dovuta a criticità nella fase di registrazione sui sistemi informatici. Il dato relativo alle patologie infettive ha una dimensione regionale, ciò significa che se un assistito si rivolge a SerD diversi della stessa regione viene comunque rilevato una sola volta. Per tale motivo il totale degli utenti trattati in queste analisi ammonta a 137.533 soggetti (che non coincide con il numero considerato nella parte di analisi dell’utenza, pari a 143.271 soggetti).

Soggetti testati e positività al virus HIV Nel corso dell’anno 2016 i SerD hanno testato 46.425 soggetti tossicodipendenti, il 34,0% degli utenti trattati: l’1,7% dell’utenza totale, cioè 2.365 soggetti, è risultata positiva al virus HIV. La distribuzione territoriale degli utenti positivi al virus HIV mostra un’ampia variabilità fra regioni, con percentuali di positività che vanno da 0 a 5,3%.

I soggetti testati corrispondono al 34% di tutti gli utenti in trattamento.

Il 2% di tutti gli utenti in trattamento è risultato positivo al test HBV.

Gli assistiti tossicodipendenti testati per il virus HBV nel corso dell’anno 2016 sono stati 29.118, pari al 21,2% della utenza totale, percentuale che raggiunge il 27,4% tra gli utenti che usano sostanze per via iniettiva. Il 2,0% di tutti gli utenti trattati è risultato positivo, mostrando un’elevata variabilità a livello territoriale, che va da un minimo di 0,0% ad un massimo di 1,3%, con una sola regione che si colloca al 18,1% (Piemonte).

Prevalenza dell’HCV: variazione nazionale. “L’epatite virale, in particolare l’infezione causata dal virus dell’epatite C (HCV), mostra una prevalenza elevata tra i consumatori di droga per via parenterale in tutta Europa. Su 100 persone che hanno contratto l’HCV (positive agli anticorpi), un numero compreso tra 75 e 80 svilupperà l’infezione cronica. Ciò comporta gravi conseguenze nel lungo termine, perché l’infezione cronica da HCV, spesso aggravata dal forte consumo di alcol, sarà responsabile di un numero crescente di decessi e di casi di gravi epatopatie, compresi cirrosi e cancro, tra i consumatori di stupefacenti ad alto rischio che invecchiano.”

Sono stati testati per il virus HCV 28.197 assistiti, il 20,5% del totale dei soggetti trattati, quota che risulta pari al 27,0% tra i soggetti che usano sostanze per via iniettiva. Per il 9% degli utenti in trattamento, cioè 12.380 soggetti, il test è risultato positivo, mostrando anche in questo caso un’importante variabilità territoriale: la proporzione di utenti positivi per il virus HCV è compresa tra lo 0,4% e il 35,6%.

Il 9% di tutti gli utenti in trattamento è risultato positivo al test.

Focalizzando l’attenzione sui soggetti tossicodipendenti che usano eroina e/o cocaina per via iniettiva, si osserva che per ogni sostanza le percentuali dei soggetti sottoposti al test per HBV e HCV, sono simili, e si aggirano intorno al 28% per eroina e al 30% per cocaina.

Diffusione di epatiti virali acute in soggetti tossicodipendenti

Nel 2016 al SEIEVA sono stati segnalati 38 casi di epatite virale acuta in soggetti consumatori di droghe: 20 casi sono per epatite C, 10 per tipo B e 8 per tipo A. È stato notificato 1 caso di epatite E, che tra i fattori di rischio riportava un viaggio in India (area endemica per questo tipo di epatite), mentre non si sono verificati casi di epatite acuta di tipo Delta. I casi segnalati di epatite A e B sono tutti soggetti tossicodipendenti di genere maschile, mentre sono 5 le donne segnalate per epatite acuta di tipo C.

Nel 2016 sono stati segnalati 38 casi di epatite virale acuta in soggetti consumatori di droghe.

Dal 1991 al 2016 in soggetti utilizzatori di droghe sono stati complessivamente segnalati 351 casi di epatite A, 1.719 di epatite B, 1.358 di epatite C e 84 per epatite Delta. Nel corso dell’ultimo ventennio è evidente il calo dei casi di epatite virale acuta in soggetti tossicodipendenti, soprattutto quelli per epatite B e C.

Tra i soggetti tossicodipendenti, il numero di casi di epatite B è diminuito molto rapidamente nei primi 10 anni di osservazione e, dal 2002 in poi, i casi di epatite C risultano più numerosi di quelli per epatite B, plausibilmente grazie alla strategia vaccinale anti epatite B, introdotta in Italia per legge nel 1991 per tutti i nuovi nati e i dodicenni.

Le epatiti virali acute sono in calo tra i soggetti tossicodipendenti.

Il numero di casi di epatite A è rimasto pressoché costante negli anni, con frequenti picchi in corrispondenza di focolai epidemici, mentre dal 2008 non si sono verificati casi per epatite Delta (fino ad allora presenti perlopiù in coinfezione con epatite B).

La notifica annuale di nuovi casi di epatite A e B tra i tossicodipendenti, potrebbe dipendere dal fatto che il 68% di questi casi viene gestito direttamente dai SerT e che solo alcuni di questi Servizi offrono direttamente le vaccinazioni anti-epatite A e antiepatite B, mentre i restanti demandano tale compito ai servizi territoriali di vaccinazione che non effettuano offerta attiva. Dal 1991 al 2016 in soggetti tossicodipendenti si sono verificati 3 decessi fra i casi di epatite A e 5 fra i casi di epatite B (nessun decesso fra i casi di epatite C e Delta). Per quanto riguarda l’epatite A, l’analisi ha evidenziato una letalità significativamente maggiore nei tossicodipendenti (0,9%) rispetto a chi non assume droghe (0,05%). Nel corso degli anni, i casi di epatite acuta hanno riguardato per la maggior parte giovani adulti, con una età più elevata tra i casi di epatite B, plausibilmente a causa dell’introduzione dell’obbligo di vaccinazione nel 1991. Come atteso in base all’epidemiologia dell’epatite virale acuta, soprattutto B e C, la maggior parte dei casi osservati in soggetti tossicodipendenti è di genere maschile. Per quanto riguarda la cittadinanza, la percentuale di stranieri tra i casi di epatite A rispecchia la distribuzione che essi hanno nella popolazione generale: l’8% circa di immigrati regolari più un valore stimato di circa il 6% di irregolari, mentre la stessa percentuale è maggiore tra i casi di epatite B, il 27,6% dei quali sono stranieri.

La percentuale di stranieri tra i casi di epatite C è inferiore a quella presente nella popolazione generale. La maggior parte dei casi di epatite in tossicodipendenti stranieri proviene dall’Africa (8 casi di B e 3 di C) e dall’Europa dell’Est (7 casi di B e 3 di C). Nei sei mesi precedenti l’insorgenza dell’epatite acuta, tra i fattori di rischio da menzionare sono i casi di partner sessuali multipli, soprattutto tra i tossicodipendenti con epatite A e B.

Tra i casi di epatite C, il 21,3% aveva un convivente o partner sessuale con epatite cronica di tipo C. Una percentuale rilevante di casi di epatite A e B (10%) riportava una co-infezione con il virus HIV.

Nel complesso circa l’80% dei casi di epatite C acuta in soggetti tossicodipendenti riporta l’assunzione di droghe per via endovenosa.

Dal 2013 il SEIEVA raccoglie il dettaglio sulla modalità di assunzione delle droghe: per i casi di epatite A e B si evidenzia che la principale modalità di assunzione è quella per inalazione (72% per entrambi i tipi di epatite), mentre fra i pazienti affetti da epatite C, il 49,3% assume sostanze per via endovenosa, il 20,9% per inalazione e il 29,8% per via endovenosa e inalazione.

HIV e AIDS tra i consumatori per via iniettiva

Le nuove diagnosi di infezione da HIV tra gli IDU. Nell’anno 2015 sono state segnalate 112 nuove diagnosi di infezione da HIV tra gli IDU: il 74,1% riguardano maschi e il 17% persone di nazionalità straniera; il 68,4% di queste ultime proviene da Paesi dell’Europa Orientale, il 26,3% dall’Africa e il 5,3% da Paesi dell’America Centrale e Meridionale. Se in termini assoluti, dal 2010 al 2015 i nuovi casi di HIV tra gli IDU sono nel complesso diminuiti (negli anni rispettivamente 267, 187, 215, 181, 148 e 112 diagnosi), in termini percentuali è tra i soggetti del genere maschile che si evidenzia un decremento più evidente (nel 2010 costituivano l’85,3% e nel 2015 il 74,1% di tutte le nuove diagnosi), mentre tra i soggetti di genere femminile si osserva un andamento crescente, passando dal 14,7% del 2010 all’attuale 25,9% nel 2015.

112 nuove diagnosi di infezione da HIV tra gli i soggetti con uso iniettivo di sostanze.

L’età mediana dei soggetti IDU con nuova diagnosi HIV è di 41 anni, mostrandosi sostanzialmente stabile nel corso degli anni, l’età mediana raggiunge un massimo di 43 anni nelle donne nel 2014 (M: 41 anni). Nel 2015 il 38,4% dei nuovi casi di HIV tra gli IDU ha tra i 40 e i 49 anni e il 33% tra i 30 e i 39 anni; l’8% ha meno di 30 anni, il 16,1% tra i 50 e i 59 anni e la restante parte ha 60 anni e più. I nuovi casi HIV tra gli IDU di nazionalità straniera risultano più giovani: tra gli stranieri il 26,3% ha meno di 30 anni, il 42,1% ha tra i 30 e i 39 anni, il 26,3% tra i 40 e i 49 anni, il restante 5,3% ha 50 anni o più (contro rispettivamente il 5,4%, 31,2%, 40,8% e 22,6% dei casi di nazionalità italiana).

Il 37,5% dei nuovi casi di HIV tra gli IDU ha eseguito il test in seguito alla manifestazione di sintomi confermando la tendenza a scoprire tardivamente la sieropositività.

Il 37,5% dei nuovi casi di HIV tra gli IDU ha eseguito il test in seguito alla manifestazione di sintomi HIV correlati, il 12,5% su proposta del SerD, l’8,0% a seguito di comportamenti sessuali a rischio, il 6,3% per ricovero ospedaliero, il 5,4% su proposta del carcere/comunità terapeutica e un’altrettanta quota durante controlli di routine. Per il 23,2% non è stato riportato il motivo del test. Rispetto alle diagnosi con indicazione del numero di linfociti CD4 (pari all’85,7% di tutte le diagnosi), che forniscono informazioni importanti sulla fase di avanzamento dell’infezione, si rileva che tra il 2012 e il 2015 è aumentata la quota di IDU che riportano una nuova diagnosi di HIV con un livello di CD4 inferiore a 350 cell/mL (da 55,0% a 64,6%), confermando una crescente tendenza a scoprire tardivamente la sieropositività.

Nuove diagnosi di infezione da AIDS tra gli IDU. Nel corso dell’anno 2015 sono stati notificati al RNAIDS 81 nuovi casi di AIDS tra gli IDU: il 77,8% sono maschi e il 7,4% di nazionalità straniera. Nel complesso dal 1982 al 2015 i casi di AIDS tra gli IDU segnalati sono stati 34.841, e dal 1996, anno di introduzione in Italia della terapia antiretrovirale combinata, il numero degli IDU con nuova diagnosi di AIDS è in costante declino, sia tra i maschi che tra le femmine. Nel corso degli anni la distribuzione per genere dei nuovi casi di AIDS non evidenzia sostanziali variazioni.

Sono stati notificati 81 nuovi casi di AIDS tra gli IDU.

Nel 2015 l’età mediana degli IDU con nuova diagnosi di AIDS risulta pari a 49 anni per i maschi e 48 anni per le femmine, senza alcuna variazione rispetto all’anno 2014 (48 anni in entrambe le annualità); per i nuovi casi di AIDS tra gli IDU stranieri l’età mediana risulta inferiore a quella rilevata tra gli IDU di nazionalità italiana (38 vs 49 anni). Nel 2015 il 25,7% dei nuovi casi AIDS tra gli IDU ha ricevuto la sua prima diagnosi di positività per HIV nei 6 mesi precedenti (cosiddetti “Late testers”), suggerendo che molti soggetti arrivano allo stadio di AIDS conclamato ignorando la propria sieropositività: se dal 2004 al 2010 le quote di questi soggetti si osservano in costante aumento, passando dal 13,6% al 30,2%, negli anni successivi risultano instabili. Nel 2015 la proporzione di Late testers è più elevata tra i maschi (M: 25,9%; F: 25,0%) e tra gli stranieri (80,0%; italiani: 21,7%).

Nel 26% dei casi, tra gli IDU, il tempo tra le diagnosi di positività per HIV e AIDS è di 6 mesi.

Nel 2015 le patologie più frequenti alla diagnosi di AIDS tra IDU sono state: la polmonite da Pneumocystis carinii nel 21% dei casi e la Wasting syndrome nel 20% dei casi.

Mortalità AIDS tra gli IDU La segnalazione di decesso per AIDS non è obbligatoria. Per questo motivo dal 2006 il COA, in collaborazione con l’ISTAT e con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano – IRCCS, ha avviato uno studio per aggiornare lo stato in vita di tutte le persone incluse nel RNAIDS. I dati dei soggetti IDU deceduti per AIDS sono stati incrociati, attraverso una procedura automatizzata e anonima di record linkage, con quelli del Registro Nazionale di Mortalità dell’ISTAT. I dati sono stati validati dal 1984 al 2013, ultimo anno disponibile nel database di mortalità dell’ISTAT. I decessi notificati al COA dal 1984 al 2013 sono stati 26.993, evidenziando una progressiva diminuzione, passando dai 2.677 decessi del 1996 ai 289 del 2013. I decessi negli anni riguardano prevalentemente soggetti di nazionalità italiana, in media circa il 98% dei soggetti, il 97,2% nel 2013, e di genere maschile, 80% dei decessi negli anni, l’82% nel 2013.

I 26.993 decessi notificati fra il 1984 e il 2013 sono in progressiva diminuzione.

I casi prevalenti di AIDS tra gli IDU. I dati relativi all’incidenza e alla mortalità AIDS fin qui esposti evidenziano dal 2003 una diminuzione progressiva del numero dei casi prevalenti di AIDS tra gli IDU, che da 8.724 passano a 8.487 nel 2008 a 7.945 nel 2013.

tratto da
Relazione annuale al parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in italia 2017

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