Omosessuali dalla nascita? Non esiste

Un esame dei principali studi biologici

L’ipotesi che l’omosessualità abbia un’origine genetica e sia quindi predeterminata e immodificabile ha ricevuto negli ultimi anni grande attenzione da parte dei media che l’hanno presentata come un vero e proprio dato scientifico. L’idea che gli omosessuali siano tali dalla nascita non è nuova : già nel 1899 il ricercatore tedesco Magnus Hirschfeld considerava congenita l’omosessualità e domandava parità di diritti basandosi su questo pensiero. In realtà allo stato attuale non esiste nessuna prova scientifica che dimostri questa ipotesi. Questo non significa che in futuro non possa essere scoperta un’eventuale base genetica dell’omosessualità che aiuti a meglio comprendere questa realtà, ma per il momento gli studi che sembravano confermare questa possibilità sono stati contraddetti da numerosi ricercatori. Qui sotto esaminiamo brevemente i tre studi maggiormente citati, quelli di Simon LeVay, Michael Bailey & Richard Pillard, e Dean Hamer.

Simon LeVay e l’INAH-3
“Ripetutamente sono stato indicato come colui che “ha dimostrato il fondamento genetico dell’omosessualità”….Non ho mai asserito questo. (Simon LeVay in The Sexual Brain, p. 122.)
Simon Levay, biologo, ha studiato i cervelli di 41 cadaveri, comprendenti 6 donne, 19 omosessuali maschi, e 16 uomini presumibilmente eterosessuali. LeVay ha scoperto che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo anteriore, la INAH-3, aveva la stessa dimensione nelle donne e negli uomini omosessuali, ma era più grande negli eterosessuali. Il biologo americano ha ipotizzato che questa avrebbe potuto essere la prova di una effettiva diversità strutturale nel cervello degli omosessuali. Ci sono, tuttavia, una serie di obiezioni a questa conclusione:
• Nel confrontare la dimensione dell’INAH-3, LeVay ha supposto che i 16 uomini eterosessuali fossero realmente eterosessuali. Solo due di loro hanno negato un’attività omosessuale; per i soggetti rimanenti non era disponibile la storia sessuale. Di conseguenza egli ha in realtà confrontato degli uomini omosessuali con degli uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto. Questa ovviamente rappresenta una enorme pecca nel metodo scientifico.
• Il volume della INAH-3 potrebbe non essere una misura rilevante: non c’è unanimità tra gli scienziati su quale sia il modo migliore di misurare la INAH-3. LeVay ha misurato il volume; altri scienziati sostengono che è più preciso misurare l’effettivo numero dei neuroni. Alcuni ritengono che misurare il volume dell’ INAH-3 per determinare l’orientamento sessuale di una persona sia come cercare di misurarne l’intelligenza basandosi sulla taglia del suo cappello.
• William Byne, psichiatra al New York State Psychiatric Institute e ricercatore all’Albert Einstein College of Medicine della Yeshiva University di New York, presso la quale studia la struttura cerebrale dell’uomo e degli altri primati e il modo in cui i fattori biologici e sociali interagiscono nell’influenzare il comportamento, evidenzia innanzi tutto il fatto che il lavoro di Simon LeVay non è stato riprodotto sperimentalmente: studi di neuroanatomia umana come questo sono corredati da una scarsissima documentazione metodologica, che non consente la riproduzione. Infatti, procedimenti analoghi a quelli utilizzati da Simon LeVay per identificare i nuclei avevano precedentemente depistato i ricercatori . Per esempio, Swaab and Fliers (1985) trovarono che la INAH-1 era più grande negli uomini, mentre LeVay (1991) non trovò nessuna differenza tra uomini e donne. Allen et al (1989) scoprirono che la INAH-2 era più grande negli uomini che in alcune donne, mentre LeVay (1991) nuovamente non trovò nessuna differenza.
William Byne sottolinea che delle molte presunte differenze sessuali nel cervello umano riferite negli ultimi cento anni, solo una è risultata sistematicamente riscontrabile: la dimensione del cervello e delle sue strutture varia con la taglia corporea .
Inoltre l’ipotesi di Simon LeVay sui meccanismi biologici proposti per spiegare il comportamento omosessuale nel maschio, non è in grado di spiegare il comportamento sessuale delle lesbiche né, tantomeno, quello dei bisessuali.
• Entrambi i gruppi degli uomini coprivano essenzialmente le stesse categorie di misure. Uno poteva essere gay con una piccola INAH-3 o con una grande. Allo stesso modo uno poteva essere nella categoria eterosessuale sia con una piccola che con una grande INAH-3. Chiaramente questi uomini non erano influenzati nel loro orientamento sessuale dalla loro INAH-3! Come mostrano i dati, la misura dell’INAH-3 di tre uomini omosessuali li mette chiaramente nella categoria eterosessuale (uno di loro era al secondo posto come grandezza dell’ INAH-3 !) Conoscendo solo la misura dell’INAH-3 di questi soggetti, non sarebbe stato possibile determinare per nessuno di essi se erano maschi o femmine e se erano omosessuali o eterosessuali.
• Uno studio che mostrasse una chiara differenza nelle misure dell’INAH-3 lascerebbe comunque irrisolta un’altra questione: le persone sono omosessuali perché hanno una piccola INAH-3 o la loro INAH-3 è più piccola a causa dei loro atti, pensieri e sentimenti omosessuali? E’ dimostrato che il cervello cambia in risposta a modifiche del comportamento e dell’ambiente. Per esempio Newsweek ha riportato che “nelle persone che leggono in Braille dopo essere diventate cieche, l’area del cervello che controlla il dito della lettura è più grande”. Così pure nei canarini maschi “l’area del cervello associata all’accoppiamento non solo è più grande che nelle femmine, ma varia secondo le stagioni”(Newsweek 24 febbraio 1992, pag.50).
• L’ipotalamo fa parte del cosiddetto sistema limbico: esso è uno degli elementi centrali del sistema e intorno a esso vi sono altre strutture sotto corticali come l’area preottica, l’epitalamo, l’ippocampo, l’amigdala e così via. Tutto intorno a queste formazioni sotto corticali si trova la corteccia limbica, che comincia, sulla faccia ventrale dei lobi frontali, con l’area orbitofrontale e termina, verso la superficie ventro-mediale del lobo temporale, con il giro ippocampale, l’area piriforme e l’uncus: tutto questo complesso di strutture costituisce il sistema limbico.
John C. Eccles, premio Nobel per la neuro-biologia, spiega che il sistema limbico è deputato soprattutto all’attività di fissare i ricordi con le relative esperienze emozionali .I sistemi prefrontale e limbico sono in uno stato di relazione reciproca e in grado di stabilire fra loro un’interazione a circuito continuo. Per mezzo della corteccia cerebrale prefrontale il soggetto può esercitare un’azione di controllo sulle emozioni generate dal sistema limbico . Questo spiega come un riflesso condizionato possa essere inibito e annullato da un condizionamento contrario mediante un “lavoro psichico” che porta alla costituzione di diversi engrammi mnemonici determinati da un nuovo apprendimento e destinati a evocare un nuovo senso di gratificazione e di castigo .
Pertanto, un’ulteriore obiezione all’ipotesi di Simon LeVay è che le esperienze emozionali, fissate nel sistema limbico e nell’ipotalamo in particolare, possono essere sostituite da nuove esperienze emozionali perché si tratta di una sorta di “banca dati”, che è soggetta al controllo e alla programmazione del pensiero cosciente.

• William Byne, inoltre, fa notare che il lavoro di Simon LeVay è inattendibile perché tutti i cervelli di maschi omosessuali provengono da pazienti colpiti da AIDS e, all’epoca del decesso, tutti i soggetti presentavano bassi livelli di testosterone in conseguenza della malattia stessa . Una ricerca di Deborah Commins e Pauline Yahr, dell’Università della California a Irvine, sostiene quest’ultima ipotesi. Le due ricercatrici hanno trovato nei gerbilli della Mongolia — roditori poco più grossi dei topi — che la dimensione di una struttura cerebrale simile, paragonabile al cosiddetto nucleo sessuale dell’area preottica, varia con la quantità di testosterone presente nel circolo sanguigno .

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Bailey & Pillard: gemelli e altri fratelli
Bailey e Pillard hanno studiato coppie di fratelli – gemelli omozigoti, gemelli eterozigoti, altri fratelli biologici e fratelli adottivi – in cui almeno uno dei due era omosessuale. Apparentemente le loro scoperte sembrarono comprovare una base genetica dell’omosessualità. I gemelli omozigoti (identici) erano entrambi omosessuali nel 52% dei casi; i gemelli eterozigoti (non identici) nel 22% dei casi; altri fratelli biologici nel 9,2% dei casi; i fratelli adottivi nel 10,5% dei casi. Un’analisi più approfondita rivela però delle questioni a cui questo studio non è in grado di rispondere:
• “Affinché un simile studio fosse veramente significativo si sarebbero dovuti osservare dei gemelli cresciuti separatamente”, osserva la biologa Anne Fausto Sterling. Tutti i fratelli oggetto dello studio sono invece cresciuti insieme nella stessa famiglia.
• Tutti i risultati sono differenti da quelli che ci saremmo dovuti aspettare se l’omosessualità fosse genetica:
o Poiché i gemelli identici condividono il 100% dei geni, se uno di essi è omosessuale lo deve essere anche l’altro nel 100% dei casi.
o I fratelli adottivi, che non hanno geni in comune, hanno più probabilità di essere entrambi omosessuali che non i fratelli biologici che condividono il 50% del patrimonio genetico! Questi dati hanno indotto la rivista Science a rispondere: “questo fa pensare che non ci sia nessuna componente genetica, ma piuttosto una componente ambientale condivisa nelle famiglie.” (24 Dicembre 1993, Vol. 262)
entrambi omosessuali
geni condivisi se l’omosessualità fosse genetica

Risultati dello studio di B & P

 geni condivisi entrambi
omosessuali
gemelli omozigoti100 %100 %52 %
gemelli eterozigoti50 %50 %22 %
altri fratelli biologici50 %50 %9 %
fratelli adottivi0 %1-4 % 10,5 %

• Infine Bailey & Pillard non hanno usato un campione casuale. Gli uomini dello studio furono reclutati attraverso inserzioni su giornali e riviste gay

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Dean Hamer e il marcatore genetico Xq28
Hamer ha studiato 40 coppie di fratelli omosessuali e ha riportato che 33 coppie condividevano un gruppo di 5 marcatori genetici. Nel riferire la storia la copertina della rivista Time recitava “BORN GAY Science Finds a Genetic Link” (” Gay si nasce: la scienza trova un collegamento genetico”)26 Luglio 1993. Hamer tuttavia fu più prudente. Egli trovò che il marcatore genetico giocava “qualche ruolo” in una minoranza di uomini omosessuali (dal 5 al 30% ). (The Science of Desire by Dean Hamer and Peter Copeland. New York: Simon & Schuster, 1994. Pages 145-146). Era una realtà abbastanza lontana dall’aver scoperto il “gene dell’omosessualità” e lasciava irrisolte due domande fondamentali: quanta influenza si poteva attribuire a quel “qualche ruolo” e che dire del rimanente 70/95 % di uomini gay?
• Basandosi su una teoria semplicemente genetica si dovrebbe supporre che il 50% dei soggetti (20 coppie) abbia gli stessi marcatori genetici. Perché 7 coppie di fratelli gay non condividevano un gruppo di marcatori genetici?
• Hamer non ha controllato se anche i fratelli eterosessuali di uomini omosessuali hanno tale marcatore genetico. Quindi non c’era nessun gruppo di controllo in questo studio. Anche questa è, ovviamente, una grossa lacuna nel metodo scientifico.
• Da allora si sono succeduti altri studi, ma senza risultati. Science ha riportato che George Ebers, un ricercatore della University of Western Ontario, ha cercato di ripetere lo studio ma non ha trovato “nessuna evidenza, neanche un sospetto” per una “base genetica”. Nell’ambiente scientifico questo rappresenta un grosso problema. Recentemente un altro studio di Rice e al. ha dichiarato che i risultati ottenuti “non avvallano l’esistenza di un gene alla base dell’omosessualità maschile”.
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Riferimenti bibliografici:
• LeVay, S. (1991). A difference in hypothalamic structure between heterosexual and homosexual men. Science, 253, August, 1034-1037. Data in chart from p. 1036.
• Cfr. William Byne, I limiti dei modelli biologici dell’omosessualità, ibid., p. 24-25 e 28; cfr. le informazioni sull’autore ibid., p. 4.
• Bailey, J.M & Pillard, R.C. (1991). A genetic study of male sexual orientation. Archives of General Psychiatry, 48, December, 1089-1096.
• Hamer, D. et al. (1993). A linkage between DNA markers on the X chromosome and male sexual orientation. Science, 261 16 July, 321-27.
• [Square brackets list which of the three above articles are reviewed:]
• Byne, William & Parsons, Bruce (1993). Human sexual orientation: the biologic theories reappraised. Archives of General Psychiatry, 50, March 1993, 228-237. [LeVay, Bailey & Pillard]
• Byne, William (1994). The biological evidence challenged. Scientific American, May 1994, 50-55. [all three]
• Cole, Sherwood O. (1995). The biological basis of homosexuality: a Christian assessment. Journal of Psychology and Theology, 23(2), 89-100. [all three]
• Dallas, Joe (1992). Born gay? Christianity Today, June 22, 20-23. [LeVay, Bailey & Pillard]
• LeVay, Simon & Hamer, Dean H. (1994). Evidence for a biological influence in male homosexuality. Scientific American, May 1994, 44-49. [LeVay, Hamer]
• Looy, Heather (1995). Born gay? a critical review of biological research on homosexuality. Journal of Psychology and Christianity, 14(3), 197-214. [all three]
• Marshall, Eliot (1995). NIH’s “Gay Gene” study questioned. Science, 268, Jun 30 1995, 1841. [Discusses G.C. Eber’s attempt at replicating Hamer’s work].
• Muir, J.G. (1996). Sexual orientation – born or bred? Journal of Psychology and Christianity, 15(4), 313-321. [all three]
• PFLAG (1995). Why Ask Why? Addressing the Research on Homosexuality and Biology. Privately published booklet. [all three]
• Rice, G. et al. (1999). Male Homosexuality: Absence of Linkage to Microsatellite Markers at Xq28. Science, 284(5414), 665-667. [Hamer]

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