Per trovare giovani donne in buona salute disposte a donare i loro ovociti in molti paesi ricchi ci sono gli stessi metodi usati per vendere un’auto, cercare una casa, contrattare un oggetto usato.
Banche dati, annunci, siti vetrina, e-commerce della fecondazione, pieni di persone disposte a offrire generose somme di denaro in cambio di ovociti “freschi”.
I più desiderati e costosi sono quelli di origine asiatica, ebraica e indiana, per i quali alcuni sono disposti a pagare fino a 50.000 dollari.
Il prezzo è stabilito dal mercato e dalla rarità dei “donatori”, che non donano proprio nulla.
Difatti la terminologia utilizzata, si basa sul concetto di donazione volontaria: il messaggio che viene trasmesso è che le donne donano i loro ovociti solo per aiutare altre persone a realizzare il sogno di avere un bambino, quindi il denaro offerto è una ricompensa per il tempo dedicato a un progetto di felicità, un semplice atto di gratitudine, anzi viene pubblicizzato come un atto di amore.
Ma basta leggere le condizioni contrattuali imposte a coloro che decidono di partecipare a uno dei numerosi progetti di “donazione” organizzati dalle banche di ovociti per scoprire che la ricompensa varia in base al numero di cicli di stimolazione ovarica a cui ci si sottopone: si parte da un minimo di 7.000 dollari per chi affronta il processo una sola volta fino a 30-40.000 dollari per chi lo ripete sei volte, limite che alcuni centri aumentano fino a sette.
Sono cifre significative, soprattutto se paragonate a quelle offerte dalle banche del seme ai donatori di sperma, che ricevono solo 30-35 dollari a provetta. Il valore degli ovociti può aumentare se la “donatrice” possiede determinate caratteristiche socioculturali.
E’ un vero business. Un mercato di cui i nascituri sono parte.
Non si vendono figli ma si “contrattano” le caratteristiche fisiche che avranno.
“Extraordinary Conception”, un’agenzia internazionale di origine californiana che si occupa di cercare ovociti e, eventualmente, anche madri surrogate, offre un bonus alle ragazze iscritte alle università più prestigiose degli Stati Uniti. Il valore aggiunto di un ovocita prodotto da una studentessa di alto livello risiede nella possibilità che il nascituro possa ereditare un buon livello di quoziente intellettivo. Questo centro non è l’unico a credere in questa opzione: diverse banche di ovociti pubblicano annunci su riviste universitarie. Il target di riferimento è proprio quello ideale per la “donazione”, in quanto si tratta generalmente di ragazze tra i 19 e i 23 anni (gli ovociti delle donne trentenni valgono già meno). All’interno dei campus, è sicuramente più facile trovare giovani interessate a valutare opzioni di guadagno rapido e una tantum per pagare tasse, libri, viaggi e vestiti.
Oltre al livello di istruzione, il valore degli ovociti è influenzato anche dall’etnia di appartenenza della “donatrice”. Nel mercato americano, le ovociti di origine indiana e asiatica, in particolare cinese, giapponese e coreana, sono molto richiesti e quindi ben pagati. Ancora più preziosi sono gli ovociti provenienti da ragazze ebree.
Le coppie israeliane che ricorrono alla fecondazione assistita chiedono di utilizzare esclusivamente ovociti di comprovata origine ebraica perché, come è noto, l’ebraismo si trasmette per discendenza matrilineare. Ciò non solo aumenta il valore degli ovociti di almeno sei volte, portandolo fino a 50.000 dollari, ma dà origine a una sorta di turismo riproduttivo che porta le giovani “donatrici” da Tel Aviv agli Stati Uniti. Il pagamento della somma pattuita avviene solitamente in due tranche: la prima all’inizio del trattamento e la seconda dopo il trasferimento dell’ovocita fecondato nell’utero della madre che porterà avanti la gravidanza. Se gli ovuli prodotti non dovessero essere fecondati, il pagamento potrebbe essere ridotto.
All’inizio del processo, alcuni centri richiedono alle “donatrici” di firmare un contratto in cui si impegnano a rispettare determinate condizioni, come evitare l’alcol, il fumo e i rapporti sessuali non protetti. Inoltre, il contratto può prevedere che le donatrici ricevano una consulenza psicologica per essere sicure di comprendere appieno le implicazioni della donazione.
Tuttavia, il processo di donazione di ovociti non è privo di rischi per la salute delle donne coinvolte. La stimolazione ovarica, necessaria per produrre un numero sufficiente di ovociti, può causare la sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS), una condizione potenzialmente pericolosa che può portare a gonfiore, dolore e, nei casi più gravi, insufficienza renale e problemi respiratori. Inoltre, le donatrici possono sperimentare effetti collaterali a lungo termine, come un aumento del rischio di tumori ovarici e problemi di fertilità.
Nel mercato globale della fertilità, la commercializzazione degli ovociti solleva anche questioni etiche e legali. Mentre alcuni paesi, come gli Stati Uniti, permettono la vendita di ovociti, altri, come l’Italia e la Germania, vietano la pratica e limitano la donazione a scopi altruistici. Inoltre, la selezione degli ovociti in base a criteri come l’etnia, l’istruzione e l’intelligenza solleva interrogativi sulla creazione di una sorta di “eugenetica di mercato”, in cui i genitori pagano per avere accesso a tratti genetici desiderabili.
In conclusione, la donazione di ovociti è diventata un’affare redditizio per molte donne giovani e in buona salute, ma vi sono implicazioni mediche, etiche e legali gravi e nefaste che circondano questo processo, e serve che i governi e le organizzazioni sanitarie lavorino per vietare tale pratica ed evitare il business della procreazione.
Rielaborazione Paolo Botti
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