Carissimo padre Aldo ti conosco da un po’ di anni: sono una cattolica di quelle tiepide e pigre che il Signore non abbandona per la Sua misericordia e, per farla breve, mi ha posto davanti una situazione che forse tu hai conosciuto e per la quale ti chiedo un aiuto. Sono una professoressa, dieci anni fa ho insegnato a una ragazza, Marisa, allora dodicenne, molto problematica perché la madre era scappata di casa per farsi un’altra famiglia, lasciando lei e il fratello con il padre. Anche dopo aver finito la scuola, Marisa ha continuato a cercarmi e ci incontravamo spesso, mi chiamava mamma e si ricordava di ogni ricorrenza. Non sono riuscita a farle conoscere qualche altra persona che potesse aiutarla perchè il padre non era favorevole. Da adolescente ha un po’ allentato i contatti e mi sono resa conto, incontrandola, che stava cambiando e non si vestiva più da ragazza….insomma dopo un po’ di anni in cui ci siamo solo scambiate gli auguri alle feste mi scrive per questo Natale con rinnovato affetto dicendomi che dopo lunghi e dolorosi anni di percorso in ospedale, interventi eccetera, non è più Marisa ma ora si chiama Mario e, quando io gli dico che per me questo non cambia i nostri rapporti, mi invia una sua foto. Ha solo 23 anni! Nessuna notizia mi ha mai angosciato così tanto, neppure la morte di mio padre! Le ho promesso di incontrarci ma vorrei tanto fuggire. Come abbracciare una situazione così? Cristo come può entrare nella sua vita? Come si salverà? Tu cosa le diresti? Caro padre Aldo, avrei preferito non ricevere gli auguri di Natale da Marisa-Mario ma se è successo, cosa vuole dirmi Cristo attraverso di lei? Se puoi, fai dire una preghiera ai tuoi malati per lei.
Gabriella
Caro padre Aldo, il 5 dicembre la mia morosa mi ha lasciato; questo ha risvegliato in me con una violenza enorme il bisogno di provare nella mia carne che tutto è salvato, ha un senso, che davvero Dio c’è, incontrabile in carne e ossa, incontrabile veramente nelle ore delle mie giornate. Questo bisogno, questa urgenza, mi rendo conto solo ora, è qualcosa che ho dentro di me da anni, ma che non è mai stata come ora così radicale ogni istante di ogni ora di ogni giorno. Mi sento distrutto, col cuore tagliato in due per il bisogno enorme che ho, per l’innamoramento enorme che ho per Cristina (questo è il suo nome) e per il fatto che mi ha chiesto di non vederci e di non sentirci. Mi ritrovo straziato dallo scoprire tutto il male che ho fatto, tutto il male che mi son lasciato fare, nel risentire in bocca il sapore della violenza che ho usato, della riduzione che ho fatto, nel ritrovarmi davanti agli occhi ogni giorno tutto l’errore e il tradimento che ho vissuto proprio nel rapporto piu prezioso che mi era stato dato, quello attraverso cui Cristo si è affacciato alla mia vita al punto che gli ho detto “sì” per la prima volta. E la stessa dinamica, lo stesso nulla l’ho scelto e riscelto in tutte le cose: con gli amici, nella scuola di comunità. Eppure il mio dolore non è dato da questo, non si esaurisce qui. Il dolore, il maledetto dolore che mi ribolle dentro al cuore in qualunque momento del giorno è dovuto al fatto che seppur io desideri Cristo come nient’altro, io non lo vedo. Non lo riconosco più, non lo percepisco più. Il mio dolore è denso di tenebre: ho occhi ma non vedo, ho orecchie ma non sento, ho bocca ma non gusto niente. Tutto mi ferisce, niente mi è più indifferente: mi porto dentro questo dolore che brucia nelle viscere.
Mi ritrovo completamente confuso, smarrito. Ci sono giorni in cui mi esplode la testa, le domande si mescolano alla disperazione, al dubbio, al senso di colpa, al bisogno. In questo mese ho pianto più che in tutto il resto della mia vita. In quei momenti dove l’unica forza che ho è quella di crollare in ginocchio e gridare il mio bisogno, mi si chiarifica che ho bisogno solo che qualcosa salvi tutto, redima tutto. Neanche sposare Cristina toglierebbe questo bisogno. Eppure la vita continua a travolgermi, tutto continua a investirmi e mi ritrovo minuscolo, fragile, disperso. Questo dolore, questa mancanza è acuita dal fatto che io ho provato nella mia carne una gioia vera: quando ho incontrato Cristina. Allora caro padre, cosa salva tutto? Cosa salva tutto me stesso? Tutta lei? Come si compie tutto? Come posso riconoscere Cristo? Farlo mio?
Dario
Padre Aldo, ti affido Valerio e Claudia, una giovane coppia a cui è accaduta una cosa grande. Te lo racconta Valerio:
Caro Giacomo e Maddalena, scrivo qui perché oltre alle preghiere non conosco nessun mezzo per potervi parlare e spero che i miei amici, leggendo questa lettera, possano aiutarci a farvi sentire il nostro amore. Siete nati solo dopo cinque mesi perché forse non siamo stati in grado di farvi capire che bisognava aspettare ancora un po’. Tu, Giacomo, da buon fratello hai deciso di uscire per primo per aiutare la tua sorellina che era più piccola di te e con meno forze, ma quella mezz’ora di sforzi ti sono subito costati la vita. Maddalena invece sei uscita subito dopo e l’équipe del Gaslini ti ha dato la forza per poter sperare di sopravvivere. Sei stata bravissima perché sei riuscita con tutte le tue piccole forze a superare la notte. Però oggi, mamma e papà hanno ricevuto la telefonata del neonatologo che ci comunicava che i tuoi piccolissimi polmoncini non sono stati in grado di sorreggerti. Quindi hai deciso di raggiungere il tuo fratellino per poter giocare con lui in paradiso e proteggere il tuo fratello più grande. Vi volevamo solo dire che mamma e papà sono tanto fieri di voi e che vi ameranno per il resto della loro vita e che quando Alessandro sarà più grande gli spiegheremo che nella vita non dovrà mai avere paura perché voi da lassù avrete un occhio di riguardo per lui. Ora ci dobbiamo salutare, ciao angioletti, siamo certi che prima o poi ci riabbracceremo, quindi fate i bravi e tenete un diario perché a mamma e papà farebbe piacere leggere un giorno tutto quello che avete combinato in paradiso. Sempre con voi. Mamma, papà e Alessandro.
Carissimi amici Gabriella e Dario, ho voluto mettere subito dopo le vostre lettere, così cariche di dolore, la testimonianza di due amici che mi ha profondamente commosso per il dolore così pieno di letizia che ha accompagnato la nascita prematura e la morte conseguente dei due gemellini. Questo dialogo del papà con Giacomo e Maddalena è davvero commovente nella sua semplicità piena di tenerezza, piena di quelle certezze per cui non c’è nulla che non sia dentro l’abbraccio del Mistero. Quell’abbraccio in cui anche voi siete dentro con il vostro urlo pieno di dolore, di delusione e di rabbia per un innamoramento bello andato in frantumi. Il dolore come la libertà è un mistero. Cara Gabriella, che quella alunna che hai amato come tua figlia e che ami ancora come tale, te la ritrovi dopo anni di assenza trasformata in un uomo, sia stato per te come per chiunque di noi una freccia al cuore, fa parte della tua e nostra ancora sensibile umanità. Le domande che mi poni provocano in me due sensazioni profonde. La prima è quella che ci diceva il Servo di Dio don Giussani: «Dio ama di più la nostra libertà che la nostra salvezza». Lo so che è durissima questa verità per una madre o per chi ama una persona e che normalmente anche per un fine buono vorremmo che tutto fosse come la natura stessa esige. Però non è sempre così e questo pone una domanda su di noi: cosa vuol dire amare la libertà delle persone a noi care più della loro stessa salvezza? In che cosa poniamo la nostra consistenza? La seconda sensazione è quella di sentire acuta la domanda della gratuità: “ti amo come sei”, così come Dio ama ciascuno. In fondo Dio sapeva già dall’eternità ciò che sarebbe successo a tua “figlia”; poteva impedirlo, e se non l’ha fatto è per quel rispetto della libertà di cui ti ho parlato. A te chiede la conversione, di prendere sul serio la tua vita e la tua umanità per non continuare in quella mediocrità con cui vivi le tue giornate. Il tuo compito è offrire, chiedere e attendere. Tutto ciò vale anche per Giuseppe con il suo grido quasi disperato, eppure pieno di attesa. Una posizione bellissima come le domande che seguono. Per questo permettimi di rimandarti a quanto don Julián Carrón ha detto agli universitari, predicando gli esercizi prima di Natale. Cerca il libretto che porta come titolo una bellissima domanda di Cesare : «Qualcuno Pavese ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?»… e lavoraci su, ma seriamente.
Aldo Trento – 2013 – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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