L’Africa ha vissuto secoli di schiavitù (cominciando dagli antichi Egizi, passando per l’espansione dei vari califfi) subendo un profondo sconvolgimento demografico, economico e psicologico; alla schiavitù è seguita la colonizzazione che ha portato il continente africano al depauperamento (Remotti, 1990) economico e culturale. Il continente si avviò, così, ad una serie di trasformazioni.
In Nigeria, ad esempio, un numero crescente di donne istruite iniziò a condividere appieno l’ideale coniugale occidentale e monogamico; in questo contesto l’unica occupazione della donna era quella di essere moglie e casalinga e questa tendenza ebbe effetti indesiderati dal momento che rese le mogli completamente dipendenti dai loro mariti (George A.A., 2014, p. 40). Ma il processo di impoverimento culturale fu graduale. Le donne che non appartenevano all’élite urbana rimasero saldamente legate alla tradizionale cultura Yoruba, alle sue norme matrimoniali e ai suoi ruoli di genere. Queste donne cercavano di guadagnare denaro lavorando come artigiane ma soprattutto come commercianti nei mercati delle grandi città.
Nell’Inghilterra ottocentesca era solo l’uomo a occuparsi del mantenimento economico della famiglia, le donne dovevano occuparsi delle sole faccende domestiche mentre i bambini non dovevano contribuire all’economia familiare. L’ideologia Yoruba dell’infanzia, al contrario, vedeva i bambini come collaboratori economici e considerava l’uomo e la donna come attori sociali economici complementari. Nelle società africane i bambini avevano sempre lavorato; la distinzione fondamentale rispetto al passato consisteva nel fatto che il lavoro dei minori, in età pre-coloniale, non veniva economicamente remunerato.
Nella realtà nigeriana il bambino era ed è l’ultimo di una lunga catena di dipendenze, ed è proprio attraverso questa catena di dipendenze che la ricchezza materiale e culturale viene distribuita dagli antenati fondatori fino all’ultimo nato. Per i bambini appartenere al lignaggio e ricevere un ruolo sociale ha sempre significato dipendere da esso. La società nigeriana non aveva mai relegato le donne al solo ruolo familiare o di cura; al contrario donne e bambini erano sempre stati considerati in quanto attori sociali necessari al rafforzamento dell’economia familiare. Certamente l’intervento coloniale e il successivo affermarsi di uno stile di vita occidentale non finì con il modificare completamente il modello tradizionale di famiglia e produttività.
In tutta l’Africa occidentale, il commercio continuava a configurarsi come un’attività tipicamente femminile che permetteva alle donne di non essere completamente assoggettate al dominio maschile; così il commercio consentiva alle donne di disporre di un certo margine di autonomia soprattutto sotto il profilo economico. Nelle comunità tradizionali le donne lavoravano infatti fuori dalle loro case prevalentemente come commercianti o artigiane ma anche nelle campagne ed erano considerate rispettabili all’interno della comunità come donne nel loro ruolo di fornitrici. Le donne cercarono di mantenere questo ruolo anche in seguito all’affermarsi della colonizzazione che in qualche modo aveva portato a modificare l’assetto tradizionale. A contribuire al mantenimento dell’economia familiare, come si è detto, non erano solo le donne ma anche i bambini. All’età di dieci anni ragazze e ragazzi potevano svolgere pressoché le stesse attività svolte dalle donne adulte: lavoro nei campi, attività artigianali e commerciali oltre che mansioni strettamente legate al lavoro domestico o alla cura del bestiame. Intatti la Nigeria, così come molti altri stati dell’Africa Sub-Sahariana, disponeva di un sistema politico a base gerontocratica e pertanto i compiti (soprattutto domestici) non venivano attribuiti tanto in base al genere quanto, piuttosto, in base all’età.
In un tale sistema le ragazze, in giovane età, rivestivano socialmente un ruolo inferiore e facevano sempre capo alle donne adulte (a cui erano quasi sempre legate da vincoli parentali). Le donne lavoravano nei mercati ed erano soggetti attivi anche se certamente non rivestivano un ruolo centrale. Collaborando alle attività commerciali le ragazze finivano per svolgere una sorta d’apprendistato che avrebbe permesso loro di diventare buone donne adulte.
Questo sistema basato sulla divisione dei compiti in base all’età e basato sull’assoluto rispetto dei giovani nei confronti dei più anziani era caratteristico di tutto lo Stato. Ad esempio, in riferimento al gruppo etnico Igbo concentrato prevalentemente nel territorio del Delta State, Sennett sottolineava come “da bambino l’Igbo non possiede alcuna autorità esso è solo un suddito. Nell’adolescenza i riti di iniziazione infondono nell’individuo la forza precedentemente appartenuta ai suoi protettori; presso gli Igbo l’autorità dipende dalle fasi dell’esistenza di una persona” (Sennett R., 2006, p. 144).
In ogni caso, per questi giovani che fornivano aiuto alle proprie famiglie, in epoca coloniale era previsto un compenso da parte di alcuni membri familiari più anziani come un fratello maggiore una zia o una madre. È vero che i compiti tra i giovani venivano ridistribuiti prevalentemente in base all’età più che al genere ma nell’area Sud Est della Nigeria vi era un’attività che si configurava come tipicamente giovanile e femminile: la vendita ambulante delle merci. Ma il commercio non era la sola attività tradizionalmente femminile; a questa attività si andarono ad affiancare altri mestieri come la sarta, l’infermiera, la baby-sitter e soprattutto la parrucchiera; attività queste ultime che richiedevano un livello di conoscenza maggiore. Un gran numero di ragazze appartenenti alle classi sociali più povere erano impegnate nella vendita ambulante. Le Street hawker generalmente provenivano dalle campagne povere circostanti i grandi centri urbani.
Un centro che fu interessato da una massiccia immigrazione fu Lagos che situato in una posizione nevralgica diventerà ben presto capitale economica dello stato. Le bambine che si spostavano nelle città come ambulanti rappresentavano una fonte di reddito importante per il mantenimento dell’intera famiglia e contribuivano, al tempo stesso, ad alleggerire la vendita dei prodotti alle loro madri. Questa attività veniva svolta da ragazze giovanissime, generalmente, con un’età compresa tra i nove e i quindici anni.
La vendita ambulante finì con l’essere considerata dalle amministrazioni coloniali immorale perché, nella maggior parte dei casi, questo mestiere finiva con l’essere solo accessorio rispetto alla reale professione più redditizia ossia la prostituzione.
I giovani lontano dalle loro famiglie, in città che diventavano sempre più ostili e pericolose e in cui dilaniava una forte corruzione, finivano per avviarsi a commettere furti e a manifestare comportamenti sessuali considerati immorali. Il fenomeno era sempre più in crescita e le donne avviandosi così presto alla prostituzione, all’età undici anni diventavano esperte del mestiere e quindi capaci di fornire suggerimenti e consigli alle nuove arrivate oltre che reclutare sempre nuove ragazze.
Le ragazze, che avevano fatto ingresso nel mondo del commercio ambulante, si rendevano subito conto che attraverso la vendita del loro corpo avrebbero avuto la possibilità di ottenere maggiori profitti in minor tempo; così, dopo un certo periodo, finivano per avviarsi spontaneamente alla prostituzione o vi venivano indotte.
In età coloniale se il guadagno medio di un venditore ambulante si aggirava tra i 5 e gli 8 scellini mensili per le donne che si avviavano alla prostituzione i guadagni sarebbero stati nettamente maggiori (GEORGE A., 2014) . Si andava, così, delineando una forte connessione tra ragazza venditrice ambulante e minorenne prostituta – Harlot –, tanto che in epoca coloniale scindere le due attività era diventato praticamente impossibile.
La prostituzione esercitata dalle minorenni nigeriane non si riversò solo fuori dai confini dello stato in città popolose quali Freetown o Accra ma fu un problema presente anche all’interno della stessa Nazione. Ragazze di etnia Edo, Yoruba, Igbo si trasferirono in maniera consistente dalle campagne verso i centri delle grandi città.
Il commercio sessuale abbracciava tutto l’impero britannico dell’Africa Occidentale e la presenza di minorenni dedite alla vendita del proprio corpo è stata documentata nelle principali grandi città, soprattutto portuali, dove i rapporti interraziali erano con ogni probabilità maggiori.
La presenza di prostitute di origine nigeriana era consistente nei diversi stati africani tanto che nel Ghana coloniale si era diffusa l’idea secondo cui le ragazze nigeriane fossero prostitute e bisognava riconoscere questo tratto come un costume della Nigeria. (Nel corso del 1940 furono molto diffuse le voci relative alle ragazze, Efik, del Calabar: donne molto abili sessualmente e molto popolari in Nigeria e Costa d’Oro).
L’idea di adolescenza diffusasi soprattutto in seguito alle trasformazioni introdotte dagli amministratori coloniali, ossia l’idea di innocenza, modestia e castità dovevano essere riviste (Aderinto, 2015, pp. 115-116, traduzione mia).
Il crescente numero di Street hawker che oltre a vendere i prodotti della campagna finiva per vendere il proprio corpo doveva essere, in quegli anni, ricondotto all’aumento della domanda di servizi sessuali a pagamento. Soprattutto in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, le grandi città avevano visto transitare un numero di uomini sempre maggiore e privi di vincoli familiari: africani, europei, soldati, marinai oltre che civili. Il loro arrivo causò, in linea con quanto accadeva nelle popolose città europee, il rapido sviluppo di strutture per bere e ballare oltre che l’introduzione di altri servizi considerati come meno rispettabili. Lagos, ad esempio grande città portuale, nel corso della seconda guerra mondiale era stata punto di trasferimento per le navi britanniche e per il personale militare. Questo significava che c’era una notevole popolazione straniera di uomini lontani dalle proprie famiglie e desiderosi di soddisfare i propri bisogni sessuali ma soprattutto disposti a pagare, anche tanto, per ogni tipo di prestazione.
La prostituzione, soprattutto minorile, fu largamente condannata in tutto lo Stato e le giovanissime prostitute furono considerate soggetti inclini ad assumere comportamenti altamente devianti. Il lavoro ambulante quindi venne considerato come un’attività fortemente ambigua, proprio a causa dell’incapacità di essere scissa dalla prostituzione.
In Nigeria si andava consolidando l’idea secondo cui la vendita ambulante delle merci, concentrata nelle mani di ragazze sempre più giovani rappresentasse una fase della vita delle persone, una sorta di rito di passaggio a cui le minorenni dovevano obbligatoriamente avviarsi per diventare donne adulte. Formalmente l’età in cui si sarebbe diventati adulti era fissata all’incirca intorno ai diciassette anni; era questo il momento in cui le giovani Street hawker avrebbero definitivamente abbandonato il lavoro in strada e si sarebbero avviate alla vendita della merce nei negozi. Non è un caso che l’attività commerciale sembri essere strutturata secondo un ordine gerarchico prestabilito: le donne adulte disponevano di piccole botteghe mentre ragazze e bambine vendevano i prodotti delle botteghe per le strade della città.
Le donne detenevano il monopolio della vendita di tutti i prodotti ad eccezione del palm wine che era l’attività commerciale di competenza maschile.
Il commercio si configura come un’attività fondamentale per le donne del Sud Nigeria e in modo particolare per il gruppo etnico Yoruba. Nel commercio ambulante vengono racchiusi molti dei valori e degli aspetti delle culture locali: il duro lavoro, la cooperazione familiare, il rispetto dei giovani nei confronti degli anziani, i bambini come risorsa necessaria per la casa, l’importanza di un’indipendenza economica oltre che le enormi capacità imprenditoriali. Inoltre il commercio ambulante veniva anche visto come un modo per socializzare e per implementare le sfere di competenza personali che avrebbero poi permesso l’ingresso nell’età adulta. Le “Street hawker” che si muovevano per le strade delle grandi città erano molte e la vendita diventava competitiva: non sempre le ragazze riuscivano a vendere tutti i loro prodotti. Fu per implementare i loro guadagni che molte di loro finirono con l’elaborare nuove strategie: affiancare la vendita del proprio corpo agli altri tipi di merci (generalmente prodotti agricoli provenienti dalla campagna) fu la principale strategia messa in campo.
Nonostante la forte mobilità dovuta al lavoro ambulante e in generale al commercio che le rendeva, almeno in parte, indipendenti dal dominio maschile e indispensabili al sostentamento del nucleo familiare, le donne incontravano non poche difficoltà nella partenza.
È vero, un elevato numero di donne era riuscito a godere di una forte mobilità ed aveva finito per trasferirsi dalle campagne verso le città ma nonostante ciò la migrazione per una donna non era semplice. Gli anziani esercitavano un forte controllo sui loro corpi e spesso alle donne non era permesso di partire: esse venivano indotte, in loco, a contrarre matrimoni forzati oppure ad intraprendere, in età giovanissima, gravidanze indesiderate.
Sarà solo in seguito alla seconda guerra mondiale che il controllo sulla migrazione femminile si indebolirà con il conseguente aumento dei flussi migratori. In un primo momento le donne continueranno a migrare verso altri stati africani adiacenti, solo successivamente la destinazione dei viaggi diventerà la fortezza Europa.
Un tratto che sembra accumunare la migrazione nigeriana femminile del passato a quella odierna è il desiderio di non far ritorno a casa in quanto le donne che intraprendono lunghi e rischiosi viaggi hanno come obiettivo finale quello di potersi ricostruire una nuova vita nel Paese di destinazione (Catherine Coquery-Vidrovitch, 1995, p. 683).28
In questa ottica la donna nigeriana si configura, ancora una volta, come un soggetto autonomo e abile nello sviluppare vere e proprie attività economiche, indipendenti rispetto a quelle maschili.
Con il processo di decolonizzazione le città non smisero di essere pericolose anzi, per le donne, i rischi diventarono sempre maggiori e si assistette sempre più al proliferare di malattie sociali. La prostituzione metteva a serio rischio la salute delle donne oltre che degli uomini. Questi problemi furono letti come l’emblema del degrado delle moderne società africane.
I problemi relativi alla salute e alle norme igieniche non erano i soli ad affliggere la vita delle ragazze; a questi se ne aggiungevano di nuovi legati alle nuove forme del consumismo occidentale quali i nuovi modelli di bellezza, il glamour e il successo.
Il moltiplicarsi degli scambi e delle comunicazioni aveva provocato, in aree sempre più estese del mondo, una occidentalizzazione diffusa dei bisogni, dei consumi e degli stili di vita che finiva per rendere estremamente ambiziosi quelli che erano i desideri e i progetti per il futuro.
Per contrastare la prostituzione interna, in età coloniale, si andarono a delineare delle istituzioni che miravano a punire le ragazze che trasgredivano le leggi dello stato o che erano sospettate di essersi avvicinate alla prostituzione in giovanissima età.29 In tutti gli stati furono previste severe punizioni soprattutto per le ragazze che si prostituivano sotto i 14 anni; ad essere condannati furono anche i clienti e i proprietari delle case chiuse, che solitamente fornivano alloggi alle ragazze. A tal proposito risulta significativo osservare come, con il trascorrere del tempo, le punizioni impartite assunsero un carattere sempre più occidentale e una tra queste prevedeva il divieto alimentare: ad esempio alle ragazze veniva richiesto di saltare un pasto o veniva vietato di mangiare carne. Questi divieti mettevano in luce il processo di disgregazione in atto della società tradizionale e il conseguente diffondersi della modernità occidentale che avrebbe finito per condizionare anche i modelli educativi abituali. Ma ad essere proibita e contrastata non fu solo prostituzione ma anche la vendita ambulante delle merci. Queste restrizioni sembravano fondamentali per porre fine alle pratiche immorali che dilagavano nella società mettendo in pericolo la vita delle ragazze. Il legame di parentele divenne la sola garanzia che assicurava che il soggetto minorenne non venisse sfruttato.
La vendita delle merci era vietata in tutti i luoghi considerati a rischio (bar, bordelli e baracche militari) per la presenza di uomini e militari europei. Tale ordinanza aveva lo scopo di impedire contatti sessuali tra giovani ragazze africane ed europei, i quali rappresentavano i principali acquirenti. La violazione di tali norme avrebbe comportato pesanti sanzioni applicabili sia ai giovani sia agli adulti.
Per fronteggiare il problema della prostituzione minorile e salvaguardare la salute dei minori erano state emanate già nel 1899 e nel 1917, dai governi coloniali, alcune ordinanze che come si legge cercavano di “provvedere alla cura e alla custodia dei bambini trascurati o abbandonati” (Aderinto, 2015, p.100); inoltre alcuni provvedimenti erano stati presi anche nei confronti dei minori orfani e nei confronti di quei minori inclini a commettere reati. Nel 1943 veniva emanata un’altra ordinanza che prevedeva la creazione specifica dei tribunali per i minorenni.
29 La prostituzione in Nigeria pur se non accettata non era illegale e soprattutto non poteva essere praticata in luoghi aperti. Era vietata e perseguibile solo nel caso in cui venisse esercitata da soggetti di età inferiore ai 14 anni. Nei bordelli, ad esempio, l’età veniva accertata e confermata da visite mediche. Questo accertamento dell’età ci rimanda all’attuale radiografia del polso che viene effettuata sui presunti MSNA per definirne l’età.