Come si è arrivati alla proposta di legge che estende all’essere umano concepito il riconoscimento della capacità giuridica che tanto sta facendo discutere in questo inizio di legislatura e qual è il suo significato? Anche se per molti è cosa nota, è bene ricordarlo sia per i più giovani sia perché il trambusto mediatico porta confusione più che chiarezza. Questa proposta è nata in seno al Movimento per la vita Italiano ed è stata fortemente voluta e sostenuta da Carlo Casini, come attestano molti suoi scritti, alcuni dei quali pubblicati proprio sulle pagine di Avvenire. Forte fu anche il sostegno del Forum delle associazioni familiari di cui era presidente Luisa Santolini.
La proposta chiede la modifica dell’art. 1 c.c., che attualmente subordina alla nascita la capacità giuridica, in questi termini: “Ogni essere umano ha la capacità giuridica dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge attribuisce al concepito sono subordinati all’evento della nascita”. La proposta sviluppa un tema di permanente e fondamentale importanza a livello mondiale: l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani. Solo per comprenderne la portata a livello italiano, si tenga presente che l’art. 22 della nostra Costituzione stabilisce che “nessuno può essere privato, per ragioni politiche, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”: neppure un solo essere umano può essere privato della capacità giuridica. Il riferimento alle ragioni politiche evoca dolorosamente quelle razziali che, proprio nell’art. 1 c.c., avevano aggiunto un terzo comma poi giustamente abrogato nel 1944: “le limitazioni alla capacità giuridica derivanti dalla appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. Ebbene, la proposta fu presentata la prima volta alla Camera dei deputati il 20 luglio 1995 come proposta di legge di iniziativa popolare 197.277 le sottoscrizioni tra le quali quelle di 400 docenti universitari e di 16 rettori di università e annunciata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 gennaio precedente con la firma di un comitato di sole donne. Nonostante il serio e prolungato dibattito suscitato e la condivisione di personalità di cultura “laica”, come Giuliano Amato e Antonio Baldassarre che presero parte ad un importante convegno sul tema che si tenne a Firenze il 1° febbraio 1997 con la partecipazione anche di Luisa Santolini, Francesco D’Agostino e Carlo Casini, la proposta non è stata mai messa all’ordine del giorno del Parlamento, ma diversi parlamentari e senatori la fecero propria presentandola sistematicamente nelle legislature successive.
Lo scorso anno, in occasione dell’anniversario della Convenzione sui diritti del bambino, la senatrice Paola Binetti organizzò una conferenza stampa, moderata da Angelo Picariello di Avvenire, per rilanciare la proposta. Erano presenti diversi politici: Lucio Malan, Alessandra Gallone, Erica Rivolta, Lorenzo Cesa e Maurizio Gasparri che, come è noto, nei giorni scorsi l’ha ripresentata, e gliene siamo grati, subendo attacchi veramente ingiusti. Questo breve excursus per sottolineare la solidità del fondamento storico, culturale e giuridico (non è spazio adesso per approfondire) della proposta che vuole estendere il principio di uguaglianza anche a coloro che esistono, ci sono, ma che semplicemente sono così piccoli da poter essere facilmente scartati, ignorati, cancellati.
Cosa c’è di più progressista di questa iniziativa? Chi teme che la legge sull’aborto venga “toccata”, può stare tranquillo. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 35 del 1997 ha riconosciuto il diritto alla vita del concepito proprio affrontando il tema della legge 194. Il riconoscimento si lega benissimo alla proposta di legge in questione, perché dove c’è un diritto, c’è capacità giuridica.
Domandiamoci allora: il presupposto ideologico della 194 è la negazione della umanità del concepito e del suo diritto alla vita?
I più tra coloro che sostennero e sostengono la 194 ritengono che si tratti di una legge che intende difendere la vita nascente (lo Stato tutela la vita umana sin da suo inizio, è scritto nella legge), la maternità, la salute della donna o rimangono neutrali rispetto alla questione sul concepito (qualcosa o qualcuno?). E allora, perché inquietarsi? Se la riforma dell’art. 1 del codice civile servisse a irrobustire la responsabilità dei genitori, della società e della politica nei confronti di coloro che sono in viaggio verso la nascita, con misure che abbraccino la sua mamma in una logica di condivisione delle difficoltà, sarebbe davvero un grande passo avanti. Chi lo desidera, può chiedere al MpV Italiano materiali per approfondire.
Marina Casini – presidente del Movimento per la Vita italiano