Ciao, qui è sera e sono di nuovo in crisi perché le “battute” degli altri su di me, mi descrivono e mi determinano: e io mi piego a quelle. In casa certi rapporti si sono logorati. Sono un po’ di ghiaccio e scivolo continuamente nel lasciarmi misurare dal giudizio degli altri. Fra poco però, finalmente, avrò anch’io un medico che mi aiuterà. Sinceramente cerco di avere un giudizio più libero e sereno, di distogliere l’attenzione dalle mie misure, ma se Lui non si ripropone dall’esterno… è come se fossi appeso a un filo: che tristezza! A volte quasi disperazione. Ieri in un’omelia, un prete diceva che in Cristo tutto di noi è già “compreso”, soprattutto il dolore (spirituale in primis); ma che alcuni nostri mali Lui poteva non averli patiti e in questo senso Paolo usa l’espressione «… ciò che manca ai patimenti di Cristo». Questo dà “significato” anche ai miei dolori. Io offro, ma nel contempo rimango molto affranto e quasi disperato. Ma tu Padre Aldo come fai?
Nicolás
Padre Aldo, aiutami. Da qualche mese sto frequentando e conoscendo persone psichicamente labili e depresse: spesso mi ritrovo a piangere per e con loro. La vita urge. Quando li vedo e li ascolto, la realtà in tutta la sua drammaticità mi investe. Come guardarli? Come stare davanti a loro? Oggi uno di questi, Giancarlo, mi ha detto: «Non voglio farti compassione». Ma cosa dovrei fare se non chiedere a Gesù di donarmi il Suo stesso sguardo di compassione e di amore? So che mi puoi capire. Aiutami, fammi compagnia: da sola non ci riesco. Ho davanti a me vite spezzate, di tutte le età. Vite che sognavano il meglio e si ritrovano con niente, dimenticate dai propri cari e determinate dalle scelte di altri. Vite che spesso non sperano più. «Il mondo “morde” ma io non sono stato capace di fare lo stesso», mi ha detto ancora Giancarlo. Già, il mondo è crudele e non perdona. Solo Dio perdona e salva l’umano. Che richiamo forte alla vita! Ho chiesto a Dio la grazia che tutto questo mi ferisca e non mi lasci tiepida e indifferente. Così è avvenuto, e ora mi ritrovo a domandarmi cos’altro debba fare se non pregare per loro. E prego anche per me, perché rimanendo unita e radicata in Cristo possa vivere la mia vita in pienezza. Solo così, nello stare con loro, un po’ del buon profumo di Dio li potrà raggiungere e conquistare. Non a me, o Signore, ma al Tuo nome da’ Gloria. Amen.
Miriam
Caro padre Aldo, mi chiamo Adriana e vengo dal Centroamerica. Appartengo al movimento di Comunione e Liberazione fin dai tempi dell’università. Sono sempre stata una persona che si deprime con facilità e sono stata assistita da molti psicologi ma la depressione continuamente torna e con lei, sempre più spesso, anche la voglia di morire. Ne ho parlato con un’amica che mi ha indicato uno psichiatra che l’aveva aiutata a superare una crisi. Mi ha prescritto il Prozac, un farmaco ben specifico per malattie psichiche. Il dottore ha cercato di “addolcire la pillola”, dicendomi che avrei dovuto incominciare con mezza pastiglia al giorno. Ho paura. Non è possibile uscirne solo con l’aiuto dello Spirito Santo? Non è sufficiente fare seriamente il lavoro di Scuola di Comunità per vincere la depressione? Dato che lei ha raccontato in alcuni incontri e interviste la sua situazione, volevo sottoporle questi miei dubbi. A me non piacerebbe dover prendere antidepressivi per tutta la vita.
Adriana
Crisi economica o crisi antropologica? Mancanza di lavoro o mancanza di un senso per il quale valga la pena di vivere? Tutti i giorni ricevo lettere come quelle di Nicolás, Miriam e Adriana. Non solo, ma in qualunque posto vada, trovo persone che mi avvicinano pretendendo una risposta ai loro quesiti esistenziali. Occorre subito rilevare che alla dittatura del relativismo e dell’efficientismo non interessa quello che già alcune decadi fa denunciava Teilhard de Chardin: «La peggior malattia dell’uomo moderno non è la Tbc, ma la perdita del senso della vita».
Senza che vi sia la certezza di una rotta chiara nella vita, perché si dovrebbe lavorare? Senza la certezza che esiste una meta e una strada per raggiungerla, perché mai un uomo dovrebbe lottare contro la malattia e tutto quello che ostacola il benessere personale? Cantava l’amico Claudio Chieffo: «Cammina l’uomo quando sa bene dove andare». Tuttavia il cinismo di oggi ha talmente schiacciato l’uomo, che il positivismo è diventato la modalità con cui avvicinarsi a quanto accade.
In questi giorni sono stato, per ragioni mediche, a Milano. I giornali raccontavano con una banalità impressionante il suicidio di una ragazza. Non una provocazione sul perché, ma soltanto la macabra e morbosa descrizione dell’accaduto. Quello che un tempo sarebbe stato un pugno nello stomaco ora è diventato una cosa “normale”, incapace di risvegliare la ragione e il cuore. Queste tre lettere, invece, sono un grido. Nicolás domanda come fare a convivere con i problemi. «Tibi sufficit gratiam meam», risponde una voce a san Paolo, che per tre volte grida al Signore di liberarlo da una spina dolorosa piantata nel fianco. Caro amico, il tuo non è un problema che io possa risolvere. Non si tratta di quello che faccio. Mai come in questi 24 anni in Paraguay si è manifestata la mia debolezza, la mia miseria. L’unica cosa dipesa dalla mia libertà è stata la grazia della pazienza nel gridare. Concretamente: vivere intensamente la realtà, sostenuto dai sacramenti, dalla preghiera e dalla compagnia giornaliera di un viso amico. È l’unica cosa che dipende da noi, anche dentro la tristezza, l’angoscia o la disperazione che possono afferrarci fino a oscurare la ragione.
Quante volte ho pensato di finire in un manicomio o di farla finita! Tuttavia quando pensavo di non riuscire più a sopportare “oltre”, la misericordia divina, mediante la Vergine Maria, mi afferrava per i capelli rimettendomi nuovamente in moto. Il problema è che ci sia qualcuno che ci aiuti a riconoscere e ad accettare questa malattia come una modalità attraverso la quale il Mistero vuole purificarci, anche attraveso un progetto che solo Lui conosce. In me la cosa è stata evidente, perché non avrei mai neanche lontanamente pensato che Dio si sarebbe servito della mia povera persona per manifestare la sua misericordia ai poveri, ai malati, ai bambini, agli anziani.
Quello che hai sentito nell’omelia è vero e quanto più lo sperimenterai tanto più sarai ricolmo di gioia, sapendo che in questo modo stai partecipando alle sofferenze di Gesù per il suo corpo che è la Chiesa.
La paura delle medicine
Cara Adriana, chi non avrebbe la tua stessa reazione quando il medico ti chiede di usare degli psicofarmaci? Ricordo la paura che mi ha preso il giorno in cui il medico mi prescrisse l’Alprazolam. Poi però l’ho anche ringraziato perché mi ha aiutato. Non dimenticare mai che la fede e la ragione camminano sempre insieme. La fede esalta l’umano e tutto quello che l’intelligenza scopre. Nel mio ospedale il cuore di tutto è l’Eucaristia. Ma questa passione per Cristo ci spinge anche a dare ai pazienti la morfina e altri farmaci. Dopo 24 anni continuo a prendere i miei farmaci e presumo che dovrò usarli fino alla fine dei miei giorni. Dov’è il problema? Una cosa è certa più del sole: senza l’incontro col Servo di Dio don Luigi Giussani e il lavoro personale, i farmaci non sarebbero serviti a niente. Lui conosceva la mia disperazione, ma non mi ha mai suggerito alcun rimedio. La sua medicina è stata la sua compagnia, la sua stima e l’aver avuto fiducia in me, mandandomi in Paraguay insieme a un sacerdote che nemmeno conoscevo.
Per finire, cara Miriam, che grazia grande ti dona Dio, facendoti lavorare coi malati mentali! L’unica cosa di cui necessitano è di essere amati come sono. Lo vedo nella clinica San Riccardo Pampuri e nelle casette per anziani. Convivere e pregare con loro è l’urgenza fondamentale per te e per tutti. Stare in loro compagnia è una grande possibilità per la tua umanità, così da non permettere al borghesismo e al cinismo di afferrarti. Ma senza riconoscere in queste persone Cristo che soffre, è inevitabile che il cuore diventi di pietra.
Aldo Trento – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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