Caro amico, questo luogo, in cui condivido la vita quotidiana con padre Paolino non è stato scelto, né da me, né dal mio compagno di viaggio. Ci siamo trovati qui perché, in tempi diversi, il Mistero, attraverso una chiamata concreta, ci ha convocati a condividere la stessa avventura. Un’avventura che è iniziata il 6 gennaio 1990 con padre Lino e padre Alberto, nella parrocchia di San Rafael. In quel momento non mi sfiorava l’ipotesi di ciò che Dio, molti anni dopo, avrebbe realizzato per manifestare la sua Misericordia, soprattutto in me e nei poveri. Io e Alberto eravamo contrari alla decisione di padre Lino di farci carico della parrocchia. Non solo perché eravamo convinti che il nostro apostolato avrebbe dovuto svolgersi solamente nelle scuole e nelle università, ma anche perché il tempio, la casa parrocchiale e tutta la proprietà, necessitavano di un impegno economico per dare al luogo una dignità che ci permettesse di convivere in maniera decente. Ma padre Lino vinse la battaglia e, anche se senza grande entusiasmo, io e padre Alberto lo abbiamo seguito. Così è cominciata l’avventura, un cammino carico di passione per Cristo e per la gente, che da quel 6 gennaio è diventata la nostra famiglia. I primi mesi sono stati difficili per la resistenza che covavamo nei nostri cuori verso quella decisione. Sei mesi dopo, Dio ha posto fine in maniera drammatica a questa resistenza. Padre Lino, che aveva dedicato la sua vita alla gente della parrocchia, è tornato in Italia per una settimana di vacanza. Se ne è andato alla fine di giugno del 1990 e non è più tornato. La morte di sua madre, un cancro alla tiroide e un diabete fuori controllo lo obbligarono a farsi ricoverare in una clinica a Padova. Dio gli aveva chiesto tutto. A quel punto si è imposto un “Sì” radicale da parte mia e di Alberto, nel prendere sul serio l’impegno con la parrocchia San Rafael. Per 9 anni abbiamo condiviso tutto: l’impegno parrocchiale e il prendersi cura del movimento di Cl, già presente in molte città del Paraguay. Padre Alberto, in particolare, ha rappresentato la paziente compagnia alla mia persona, esausta a causa della grave depressione. Non mi ha lasciato da solo neanche un istante, rendendosi conto che io non riuscivo a muovere un dito se lui non era al mio fianco. Nel 1999 padre Alberto si è gravemente ammalato ed è stato costretto a tornare in Italia. Sono rimasto solo per un anno, malato e depresso. Ricordo la disperazione che mi ha assalito il giorno in cui ho accompagnato Alberto in aeroporto. Mi sentivo morire. «Ora Signore cosa vuoi da questo uomo malato ed inutile? Cosa vuoi che io faccia?». Sono tornato in parrocchia disperato, gridando giorno e notte al Signore che mi mostrasse il suo volto e ciò che voleva da me.
Come i santi Basilio e Gregorio
Sono passati anni, durante i quali ho vissuto di fronte al Santissimo Sacramento, a cui chiedevo che svolgesse i compiti del parroco, rimanendo io come suo vicario. Finalmente un giorno monsignor Camisasca, superiore generale della Fraternità san Carlo Borromeo alla quale appartengo, ha deciso di regalarmi la compagnia di padre Paolino, a cui io avevo spesso chiesto aiuto quando viveva in Cile. Dio mi stava regalando un nuovo compagno di strada che si è rivelato per me e io per lui ciò che san Basilio affermò del suo amico Gregorio in uno dei suoi scritti, una compagnia radicale e preferenziale per amare Cristo: «Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro. L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male».
Dal primo giorno è stato chiaro che lui non solo rappresentava una continuità dell’amicizia con padre Alberto, ma anche dell’abbraccio di don Giussani, grazie al quale il Mistero mi ha mostrato la sua infinita Misericordia. Paolino è arrivato nel 2003, cosciente della mia situazione. Si è messo nel mio stesso cammino con grande umiltà nei confronti miei e di ciò che il Signore stava facendo, diventando per me sacramento della presenza di Dio. La sua ironia nel vivere il reale, mi ha educato a chiedere al Signore la libertà di vivere ogni circostanza paragonandomi sistematicamente con lui. Non c’è stato un istante in cui quest’amicizia donata dal Mistero non sia stata il criterio di tutto. Realmente, come Basilio e Gregorio, possiamo dire che siamo un’anima sola in due corpi differenti, con caratteristiche e caratteri diversi. Tutto ciò che è nato è frutto di questa amicizia a Cristo che ci unisce. Le persone che ci circondano sono il frutto di questa amicizia, che avendo come unico motivo la gloria di Cristo e l’amore al destino di ognuno e di tutti, è diventata la regola del nostro vivere quotidiano. La nostra casa, come luogo privilegiato della presenza del Mistero, è diventata concretamente la prima opera di accoglienza verso coloro che bussano alla porta. Ogni giorno la casa è, sia nel pregare, sia nel condividere il pasto, come la casa di Cafarnao dove Gesù viveva e incontrava la gente. Per questo motivo sulla porta è collocata la provocazione di don Giussani che mi porta a rivivere ogni giorno l’accoglienza che lui mi ha offerto: «L’ospitalità è il culmine della disposizione a condividere, in essa si mette in comune tutta la vita della persona. Ascoltiamo di nuovo l’esortazione di Paolo agli ebrei: permanete nell’amore fraterno. Non dimenticatevi dell’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo. Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che sono maltrattati, pensando che anche voi avete un corpo. Non dimenticatevi di fare il bene e di aiutarvi. Questi sono i sacrifici che fanno piacere a Dio». Una preferenza tra due uomini deboli, insignificanti e pieni di errori. Paolino era carrozziere prima della sua conversione e io un rompicapo per i superiori, prima dell’abbraccio di don Giussani. Con questo fango, con questo miscuglio di miseria, Dio ha creato ciò che a noi stessi meraviglia e sorprende. La nostra vita è un incontro continuo. Quando viaggiamo per il mondo non passiamo mai più di due o tre giorni senza sentirci, per ricordarci chi siamo. Questo modo di guardarci ha avuto il suo punto decisivo nella mia amicizia con Marcos e Cleuza.
Da quando don Carrón ci ha invitati a guardare loro come persone di riferimento per la nostra relazione con Cristo, immediatamente mi sono affidato a quell’amicizia regalata e nata in modo imprevisto. Ho cominciato ad andare in Brasile ogni 15 giorni per incontrarli e lo stesso hanno fatto loro. Padre Paolino si rendeva conto del cambiamento che questa amicizia costituiva nella mia vita e dell’affetto che loro mi testimoniavano. Percepiva la provocazione di san Tommaso d’Aquino: «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione». I coniugi Zerbini sono l’evidenza della grande Presenza. Paolino, essendo uomo grande e umile, mi ha detto di voler appartenere a questa amicizia e da due anni stiamo rivivendo, come mai nella vita, la compagnia di Gesù con i suoi apostoli.
L’abbraccio di Gesù
In questi ultimi due mesi siamo stati duramente provati e gli unici che sono stati quotidianamente presenti sono stati loro. Abbiamo vissuto una volta di più l’abbraccio di Gesù ai suoi apostoli, a Zaccheo, alla Samaritana, a Lazzaro, a Marta e Maria e quello di don Giussani a me. Quest’amicizia a volte molto difficile tra sacerdoti (per questo Giussani ripeteva spesso che per essere preti esiste una condizione previa: quella di essere uomini) ha “contagiato” le persone più vicine e responsabili dell’opera, le quali si sono lasciate afferrare dalla stessa amicizia. In questo modo è nata la fraternità tra i coordinatori dell’Associazione dei “Senza Terra” e i responsabili della fondazione San Raffaele, San Gioacchino e Sant’Anna. Una fraternità di vita che ogni anno condivide le vacanze estive ad Angra dos Reis, vicino a Rio de Janeiro, da cui sto scrivendo queste righe. «Tutto potrà succedere nella vita. Ma nessuno riuscirà a separarci dall’amore di Cristo e da questa amicizia attraverso la quale è nato tutto», dice sempre Paolino. Nessuno potrà impedirci di vivere in questo modo, nessuno che voglia venire a casa nostra potrà pensare di modificare questa posizione che ci unisce. La nostra casa è aperta a quanti vogliano gustare e vivere il carisma che coincide con l’abbraccio di don Giussani a me, lo stesso abbraccio che è nato per la gloria di Cristo e per l’uomo.
Aldo Trento – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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