Padre Aldo: Cristo non è qui per raffreddare le nostre passioni

Reverendo padre Trento, le devo premettere che non sono una ciellina, ho conosciuto don Giussani al Liceo Berchet, dove era mio professore di religione, ma non sono restata folgorata da lui, pur essendo una fra le poche convinte cattoliche praticanti, direi, di tutta la scuola di quegli anni Sessanta. Forse perché all’epoca ero molto più mariana che non innamorata di Cristo, come lo sono ora proprio grazie a Sua Madre. Le chiedo di avere ora la pazienza che aveva lui con me e di sopportare questa mail con cui la disturbo. Deve sapere che sono iscritta ad una mailing list mariana e un coetaneo, che conosco solo via mail, condividendo i miei interventi sui vari argomenti che ci vengono proposti, ha pensato di sottopormi privatamente una sua questione, molto simile al contenuto della lettera alla quale lei a suo tempo aveva risposto e che le allego per memoria (“Lettera a F. Gesù ti ha fatto innamorare di un altro uomo perché vuole che diventi una donna matura. Cioè finalmente Sua”. Cfr. Tempi n. 46 del 18 novembre 2009).

Il mio amico me l’ha inviata a sostegno della sua attuale posizione di uomo sposato che si è invaghito di una giovane cattolica con la quale si confronta nella fede. Reverendissimo padre, io non posso condividere nulla di quanto lei scrive e, per non sbagliare giudizio, ho sottoposto la sua risposta ad amici maschi, di parecchio più giovani di me ed anche di Cl. Mi dispiace dover dare lezioni ad un sacerdote della sua portata, ma nella sua risposta lei è assolutamente ambiguo e sembra voler giustificare un sentimento in contrasto con gli obblighi che una persona assume nei confronti di Dio, religioso o coniugato che sia, dando spazio al compiacimento per un sentimentalismo affettivo che altro non è che una tentazione bell’e buona e che, come tale, va stroncata immediatamente con la preghiera e i sacramenti. Non le parlo per sentito dire: alla mia età tali situazioni le ho sperimentate, anche perché sono separata da molti anni e, soprattutto, al momento di tale separazione ero ancora bella e corteggiata. Avrei quindi sbagliato io a scegliere l’assoluta castità anche solo mentale? E in cosa avrei sbagliato, visto che ora sono una persona finalmente serena e in pace con Dio e con il mondo? Reverendo, ma non è Gesù ad aver detto che chi pone mano all’aratro e poi si volta indietro non è degno del Regno di Dio? E non è lo stesso Gesù che nel Vangelo ci ha insegnato: «Avete inteso che fu detto “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna» (Mt 5, 28 e seg.).

E quale sarebbe la croce che ognuno deve portare, se vuole seguire Gesù, se non quella di rinunciare a tutto per poter ricevere Lui nell’Eucarestia, ottenendone in cambio le più deliziose consolazioni spirituali? E, infine, qual Santo, tanto più se un mistico, ha avuto bisogno di portare nel cuore anche l’amore per un essere umano per realizzare la propria maturità spirituale? Non è scritto «Io sono un Dio geloso» e «Chi ama il padre, la madre, il figlio o la figlia più di me non è degno di me»? Va da sé che la mia risposta a quell’anima che mi ha interrogato su tale questione è stata ben diversa dalla sua alla signora F. e che l’ho indirizzata alla preghiera e ai Sacramenti perché estirpi dal suo cuore una tentazione che rischia di inficiare un’intera vita spesa per Cristo, avvelenando la sua esistenza con un desiderio non realizzato che, alla lunga, diventerebbe una subdola fonte di infelicità e di depressione. Ma ciò che mi ha fatto maggior dispiacere è stato il doverla contraddire apertamente, e spero in ciò di essere ubbidita, perché l’esperienza diretta ed indiretta dovuta all’età e alla mia lunga militanza nella fede cattolica mi hanno insegnato che un male va eliminato subito prima che metta radici e che Satana è sempre in agguato per strappare a Dio anime belle, come quella di chi mi si è rivolto per avere consiglio. Non le chiedo di perdere tempo a rispondermi, anche perché le risposte sul suo operato credo che lei debba darle solo a Dio, ma la invito a considerare che nella sua posizione un insegnamento poco chiaro rischia di far sbagliare chi è nell’incertezza e che tutti siamo responsabili dei nostri fratelli. Che il Signore e la Santa Vergine la benedicano e la proteggano sempre.
Lettera firmata

Gentile signora, leggendo la sua lettera capisco perché don Giussani non l’ha mai “folgorata”, mentre ha “folgorato” noi poveri peccatori, “esuli figli di Eva”. Preferisco che alle sue scrupolose preoccupazioni risponda lo scrittore inglese Lewis, uomo di ben altre dimensioni dalle mie, di fede e culturali.

«Tra i metodi per dissuaderci dall’amare smodatamente i nostri simili ce n’è uno che mi vedo costretto a respingere in partenza. E lo faccio non senza turbamento, poiché l’ho trovato proposto nelle pagine di un grande santo e pensatore, verso il quale nutro un debito incalcolabile. Con parole che ancor oggi hanno il potere di commuovermi, Sant’Agostino descrive la desolazione in cui lo sprofondò la morte dell’amico Nebridio (Confessioni 4, 10). Da ciò egli trae una morale: questo è quanto accade, egli ci dice, a donare il nostro cuore a qualcuno che non sia Dio. Tutte le cose umane trapassano; non lasciamo che la nostra felicità dipenda da qualcosa che potremmo perdere. Se vogliamo che l’amore sia una benedizione, e non un tormento, dobbiamo indirizzarlo soltanto a quel bene che non tramonterà mai. Questo è un ragionamento di certo dettato dal buon senso: non imbarcare i tuoi beni su un vascello che fa acqua; non spendere denaro su una casa da cui ti potranno cacciare. Nessun uomo al mondo meglio di me sa apprezzare e far tesoro di queste sagaci massime. Sono una creatura che guarda, prima di tutto alla propria sicurezza. Di tutte le argomentazioni contro l’amore, nessuna ha più presa su di me di quella che raccomanda: «Prudenza! Questo potrebbe poi farti soffrire». Questo, dicevo, in rapporto al mio carattere e alle mie disposizioni naturali, ma non alla mia coscienza.

Quando io rispondo a questo appello, mi sento lontano mille miglia da Cristo. Se di qualcosa sono certo, è che il suo insegnamento non ha mai avuto il fine di rafforzare la mia già innata preferenza per gli investimenti sicuri e le responsabilità limitate. Direi quasi che nulla, in me, gli è meno gradito. E chi potrebbe seriamente incominciare ad amare Dio partendo da questi prudenti presupposti – perché questo sembra offrirci, per così dire, sufficienti garanzie? Chi si sentirebbe persino di includere questo motivo tra quelli che ci spingono ad amarlo? È con questo spirito che scegliereste una moglie, un amico, o addirittura un cane? Per essere capaci di un simile calcolo bisogna essere davvero al di fuori della dimensione dell’amore, o di qualunque altro affetto. L’eros, l’eros che si ribella alle regole, che preferisce l’amata alla felicità, è allora più simile a colui che è l’amore stesso. (il neretto non è di Lewis, nda). Penso che questo passo delle Confessioni debba essere considerato più come un residuo delle aristocratiche filosofie pagane in cui Sant’Agostino fu educato, che non come una parte del suo credo cristiano. È qualcosa di più vicino alla “apatia” degli stoici o al misticismo neoplatonico, che non alla carità. Noi siamo seguaci di colui che pianse su Gerusalemme e davanti alla tomba di Lazzaro, e che, pur amando tutti, ebbe tuttavia un discepolo cui si sentiva legato da un affetto speciale. San Paolo ci parla con un’autorità che fa presa su di noi più di quella di Sant’Agostino: San Paolo non cerca affatto di darci a intendere che non avrebbe sofferto come un uomo qualunque né che sarebbe stato ingiusto soffrire, se Epafrodito fosse morto (Fil. 2, 27).

Ammesso che la miglior politica da adottare fosse quella di assicurarci contro il rischio di avere il cuore spezzato, siamo poi sicuri che Dio ci offre questa possibilità? Sembrerebbe proprio di no: Cristo, prossimo alla fine, è arrivato a dire: «Perché mi hai abbandonato?». Non c’è possibilità di fuga lungo la strada che Sant’Agostino ci suggerisce, né lungo altre strade. Non esiste investimento sicuro: amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura in passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno – al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto – esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile. L’alternativa al rischio di una tragedia, è la dannazione. L’unico posto, oltre al cielo, dove potreste stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore è l’inferno. Sono convinto che il più sregolato e smodato degli affetti contrasta meno la volontà di Dio di una mancanza di amore volontariamente ricercata per autoproteggerci. È lo stesso che nascondere un talento in una buca sotto terra, e per le stesse ragioni: «So che tu sei un uomo duro». Cristo non ha sofferto per noi né ci ha dato i suoi insegnamenti affinché diventassimo, persino nei nostri affetti naturali, più preoccupati della nostra felicità personale. Se un uomo non riesce a non essere calcolatore nei confronti delle persone di questa terra che ama e conosce, è assai più improbabile che riesca ad esserlo verso Dio, che non ha mai conosciuto. Non è cercando di evitare le sofferenze inevitabili dell’amore che ci avvicineremo di più a Dio, ma accettandole e offrendole a lui: gettando lontano la cotta di protezione. Se è stabilito che il nostro cuore debba spezzarsi, e se egli ha scelto questa via per farlo, così sia».
C. S. Lewis I quattro amori, Jaca Book

Due osservazioni finali. Leggendo la sua lettera mi è venuta in mente una frase che Pascal pronunciò riferendosi alle suore di Paray-le-Monial: «Sono pure come gli angeli, ma orgogliose come il demonio!». Se desidera rispondermi lo faccia subito, non aspetti altri tre anni, non vorrei che fosse troppo tardi!

Aldo Trento – Tempi

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Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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