
Gli elementi per il riconoscimento dello status di rifugiato sono:
1) il timore “fondato” che deve accompagnarsi all’elemento della “fondatezza”;
2) la persecuzione. (vedi art. 7 d.lgs. n. 251/2007).
Non è sufficiente la presenza di atti persecutori poiché occorre che questi siano riconducibili ai motivi indicati dalla Convenzione di Ginevra. Tali atti, così configurati, sono in grado di produrre una grave violazione dei diritti umani e possono assumere molteplici forme che si integrano con l’evoluzione dei fenomeni migratori e geopolitici. Tra questi:
a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale;
b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio;
c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;
d) rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria;
e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo potrebbe comportare la commissione di crimini, reati o atti che rientrano nelle clausole di esclusione di cui all’articolo 10, comma 2;
e-bis) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie che comportano gravi violazioni di diritti umani fondamentali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare per motivi di natura morale, religiosa, politica o di appartenenza etnica o nazionale;
f) atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia. Tra i primi rientrano ad esempio i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili, la violenza di genere (in senso lato), gli stupri di massa e le gravidanze forzate, la segregazione, la tratta e lo sfruttamento, la negazione dell’istruzione, ogni forma di privazione della libertà. Nei confronti di minori rientrano i matrimoni precoci, il reclutamento dei bambini soldato ecc.
3) L’impossibilità e/o la non volontà di avvalersi della protezione dello Stato di cittadinanza e/o di residenza;
4) La presenza fuori dal Paese di cittadinanza o di residenza abituale. Rispetto a questo elemento, fondamentale ai fini del rilascio, non
è necessario che tale timore sia ragionevolmente sorto durante la permanenza nel Paese d’origine, questo può sorgere anche successivamente all’espatrio.
Tutta la disciplina relativa alle condizioni per la concessione della protezione internazionale è contenuta nella Direttiva 2011/95/UE,
cosiddetta “direttiva qualifiche” (vedi box “Le direttive”).
La stessa prevede una serie di diritti relativi alla protezione contro il refoulement (respingimento), ai permessi di soggiorno, ai documenti di viaggio e all’accesso all’occupazione, all’istruzione, all’assistenza sociale e sanitaria, all’alloggio e alle misure d’integrazione.
L’obbligo di tutela nasce dal momento in cui l’individuo soddisfa i criteri indicati nell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e giunge nel
territorio o si trova nella giurisdizione di uno Stato estero, indipendentemente dall’avvenuto riconoscimento formale da parte dello Stato: “una persona non diventa rifugiato perché è riconosciuta come tale, ma è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato”.
Tratto dal Manuale operativo richiedenti/titolari di protezione internazionale e vittime di tratta – 2015