Alcune lobby e attivisti promuovono la normalizzazione della prostituzione, cercando di sostenere l’idea che questa sia un “lavoro come un altro”. Tuttavia, tale impostazione è profondamente errata per diverse ragioni.
In primo luogo, una legge che “legalizzasse” la prostituzione entrerebbe in contraddizione con i principi fondamentali alla base di ogni legge o norma, che hanno il compito di garantire giustizia, sicurezza e tutela della dignità umana. La prostituzione, infatti, è intrinsecamente legata a dinamiche di sfruttamento e disuguaglianza, che non possono essere ignorate o normalizzate tramite una cornice legale.
In secondo luogo, l’idea stessa di sex work è insensata e fuorviante: non tutte le attività che l’essere umano svolge hanno la stessa dignità e lo stesso valore. La prostituzione implica la vendita di atti profondamente intimi, legati alla sfera più privata e personale dell’individuo, e non può essere equiparata ad altre forme di lavoro. Ridurre la sessualità a una merce scambiabile significa negare la sua natura relazionale e trasformarla in oggetto di commercio, compromettendo la dignità della persona coinvolta.
L’unico elemento di vicinanza con il lavoro è che può essere paragonato allo sfruttamento, perfino quando viene svolto volontariamente dalla donna, poiché è l’uomo che approfitta di una fragilità economica, sociale o personale della donna.
Anche qualora vi fossero donne che liberamente e consapevolmente decidano di vendere atti sessuali, la loro scelta non può essere favorita o incentivata dalla legalizzazione, poiché prevale il diritto fondamentale di non vendersi e di non mercificare atti sessuali. Inoltre, è prevalente la necessità di proteggere donne adulte e minorenni che vivono situazioni di difficoltà economica o sociale e che, in presenza di una legalizzazione, potrebbero esserne attratte e allontanate da percorsi formativi e di vita più dignitosi.
Così come non è lecito donare un occhio o un fegato in vita, non può essere ammissibile considerare la prostituzione un lavoro o un’attività regolamentata e remunerativa. Ciò faciliterebbe infatti l’ingresso nella prostituzione di fasce sociali a rischio, come persone indigenti o con problemi sociali o personali.
La legalizzazione comporterebbe inoltre l’impossibilità di effettuare indagini in luoghi chiusi dove essa si svolge, a causa dell’estrema intimità necessaria per espletare tali atti. Le normative sulla privacy e sul diritto del lavoro impedirebbero controlli, ispezioni o indagini adeguate, ostacolando così la lotta contro il traffico di esseri umani e la tratta a scopo sessuale, che coinvolge la maggior parte delle donne prostituite nel mondo.
L’uso della parola sex work va quindi rigettato. Più corretto sarebbe utilizzare il termine “persone prostituite”.
Le leggi sono strumenti attraverso i quali lo Stato assicura ordine, sicurezza, equità e progresso nella società, tutelando i diritti fondamentali di ogni individuo e disciplinando i rapporti tra cittadini. Tuttavia, una legge che legalizza e normalizza la prostituzione entra in netto contrasto con questi obiettivi e disattende i compiti essenziali delle legislazioni per le seguenti ragioni:
Garantire l’ordine e la sicurezza
Le leggi prevengono conflitti, garantiscono la sicurezza dei cittadini e creano un quadro normativo che protegge gli individui da comportamenti lesivi. Tuttavia, legalizzare la prostituzione non protegge le donne coinvolte, ma favorisce principalmente chi acquista servizi sessuali. Una volta regolamentata, è inevitabile che il mercato si strutturi in forme più estese e organizzate come bordelli, vetrine sessuali e altri sistemi che, sebbene legali, contribuiscono a rafforzare lo sfruttamento e la marginalizzazione delle donne. Di fatto, la prostituzione legalizzata non elimina le reti illegali o criminali ad essa connesse, ma le facilita e le rende più difficili da monitorare, minacciando l’ordine sociale.
Tutelare i diritti e la dignità degli individui
Le leggi esistono per proteggere i diritti fondamentali come la vita, la libertà, l’uguaglianza e la dignità. La prostituzione è intrinsecamente incompatibile con questi principi perché si fonda su una relazione di potere squilibrata, dove la donna viene trattata come una “merce” da acquistare, ledendo la sua dignità e autonomia. Legalizzare tale pratica implica che lo Stato, attraverso la tassazione, tragga profitto dalla vendita di atti sessuali, rafforzando l’ingiustizia e la disparità di genere: oltre il 95% dei clienti è uomo, mentre le donne continuano a occupare la posizione di parte sfruttata e subordinata.
Promuovere l’equità e la giustizia sociale
Le leggi devono garantire giustizia nelle relazioni personali ed economiche e ridurre le disuguaglianze sociali. Tuttavia, la prostituzione è, per sua natura, un sistema ingiusto che sfrutta le vulnerabilità economiche, sociali e personali delle donne, trasformando la loro condizione in un’opportunità di profitto per altri. Una legge che legalizza questa pratica, anziché promuovere l’equità, legittima un sistema oppressivo che perpetua la subordinazione femminile e la discriminazione di genere.
Punire e correggere comportamenti illeciti
Le leggi hanno il compito di scoraggiare e sanzionare azioni che violano le norme fondamentali della convivenza civile. La prostituzione, pur essendo spesso presentata come una scelta personale, nella realtà è alimentata da povertà, violenza e traffico di esseri umani. Legalizzarla significa ignorare la radice del problema e fallire nel punire i comportamenti che sfruttano la vulnerabilità di chi si prostituisce. Invece di combattere la tratta e l’oppressione delle donne, lo Stato finisce per facilitare il fenomeno.
Regolare i rapporti tra cittadini e garantire la giustizia economica
Le leggi disciplinano i rapporti tra privati per assicurare equità e trasparenza. Tuttavia, nella prostituzione questa equità è del tutto assente: la relazione economica tra cliente e prostituta è segnata da un profondo squilibrio di potere. Legalizzare il “contratto” di prostituzione non elimina l’ingiustizia insita nell’acquisto del corpo di una persona, ma la normalizza, trasformando una grave violazione dei diritti in un atto “legalmente accettabile”.
Organizzare il funzionamento dello Stato
Il compito delle leggi è quello di regolamentare le istituzioni pubbliche e il rapporto tra cittadini e autorità, promuovendo la legalità e la giustizia. Una legge che favorisce la prostituzione pone lo Stato in una posizione eticamente ambigua: da un lato dichiara di proteggere i diritti delle donne, dall’altro trae profitto fiscale da una pratica che le danneggia e le pone in una condizione di inferiorità sociale ed economica. Tale contraddizione mina la credibilità dello Stato come garante della giustizia e dei diritti umani.
Promuovere lo sviluppo e il progresso sociale
Le leggi servono a incentivare il progresso della società, proteggendo i più vulnerabili e promuovendo politiche di uguaglianza e sostenibilità. Legalizzare la prostituzione non rappresenta un progresso, ma una regressione sociale, poiché perpetua modelli culturali oppressivi e sfruttatori, bloccando ogni tentativo di emancipazione delle donne coinvolte. Una società veramente progressista dovrebbe invece investire in misure di prevenzione, istruzione, supporto economico e reinserimento sociale per le donne, eliminando le cause che le spingono nella prostituzione.
Possiamo concludere con alcuni suggerimenti.
Non usiamo mai la parola sex-work o altre forme edulcorate come escort, lavoratrici del sesso, operatrici sessuali, assistenti sessuali.
Non è un lavoro ma una forma di sottomissione e sfruttamento della donna in varie forme e gradi.
Se qualche norma dovesse essere introdotta, deve andare nella direzione di ridurre la domanda sanzionando in modi diversi i clienti che acquistano prestazioni sessuali e chi favorisce, sfrutta o diffonde la prostituzione.
La prostituzione va abolita e chi ne è coinvolto va aiutato ad uscirne dando opportunità diverse e meno degradanti e rischiose per le fasce deboli della società.
Paolo Botti
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