
Durante il dominio coloniale inglese (1851- 1960), chi viveva in città era esposto ad una serie di pericoli: vagabondaggio, criminalità e prostituzione erano visibili nei grandi centri urbani in espansione. L’instaurarsi del governo coloniale introdusse in Nigeria e in molti altri stati africani una serie di mutamenti politici e sociali. Prima del dominio anglosassone i bambini vivevano con i loro genitori in famiglie allargate; per tutto il XIX secolo, invece, si assistette all’instaurarsi di nuovi modelli di crescita che videro i figli allontanarsi dal nucleo familiare d’origine.
La colonizzazione produsse una profonda rivoluzione nel riorganizzare i rapporti tra i sessi all’interno dell’istituzione matrimoniale, familiare e nello sviluppo dei rapporti monetari e dei servizi sessuali. La forte mobilità geografica fu soltanto uno dei tanti fattori che portò all’affermarsi della prostituzione e durante il periodo coloniale questa fu spesso associata alla chiusura del mercato del lavoro retribuito per le donne e alla loro crescente autonomia rispetto agli uomini, peculiarità culturale del periodo pre-coloniale. Il mestiere della prostituzione, in riferimento alla prostituzione volontaria, fu anche inteso come protesta sociale delle donne contro la povertà e contro il dominio maschile.
La forte corruzione, il proliferare della maleducazione, della lussuria e di altri vizi portarono i giovani all’essere esposti a maggiori pericoli per le strade della città.
I territori a sud-est della Nigeria, nei primi anni del Novecento, furono caratterizzati dalla diffusione di una specifica forma di prostituzione: quella minorile. La prostituzione di giovani donne nigeriane, in questi anni, fu consistente non solo all’interno dello Stato ma anche in alcune aree di confine; ad esempio Accra, capitale dell’attuale Ghana, divenne punto di riferimento per tantissime giovani prostitute d’origine nigeriana.
Le ragioni che spinsero queste donne ad esercitare la prostituzione oltre il confine della Nazione sono riconducibili a differenti fattori: la prostituzione in Nigeria non era pratica condivisa a differenza, invece, di altri stati circostanti come ad esempio il Ghana. Inoltre altri fattori quali la comunanza linguistica, il simile sistema amministrativo, analoghe istituzioni educative e relazioni economiche esistenti tra i due Stati, favorirono la circolazione di questa “merce umana”.
Nel corso del XX secolo si assistette all’espansione delle città e alla creazione di nuovi posti di lavoro, si andò così delineando un massiccio movimento di uomini richiedenti servizi sessuali; a questo flusso segui il movimento delle donne che si rese disponibile a fornire differenti servizi di supporto come cibo, alloggio e sesso.
Queste trasformazioni portarono a rivolgere una maggiore attenzione nei confronti delle donne e così iniziò a delinearsi lentamente un tipo di migrazione esclusivamente femminile.
La migrazione delle donne africane in questo contesto contribuì a creare una rivoluzione sociale: da una parte si riconfigurò la demografia rurale e degli spazi urbani, dall’altra parte questo particolare tipo di migrazione permise di modificare i ruoli di genere, creando mobilità sociale ed economica. In questo modo le donne finivano per riorganizzare le loro attività nelle grandi città, generalmente vicino alle miniere o alle basi militari, con la conseguente riduzione della produzione nelle aree rurali.
Le donne africane che migrarono in epoca coloniale finirono “per sfidare l’autorità maschile e per mutare l’ideale precoloniale di donna africana ‘incontaminata’”.
Ad essere interessati da tali copiosi spostamenti furono gli abitanti di città quali Owerri, Ogoja e Calabar, concentrate nell’area Sud dello Stato. Nei nuovi territori d’insediamento si riscontrò la presenza di donne appartenenti prevalentemente a specifici gruppi etnici: ragazze Yoruba, Igbo, Hausa e Edo (considerate donne di grande fascino in diversi stati africani) furono le etnie più interessate dal fenomeno.
Il mercato del sesso divenne un vero e proprio business; le amministrazioni coloniali beneficiarono dei proventi del lavoro sessuale transfrontaliero così come ne beneficiarono i membri familiari rimasti a casa, i quali periodicamente ricevevano consistenti rimesse.
La prostituzione transfrontaliera, a differenza di quanto si possa immaginare, non fu sempre volontaria e non si contraddistinse solo per il carattere individuale e imprenditoriale delle donne. Infatti, in epoca coloniale, furono raccolte alcune testimonianze che dimostrarono l’esistenza di forme di prostituzione forzata.
Generalmente a prostituirsi volontariamente furono le donne adulte, con figli a carico; al contrario le ragazze minorenni venivano indotte alla prostituzione forzata. Queste ultime, più vulnerabili, potevano essere vendute dalle famiglie oppure essere attirate da conoscenti e amici e indotte così alla prostituzione con false promesse di matrimonio e di buone possibilità di lavoro.
L’attuale tratta degli esseri umani non è tanto diversa dalle forme di sfruttamento messe in campo durante il periodo coloniale; sia per le modalità stesse di sfruttamento sia per i ruoli che gli attori sociali ricoprono al suo interno. I meccanismi che in tutte le epoche storiche hanno regolato la tratta degli esseri umani sono contraddistinti e accomunati da repressione, oppressione e annientamento il cui scopo ultimo è quello di arrivare alla ridefinizione dello statuto della vittima.
Il traffico di esseri umani, intensificatosi in Nigeria tra il 1920 e il 1930, fu legato ad una storia di “schiavitù per debiti”; all’origine del sistema economico, caratterizzato dalla relazione debito-pegno, nella società nigeriana viene man mano ad inserirsi la dimensione dell’induzione e dello sfruttamento alla prostituzione. Con il termine “pawn” (gagée in francese) si vuole indicare una persona data in pegno. Questo tipo di relazione prevede che il soggetto dato in pegno debba impegnarsi nella restituzione del prestito, precedentemente concesso. Solinas ha sottolineato come poche cose hanno il potere di legare le persone come il denaro e pochi tipi di legami sono così tenaci come quelli derivanti proprio dal debito in denaro. In Africa quella legata al debito è solo una delle varie forme di dipendenza personale la quale deve essere necessariamente pensata come una categoria di larghissima estensione, polimorfica e ubiqua.
In un sistema come quello sopra descritto la persona promette di servire il creditore (quasi sempre un’altra donna) fino alla fine del debito mediante risarcimento o annullamento
Nel territorio di Benin City il termine adottato per indicare questa relazione debito – pegno è “Iyoha”, invece per il gruppo etnico Yoruba il termine si traduce in “iwofa”; tali similarità linguistiche mettono in evidenza come queste relazioni si diffusero lungo tutta la costa dell’Africa dell’Ovest in un contesto di forte espansione commerciale.
Una delle regioni più interessate dal fenomeno fu l’area dell’attuale Stato dell’Edo con capitale Benin city. In questo territorio la dipendenza nei confronti del creditore fu più forte soprattutto quando ad essere coinvolti erano i minori, costretti a vivere con i loro creditori e impiegati in diverse attività: ad esempio nei lavori domestici, nel lavoro dei campi, nella vendita ed esposizione delle merci. Ma nella maggior parte dei casi il lavoro svolto, anche solo temporaneamente, presso l’affidatario non ripagava né diminuiva in alcun modo il debito contratto.
Questo tipo di relazione, oggi definito di pawnship, affonda le sue radici in un tempo ancora più remoto: il periodo della tratta degli schiavi. Infatti, nel 1600 le mogli e le figlie degli schiavi furono impiegate nell’agricoltura e obbligate a fornire servizi sessuali ai proprietari terrieri. Ma a differenza della schiavitù, che pone i soggetti in una posizione irreversibile, nello stesso momento storico i soggetti dati in pegno non furono mai schiavi anzi al contrario furono persone libere. “L’affidamento in pegno” non equivaleva mai ad una vendita poiché la persona – pegno poteva essere riscatta in qualsiasi momento, tanto che il rimborso del debito contratto era sufficiente a liberare immediatamente il pegno. Questo sistema basato sul pegno attestava la piena disponibilità dei cadetti nei confronti degli anziani della loro famiglia.
Negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, il sistema di pawnship non scomparve completamente tanto che vi si ricorrerà, in modo mascherato, specie attraverso forme di affidamento infantile. Il sistema di pawnship divenne un sistema di credito alternativo al quale potevano attingere tutti i soggetti con scarse possibilità economiche e che non avevano le possibilità di ricorrere ai nascenti istituti di credito ufficiali. La tratta delle ragazze nigeriane finì con l’essere una pratica residuale e camuffata di quello che era stato l’antico prestito su interesse. Questo sistema ha finito per costituire una delle principali risorse di credito all’interno di una economia caratterizzata da una crescente monetizzazione.
Il rapporto di “pawnship” divenne una pratica molto diffusa in tutte le società dell’Africa occidentale e oggi in forma differente è alla radice del debito che le giovanissime ragazze nigeriane contraggono nei confronti di altre donne (mamam o madame) per poter raggiungere l’Europa. Il meccanismo che regolava tale tipo di relazione non è infatti molto diverso da quanto accade oggi. Il garante veniva identificato nella figura di un amico o di un parente che garantiva il risarcimento del debito contratto e il rispetto dei termini dello scambio. In caso di fuga della giovane dalle casa del debitore sarebbe stato il garante responsabile a ripagare interamente il debito. L’abuso sessuale perpetrato dal creditore avrebbe potuto portare all’annullamento del debito.
In alcuni casi il creditore poteva concedere alla famiglia, come garanzia della veridicità del contratto, una dote e in questo modo le donne venivano vendute dalle famiglie in seguito alle false promesse fatte dai trafficanti. In altri casi, la relazione di pawnship e il conseguente legame di dipendenza, poteva rafforzarsi con la formazione di vincoli matrimoniali; in tal caso una donna, spesso un’ex prostituta, avrebbe potuto comprare delle ragazze (generalmente da famiglie estremamente povere) e stipulare un matrimonio combinato.
Dagli archivi storici emerge che il prezzo di una donna, nella regione del Calabar, si aggirava intorno alle 30 libbre, cifra equivalente al reddito annuo di un lavoratore manuale.
Come si evince dagli studi sull’economia politica del matrimonio alla fine del XIX secolo e nei primi anni del XX secolo condotti da Kristin Mann “una delle maggiori preoccupazioni che a turno colpiva le famiglie era proprio il voler sposare bene le proprie figlie”.
Il transito delle donne all’interno dei confini nazionali ma soprattutto verso l’esterno veniva organizzato, come si è detto, da ex prostitute. Queste ultime fornivano una serie di informazioni circa il trasporto e gli eventuali contatti e consigli necessari alle donne una volta arrivate a destinazione. Le giovani prostitute transfrontaliere furono solite condividere con le compagne di lavoro una stanza, al cui interno spesso venivano consumati i rapporti sessuali.
Le ex prostitute si occuparono anche della “compravendita” delle ragazze gestendo le diverse fasi in maniera autonoma; solo nella gestione economica dei traffici queste venivano aiutate da un ragazzo che svolgeva un ruolo solo marginale.
Le modalità di sfruttamento e la condizione di assoggettamento legate alla servitù per debiti non permisero alle ragazze di denunciare gli abusi alla polizia. La denuncia, già in quegli anni, metteva in pericolo non sola la vittima ma anche la sua famiglia che, in caso di denuncia, era costretta a subire un’enorme perdita finanziaria.
Al termine del contratto le ragazze potevano liberamente scegliere di uscire dalla rete di sfruttamento; spesso accadeva che le ragazze rimanessero in città e continuassero a prostituirsi. Non sempre le famiglie furono a conoscenza del lavoro svolto dalle loro figlie: la prostituzione infatti nello stato nigeriano fu da sempre considerata un’attività immorale.
Le strategie messe in atto in età coloniale sono molto simili a quelle che oggi vengono adottate dalle maman, a partire dalle modalità di reclutamento delle vittime fino alle modalità d’ingresso, delle donne, nel mercato del lavoro sommerso.
Le prostitute nigeriane furono identificate con il termine “Tutu”, una probabile derivazione di due scellini (forse il prezzo che le donne chiedevano per una prestazione sessuale) e la prostituzione nel territorio nigeriano fu trattata, dagli amministratori coloniali, come un problema sociale, non solo perché immorale nello stato ma soprattutto perché coinvolse prevalentemente ragazze minorenni.
Dalla tesi si laurea di Pecoraro Federica “Essere ‘omomo’, essere ‘edede’. Giovani ragazze nigeriane a Torino tra desiderio di successo e tutela delle minori.”