
Oltre dieci anni fa, quando la sua attività cerebrale sembrava quasi scomparsa, i medici, convinti che le probabilità di sopravvivenza fossero minime e che, anche se fosse sopravvissuta, sarebbe rimasta in stato vegetativo, comunicarono ai genitori che avrebbero interrotto ossigeno, alimentazione e idratazione.
Carina Melchior, una giovane danese di 20 anni, era stata coinvolta in un grave incidente stradale che l’aveva fatta finire in coma. Il suo caso riaccese il dibattito in Danimarca riguardo ai trattamenti di fine vita. Nonostante i medici avessero deciso di interrompere i supporti vitali per procedere alla donazione degli organi, il cervello di Carina dava ancora deboli segnali di vita. La famiglia, ormai preparata al peggio e dopo averle dato l’addio, tornò a casa, aspettando che la decisione dei medici fosse messa in atto. Ma poche ore dopo, l’ospedale li chiamò per comunicare che Carina si era svegliata. Come se volesse ribellarsi alla situazione, aprì gli occhi non appena i medici rimossero i supporti vitali.
Al risveglio, Carina domandò più volte ai medici se volessero ucciderla. Suo padre, Kim, denunciò i medici, convinto della troppa disinvoltura con cui gli avevano comunicato l’imminente morte della figlia, convincendolo che non ci fosse più alcuna speranza. La famiglia di Carina e la ragazza stessa vogliono comunque fare chiarezza, dato che i supporti vitali le erano stati tolti prima del tempo richiesto per dichiararne la morte cerebrale.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica, Carina e la sua famiglia hanno girato un video, intitolato La ragazza che non voleva morire, in cui raccontano tutta la vicenda, dall’incidente alla ribellione e alla successiva riabilitazione. Oggi, Carina cammina, parla e ha ripreso a cavalcare il suo cavallo Mathilde, che aveva chiesto con insistenza subito dopo essersi ripresa.
Il tema della morte cerebrale è sempre più spesso messo in discussione da casi simili a quello di Carina, in cui il risveglio avviene oltre i termini previsti per dichiararla irreversibile. La definizione di morte cerebrale, che oggi in molti paesi è considerata la condizione in cui una persona è dichiarata legalmente morta, si basa su criteri medici che possono risultare oggetto di interpretazione e, a volte, di errore. Storie come quella di Carina pongono interrogativi etici e scientifici sull’affidabilità dei test utilizzati per determinare la morte cerebrale e sulla possibilità che una persona, pur non mostrando segni evidenti di vita, possa in realtà essere ancora in grado di riprendersi. Carina, con la sua incredibile ripresa, ci ricorda che la speranza, a volte, può risorgere nei momenti in cui meno ce lo si aspetta, e che ogni caso merita una valutazione approfondita e una riflessione scrupolosa sul destino di chi si trova in condizioni così gravi.