“Dio li benedisse e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra’”. (Gen. 1, 28) Nel 2005 mi rivolsi in modo particolare ai giovani con la lettera “Il coraggio di sposarsi”. Le argomentazioni condivisibili da tutti, credenti e non credenti, miravano a contrastare la deriva pessimista e rinunciataria dalla quale è affetta, come da una malattia contagiosa, la nostra società. Siamo arrivati per paura a condizionarci reciprocamente fino al punto di rinunciare alle feste più spontanee e spensierate, presenti nelle famiglie di tutte le nazionalità, di tutte le religioni: le feste di nozze. Non abbiamo più il coraggio di far festa!
A distanza di anni, mi rivolgo nuovamente alle coppie, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa, per invitarle a considerare seriamente il dono e la responsabilità della procreazione. Lo faccio nella consapevolezza che al massimo di “privacy” corrisponde il massimo di responsabilità nei confronti di se stessi e della società. Propongo il Magistero della Chiesa, ma farò un discorso che valga non per l’autorità di chi lo pronuncia, ma per la forza dell’argomentazione, senza dimenticare tuttavia che anche il ragionamento più stringente non è sufficiente a scaldare il cuore e a far prendere una decisione. Occorre infatti una grazia, un dono dall’alto che va implorato e accolto responsabilmente.
Questa lettera si propone quindi di considerare insieme l’ideale e il reale, suggerendo dei percorsi, oltre a chiarire i principi. Dichiaro subito che l’unico percorso integralmente umano per regolare le nascite è quello indicato dalla conoscenza dei giorni fertili e non fertili, come pure della duplice valenza dell’atto coniugale: consolidare l’unione e aprirsi alla vita. Nello stesso tempo tengo presente la necessità di movimenti d’opinione, forme mutualistiche di sostegno alla genitorialità, e non soltanto delle tanto invocate politiche familiari. Trattandosi di un campo sconfinato di possibili azioni sociali, non ci si può soffermare sull’una o sull’altra. Basta, in questa sede, richiamare l’importanza delle testimonianze di vita vissuta e delle “opere-segno”.
1. IMPOSTIAMO IL PROBLEMA
Le giovani coppie avvertono, insopprimibile, il desiderio dei figli, che si scontra però con due atteggiamenti opposti, ormai penetrati nella mentalità e quasi dati per scontati: a. la paura del figlio, che porta a dilazionare la nascita del primo figlio per “sistemare prima altre cose”, poi a limitare al massimo le nascite. Così, sembra diventato non solo “normale” ma anche “morale”, doveroso, ricorrere a varie forme di contraccezione, fino all’aborto. La paura, che non è mai buona consigliera, ha gradualmente prodotto una visione egoistica e soffocante della vita, dove non c’è più capacità di investire nel futuro, ma si vive schiacciati sul presente, sul benessere materiale immediato, coltivando un assurdo egocentrismo. b. il desiderio del figlio ad ogni costo, perseguito ricorrendo alle nuove possibilità aperte dalla tecnica. È un atteggiamento che nasconde una visione della procreazione come fatto tecnico anziché come supremo gesto di amore: generare è come creare un nuovo prodotto. Poco importa poi se la donna deve sottoporsi a manipolazioni pericolose, se vengono soppressi embrioni, se la bellezza e responsabilità dell’amplesso coniugale come supremo atto umano va perduta. Nell’uno e nell’altro caso, si tende a separare l’amore dalla fecondità, l’aspetto unitivo da quello procreativo. Le domande sulla procrea- zione si riducono alle seguenti: Come evitare di avere figli?; Cosa fare per avere un figlio “garantito”?
2. LA PROCREAZIONE RESPONSABILE
La procreazione è una delle realtà umane maggiormente complesse, perché coinvolge tutta la personalità e la dinamica relazionale di coloro che sono in età fertile. La procreazione, infatti, come si può leggere anche in siti informatici di facile accesso1: – è un processo fisio-biologico: l’incontro tra il seme e l’ovulo, che dà l’avvio ad una nuova vita umana, a partire dalla formazione dell’embrione; – è un processo psicologico: esiste in ciascuno di noi il desiderio di continuare la propria vita nel figlio; ciò comporta il coinvolgimento di tutte le facoltà: intelligenza, volontà, emotività, socialità; – coinvolge soprattutto la vita di relazione: i coniugi realizzano la relazione di marito e moglie per la crescita del loro amore, e con la generazione del figlio sperimentano la collaborazione più diretta con Dio Creatore; – esprime la spiritualità e l’oblatività: si esce da sé, facendo della propria vita un dono per la crescita di altri; ci si rende conto, sia pure confusamente, che dare origine ad una nuova vita umana è un atto che va al di là della vita terrena e rende oggettivamente partecipi dell’azione creatrice di Dio.
Ciò che ci interessa specificamente in questa trattazione non è l’aspetto fisio-biologico, psicologico o anche spirituale, ma l’aspetto morale: parliamo infatti di responsabilità. Procreazione responsabile è allora innanzitutto la capacità di avere un “grembo permanentemente accogliente”. Prima di ogni decisione di avere figli deve esserci la disponibilità ad accogliere i figli e la coscienza della chiamata a cooperare con Dio. Parlare di “programmazione delle nascite” significa allora entrare nel progetto di Dio che rimane arbitro del “mistero della vita”: ogni nascita è affidata alla coscienza di una coppia, ma non all’arbitrio o a calcoli egoistici. Essere genitori è cercare di prendere le decisioni opportune, cercando sinceramente ciò che l’amore di Dio attende da loro.
Procreazione responsabile, prima che essere la capacità di distanziare le nascite, è allora il rendersi disponibili alla vita, o meglio al Creatore, tenendosi liberi dai condizionamenti ispirati dalla paura, dall’egoismo, dalla caduta della speranza… Responsabilità significa rispondere a qualcuno di qualcosa. La risposta, che sempre dobbiamo dare a qualcuno che ci pone una domanda, non può essere affrettata, se vogliamo dimostrarci costruttivi e non superficiali. Responsabilità è quindi una realtà complessa, che coinvolge sempre almeno due persone: chi domanda e chi è chiamato a rispondere. Questo è un primo livello di responsabilità. C’è un altro livello, che è ancora più profondo, in quanto è una responsabilità verso se stessi: io sono chiamato a rispondere a me stesso, alla verità più profonda di me stesso. Procreazione responsabile quindi significa che un figlio non è l’effetto di un momento di piacere sessuale, non è frutto di un calcolo egoistico, ma è risposta a se stessi, al coniuge, alla vita che vuole nascere, e infine a Dio che ha donato la capacità procreativa. Procreazione responsabile significa che si attua la decisione di generare accettandone tutte le implicazioni e rispondendo alle varie istanze personali, familiari e sociali, comprendendo che il bene proprio consiste nel bene dell’altro coniuge, del figlio che nascerà, della famiglia umana.
3. PATERNITÀ E MATERNITÀ RESPONSABILI
Non si è ‘padre’ perché si fa l’amore e si mette incinta una donna, né si è ‘madre’ perché si partorisce una creatura, la si allatta e la si fa crescere. Questo è un fatto fisiologico, caratteristica di tutte le creature animali. Alla paternità- maternità si arriva attraverso delle scelte ben precise, che comportano chiarezza interiore e coraggio di viverle. Il valore della paternità e maternità responsabile va colto nella presa di coscienza che essere padre e madre è una vocazione. Vivere la paternità e maternità significa poi vivere bene la relazione con il figlio, permettendo e promovendo la sua espressione personale. Significa educare il figlio per quello che è, non per quello che voglio che sia, scoprire la sua realtà personale profonda, aiutarlo a impostare bene le sue relazioni interpersonali. Paternità e maternità significa ri-procreare, dare nuovamente e continuamente vita al figlio in quanto essere che pensa, agisce, ama. Al limite, significa accogliere il figlio anche nelle eventuali sue imperfezioni fisiche o psichiche, con un amore senza condizioni né riserve. Troppo facile a dirsi? No, perché le coppie che fanno ciò sono tante e non meritano altro che ammirazione, congiunta a collaborazione.
4. PROCREAZIONE RESPONSABILE COME PONDERAZIONE IN AMBITO MATRIMONIALE
Il Direttorio di Pastorale Familiare della CEI2 – prosegue il sito citato – ha la preoccupazione di precisare il significato esatto di procreazione responsabile: non va intesa infatti “solo come ‘controllo’ o addirittura ‘limitazione’ o ‘esclusione’ delle nascite”, ma – secondo l’enciclica Humanae Vitae – significa ponderare bene, “in rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali” della coppia, la decisione sia di “far crescere una famiglia numerosa” sia di “evitare temporaneamente o anche a tempo indeterminato una nuova nascita”. Responsabilità nella procreazione non vuol dire che gli sposi sono “liberi di procedere a proprio arbitrio” nel compito di trasmettere la vita, ma significa che “devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti” (HV n. 10). 2 DPF n. 108.
È da sottolineare l’autonomia di giudizio che compete ai coniugi nella decisione di accogliere i figli nei tempi e nel numero più adeguato, ma sempre in una chiara coscienza, alla quale formarsi, di essere “cooperatori dell’amore di Dio creatore” e di non poter separare l’espressione del proprio amore dall’apertura alla vita. Scrive il Pontificio Consiglio per la Famiglia: “L’uomo e la donna hanno, per così dire, ricevuto la procura da Dio per partecipare, a livello di creatura, al potere creatore divino”3. La loro libertà è amplissima, né può essere arbitrariamente limitata dalla comunità. Fissare un limite estrinseco alla fecondità della coppia non è neppure pensabile, perciò sono ammirevoli quelle che accettano molti figli, e non ci si deve permettere di redarguirle; ma del tutto fuori luogo è giudicare quelle che ne hanno pochi4.
Una cosa però va tenuta presente: l’“inverno demografico” dell’Italia è un problema sociale rilevantissimo, che finora non è stato adeguatamente affrontato né dall’opinione pubblica né dai pubblici amministratori. Infatti se una società non si riproduce, nel giro di alcuni decenni si condanna all’estinzione, cioè ad una decadenza che sarà insieme materiale e spirituale. Pensiamo anche al fatto che il patrimonio culturale dell’intero genere umano è concentrato per metà nel nostro Paese!
5. IMMORALITÀ DEI MEZZI ANTICONCEZIONALI
Circa i “mezzi” per attuare la procreazione responsabile, vanno in primo luogo rifiutati come gravemente illeciti sia la sterilizzazione, sia l’aborto. Quest’ultimo, in particolare, va sempre considerato come un crimine orrendo e un abominevole delitto, a parte il grado soggettivo di consapevolezza e di libertà di chi vi fa ricorso. È necessario mettere in evidenza come non sia moralmente indifferente ricorrere ai mezzi anticoncezionali o ai metodi naturali nel “rego- 3 Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia e procreazione umana, n. 5. 4 Giacomo BIFFI, Matrimonio e famiglia, Bologna 1990. “In un mondo che in certi casi sembra addirittura colpevolizzare, anche per bocca dei parenti più stretti e degli amici, quei coniugi che accettano più di uno o due figli, dobbiamo affermare energicamente l’inestimabile preziosità della vita umana e quindi il valore della fecondità” (n. 51). lare le nascite”; non è, infatti, infrequente la tendenza a ritenere che l’adottare gli uni o gli altri sia del tutto soggettivo e opzionale.
A giustificazione di tale tendenza, si ritiene, per un verso, che ciò che conta è l’intenzione per cui si compie un’azione e, per un altro verso, che determinante è il risultato, a prescindere dai modi con cui lo si ottiene. Tale tendenza, però, non può essere condivisa, anzitutto perché la moralità di un atto dipende sì dall’intenzione del soggetto, ma anche da criteri oggettivi, e, in secondo luogo, perché “il fine non giustifica i mezzi”, ma questi ultimi devono essere coerenti con il fine da raggiungere e, quindi, con i valori che sono in gioco. Il fine qui – non va mai dimenticato – è la “procreazione responsabile” e non semplicemente il “non concepire” inteso come “esclusione” o “rifiuto” del figlio. Proprio per questo i “mezzi anticoncezionali” e i “metodi naturali” non si equivalgono moralmente. Il ricorso ai metodi naturali e l’uso dei mezzi anticoncezionali non producono, infatti, i medesimi effetti né sulla qualità del rapporto di coppia né sull’armonia coniugale. In un caso – con il ricorso ai metodi naturali – i valori della persona umana, della sessualità e dell’amore coniugale sono rispettati e promossi; nell’altro caso – con l’uso dei mezzi anticoncezionali – questi stessi valori sono, più o meno direttamente, misconosciuti.
Le ragioni della liceità morale dei metodi naturali e, corrispettivamente, della illiceità dei mezzi anticoncezionali sono ultimamente riconducibili alla radicale differenza antropologica e morale che intercorre tra le due modalità, proprio in ordine ai valori della persona e della sessualità umane: “Si tratta di una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili”5. Ed è solo con il ricorso ai metodi naturali che la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non invece “usata” come un “oggetto” che, dissolvendo l’unità personale di anima e corpo, colpisce la stessa creazione di Dio nell’intreccio più intimo tra natura e persona.
Più analiticamente, queste stesse ragioni vengono così descritte nel sito citato: 5 Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n. 32. – la contraccezione, proprio in quanto impedisce il concepimento, esclude il significato procreativo insito nell’atto coniugale ed è rifiuto dell’apertura alla vita; essa, inoltre, altera e snatura lo stesso significato unitivo dell’atto coniugale perché, con la contraccezione, tale atto non viene più vissuto all’insegna della totalità del dono e, oggettivamente, non riesce più a parlare il linguaggio proprio dell’amore coniugale, che è il linguaggio del “mi dono totalmente e totalmente ti accolgo”; – il ricorso ai metodi naturali richiede e promuove la corresponsabilità degli sposi, l’uso degli anticoncezionali comporta invece uno “sbilanciamento” della coppia, addossando a un solo partner l’impegno della gestione responsabile della fecondità coniugale, con effetti negativi sull’equilibrio e sull’armonia tra gli sposi; – l’adozione dei metodi naturali esige e favorisce la conoscenza di sé e del coniuge – più precisamente, la conoscenza della donna – e l’esperienza dimostra quanto ciò sia importante per l’armonia di coppia: infatti, la ciclicità della fertilità femminile non è soltanto un processo biologico, ma connota l’intera persona della donna; – i metodi naturali, diversamente da quanto si constata nell’uso dei mezzi anticoncezionali, non presentano alcuna controindicazione, né producono effetti collaterali sui coniugi e sulla loro stessa salute; in questo senso – come, per altro, oggi vengono da più parte percepiti e presentati – essi sono preferibili anche per ragioni cosiddette “ecologiche” ed “economiche”; – il ricorso ai metodi naturali ha pure benefici influssi sullo sviluppo sereno del rapporto di coppia: la stessa rinuncia, decisa insieme, ai rapporti intimi per un certo numero di giorni – nel caso si ritenga di non dover favorire la trasmissione della vita – promuove, infatti, la comunione coniugale e propizia la riscoperta del multiforme linguaggio dell’amore, liberandolo dal rischio della “tirannia della genitalità”; – solo i metodi naturali consentono l’esercizio responsabile della paternità e della maternità finché sussiste la capacità di procreare; l’esperienza insegna quanto anche questa ragione sia decisiva.
Questa è la visione della natura umana nella sua oggettività. Occorre che la coppia abbia ben chiara questa visione per potervisi adeguare, tenendo conto del proprio punto di partenza, che non è quasi mai ottimale e suppone un processo di maturazione nella fede in Dio, nella virtù della castità prematrimoniale e matrimoniale, nell’aiuto vicendevole tra coppie e tra gruppi. Anche chi è passato attraverso esperienze di debolezza morale, anche chi si è formato tardivamente e faticosamente una visione completa della procreazione, può gustarne la bellezza. Vengono in mente a questo proposito le espressioni commoventi di sant’Agostino: “Tardi ti ho amato, o Bellezza antica e sempre nuova, tardi ti ho amato… Mi tenevano lontano da te quelle creature che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità”6.