
L’instabile crescita economica nigeriana e la marcata polarizzazione sociale hanno acutizzato la povertà dei ceti più poveri spingendoli a inurbazioni forzate in slums informali segnati da degrado e povertà. La profonda deprivazione materiale presente nelle baraccopoli di Lagos, Kano, Abuja e Benin City condiziona pesantemente le fasi di sviluppo dell’età evolutiva delle ragazze, spingendole verso l’accettazione della mobilità forzata e delle dinamiche di sfruttamento ad essa connesse. Yinka Omorogbe, procuratore generale alla guida della task force nigeriana insediata l’anno scorso per combattere la tratta ha evidenziato che “il fenomeno nell’Edo State non riguarda solo questioni economiche o sottosviluppo, ma ha profonde radici culturali che devono essere esposte, esaminate e tirate fuori”. Il profilo della mobilità forzata minorile nigeriana restituisce fedelmente questo nesso disfunzionale: sempre più giovani, scarsamente scolarizzate e sempre più povere le vittime nigeriane sono perlopiù ragazze tra i 15 e i 18 anni, con una quota crescente di bambine tra i 13 e i 14 anni provenienti da contesti fortemente indigenti e schiacciate dalla consuetudine tradizionale che impone alle primogenite orfane di madre il mantenimento del genitore vivente e dei fratelli minori. Prive di riferimenti adeguati, queste minori sottostimano l’entità dei soprusi connessi alla tratta e tendono a fidarsi delle proposte fraudolente di parenti, compagne di scuola, sorellastre e vicine di casa che operano come adescatori.
L’adescamento avviene tramite la proposta di un lavoro in Europa, proveniente, il più delle volte, da conoscenti o familiari chiamate “Italos”, ex prostitute sopravvissute ad anni di asservimento in Europa e rientrate in Nigeria millantando un percorso migratorio di successo fortemente radicato nell’immaginario adolescenziale. Facendo leva sulle prospettive di arricchimento, promozione sociale e autonomia derivanti dalla mobilità in Europa, queste reclutatrici irretiscono le ragazze instradandole verso lo sfruttamento. Le ragazze più povere vengono attirate dalla promessa di un viaggio gratis verso l’Europa. Altre corrispondono inizialmente cifre basse pari a circa 250€ (87.000 Naira nigeriane). Per tutte le minori, tuttavia, il viaggio dalla Nigeria all’Italia si converte in un debito che si aggira tra i 20.000 e i 50.000€ e che può essere ripagato solo sottostando alla prostituzione forzata, imposta dagli sfruttatori per un periodo che può durare anche oltre i tre anni. Nella mobilità minorile nigeriana a scopo di sfruttamento il rituale voodoo, o juju, officiato da uno sciamano o da un cosiddetto medico nativo, caratterizza l’ingresso nel circuito della tratta. Capelli, vestiti, pezzi di unghie, peli pubici sono mescolati alle gocce del sangue delle ragazze in un intruglio che poi le ragazze devono bere. Il rituale stabilisce una catena simbolica molto potente e fa sì che una volta ridotte schiave, le ragazze obbediscano alle organizzazioni da cui dipendono per paura delle ritorsioni su di loro o sulle loro famiglie.
La centralità del rito voodoo nei meccanismi di sfruttamento nigeriano è così pervasiva che molte organizzazioni, tra cui l’Unione europea, hanno incoraggiato un intervento diretto della massima autorità religiosa del popolo Edo volto a scoraggiare tali prassi. Proprio nel 2018, il 9 marzo, l’Oba Ewuare II ha annullato i riti voodoo e ha scagliato una maledizione sui native doctor che, in futuro, useranno nuovamente questi riti per agevolare la tratta di giovani donne. Il rito è stato il primo atto concreto volto a marcare la discontinuità delle autorità religiose nigeriane dalla tratta. I video e le foto di quel momento sono circolati in rete e diverse agenzie Anti-Tratta hanno parlato di “decisione storica”. Tuttavia, una lettura critica dei fatti arriva anche dalle organizzazioni nigeriane per i diritti umani. Leo Igwe, un noto attivista nigeriano, ha polemicamente accusato l’Oba nigeriano di essersi prestato alla feticizzazione della narrazione del voodoo imperante in Europa a detrimento di una riflessione sulle cause profonde che strutturano la tratta. “La prostituzione – ha argomentato Igwe – è un enorme business in Europa, continente dove lo sfruttamento commerciale del sesso è consentito. (…) Quindi dovrebbero smettere di fingere come se non sapessero qual è il vero problema. Dovrebbero smettere di prestare attenzione non necessaria allo juju come se questo fosse il problema principale, perché non lo è. L’Oba e altri attori tradizionali e statali dovrebbero invece dedicare le loro energie a rompere la maledizione della povertà e della cattiva gestione dell’economia nigeriana. Dovrebbero preoccuparsi di creare posti di lavoro e mettere in atto schemi di empowerment delle donne, senza perdere tempo a maledire sponsor e responsabili della tratta di esseri umani”.
NdR.: Come Amici di Lazzaro, riteniamo però che vadano perseguite tutte le strade per lottare contro il fenomeno:
è un bene togliere al voodoo il ruolo di legame tra sfruttatori e donne sfruttate, ed è anche fondamentale che lo stato (più che l’Oba che non ha veri ruoli istituzionali nel governo nigeriano, neanche a livello locale) locale e il governo centrale nigeriano si impegnino a creare lavoro e fornire istituzioni scolastiche e sanitarie accettabili.
Servono però anche due altri imegni: quello valoriale per rendere inaccettabile la prostituzione con campagne informative e quello legale per punire i clienti e scoraggiarli dal fornire denaro a un simile commercio di vite.