Che tale sviluppo sia autonomo, provocato e guidato cioè da una forza interiore (autodiretto), è altrettanto evidente. La fecondazione in vitro lo conferma con la forza dei fatti. Per un certo tempo l’embrione si sviluppa anche fuori del corpo materno. Poi ha bisogno di essere trasferito in utero, ma la madre gli fornisce soltanto il calore e, attraverso il sangue, il materiale necessario per autocostruirsi.
E’ il figlio stesso che guida il suo sviluppo, con la madre. E’ ben diversa la costruzione di un edificio o di un qualsiasi altro oggetto inanimato. Ci vuole qualcuno che dall’esterno aggiunge pietra su pietra, pezzo a pezzo. Lo scultore modella la statua con una intelligenza ed una azione che sono esterne alla statua. Invece il vivente, prende e organizza da sé il materiale che lo costruisce. Sarebbe come se un pezzo di marmo di Carrara potesse trasformarsi in un David o in un Mosè senza l’opera dello scultore.
Certamente la vita ha bisogno di un ambiente adatto. Cibo, ossigeno, calore sono condizioni di vita anche per i già nati. Ma non per questo manca l’autonomia. Anche un adulto vigoroso lasciato nudo e senza cibo al polo nord muore rapidamente e più velocemente ancora viene meno se privato di ossigeno. Il concepito è fragilissimo e perciò ha bisogno di un ambiente che lo protegga con particolare intensità. Ma il fatto che per nove mesi egli sia nascosto nel seno materno non gli toglie l’autonomia nel senso biologico ora indicato. Può darsi che egli sia partorito prematuramente e che per farlo vivere lo si debba proteggere in una culla termica ed usando mille accorgimenti, così come, del resto, nei reparti di rianimazione, sotto le tende a ossigeno e con altri presidi anche l’adulto, deve talora essere particolarmente protetto.
Ma nessuno dice che un prematuro accolto in una culla termica non è un bambino. Insomma l’autonomia non è esclusa dalla abitazione del figlio nell’utero della madre. La vita dell’astronauta chiuso in una capsula spaziale è condizionata dall’efficienza della capsula molto più di quanto lo sia l’embrione dal corpo della madre.
Alla continuità e alla autonomia dello sviluppo si aggiunge la meraviglia di un finalismo perfetto. Fin dall’inizio tutto è orientato alla nascita, così come dopo la nascita tutto è orientato alla crescita di un corpo e di una mente capaci di agire, dialogare, costruire, pensare, amare etc.
Fin dall’inizio il processo è perfetto e inarrestabile. Esso può essere fermato solo da una azione esterna o da una patologia. Il nostro corpo è di una incredibile complessità in cui le singole parti sono coordinate funzionalmente tra di loro. Ogni cellula dei miliardi e miliardi che lo compongono ha una sua specifica funzione e ciascuna serve alle altre. Si può dunque parlare di un organismo umano per indicare che ogni parte serve al tutto.
Alcune funzioni si attivano o si perdono nel tempo. Persino alcuni organi compaiono al momento opportuno e poi vengono abbandonati. Si pensi alla dentizione e alla funzione riproduttiva. Così anche la placenta e il cordone ombelicale non servono più dopo il parto. Ma l’organismo vivente è caratterizzato da uno sviluppo continuo, autonomo, finalisticamente e unitariamente orientato.
La biologia moderna dà una risposta scientifica a quella domanda: “come è possibile?” cui in passato si è data una risposta di fantasia o di intuizione.
In ogni cellula del corpo umano vi è il timbro biologico della umanità: i 46 cromosomi che sono caratteristici della nostra specie, 23 derivano dalla madre e 23 dal padre. A sua volta ogni cromosoma è costituito da un numero enorme di geni, che contengono – dicono i genetisti – tutta l’informazione necessaria per sostenere il continuo sviluppo dell’organismo umano. Ma, a seconda del tessuto di cui la cellula fa parte, solo alcuni geni sono attivi, mentre tutti gli altri si possono considerare come dormienti. Il complesso di cromosomi costituisce il genoma.
Per generare un nuovo essere umano le cellule germinali (spermatozoo e ovocita) riducono a 23 il numero dei cromosomi in modo che il nuovo vivente abbia anche egli 46 cromosomi (23+23) che comandano e guidano lo sviluppo. In ogni ciclo mensile la donna, durante l’età fertile, porta a maturazione un ovocita (normalmente uno solo). Una delle due ovaie fa sviluppare pienamente un ovocita e lo espelle facendolo finire in quella che si chiama la “zona ampollare” di una delle due tube, i condotti, lunghi pochi centimetri, che dalle ovaie conducono all’utero.
Se vi è stato un rapporto sessuale e se un certo numero di spermatozoi è riuscito a raggiungere quel punto al momento giusto, lì avviene la fecondazione. Non appena uno spermatozoo, superando una serie di ostacoli, riesce a toccare e superare la membrana che racchiude l’ovocita avviene una serie di fenomeni. In primo luogo la membrana esterna diviene impenetrabile per qualsiasi altro spermatozoo. In secondo luogo dal nucleo originario dell’oocita, da cui in precedenza era stata già espulsa una parte dei cromosomi, viene estromessa anche un’altra parte in modo che anche i cromosomi femminili restano 23. In terzo luogo i cromosomi provenienti dallo spermatozoo e quelli di origine femminile cominciano ad attrarsi reciprocamente fino ad ordinarsi e allinearsi.
Contemporaneamente comincia la moltiplicazione delle cellule: da una a due, da due a quattro, a otto e così via fino a divenire le centinaia di migliaia di miliardi di cellule che compongono il corpo adulto di un uomo e di una donna. Questa descrizione della fecondazione è estremamente semplificata ed è espressa il più possibile con parole comuni. Tuttavia corrisponde alla realtà e consente di trarre tre inoppugnabili conseguenze. In primo luogo, non appena lo spermatozoo è entrato nell’ovocita si forma una entità biologica diversa, un tutt’uno che risulta dall’apporto del materiale spermatico e del materiale ovocitario.
Coloro che non vogliono riconoscere un essere umano in questa iniziale fase dello sviluppo preferiscono parlare di “ovocita fecondato” quasiché il nuovo complesso fosse soltanto una evoluzione dell’originario gamete femminile, passato da una prima fase di crescita a una seconda fase soltanto stimolata dallo spermatozoo: il contatto con esso equivarrebbe alla scintilla che, scoccando nel motore di una macchina, ne avvia il movimento. Ma non è così.
Nel nuovo unitario complesso vi è anche il materiale, in particolare il DNA, portato dallo spermatozoo, del quale del resto, sparisce la forma originaria. Insomma fin dall’inizio compare una entità nuova. La seconda conseguenza è che il nuovo complesso è da subito un organismo, cioè un tutt’uno in cui le singole parti si influenzano e si servono reciprocamente. Coloro che non vogliono riconoscere l’essere umano in queste primissime fasi sostengono che soltanto l’allineamento definitivo dei cromosomi di provenienza maschile e di quelli di provenienza femminile determinerebbe l’inizio della vita e, sempre per evocare la continuità del solo gemete femminile, chiamano il nuovo complesso, prima del definitivo allineamento dei cromosomi, “ootide”.
Lo scopo pratico di questa operazione semantica è evidente: se siamo in presenza di un gamete e non di un embrione vengono eliminati tutti i problemi etici che comportano le azioni distruttive di congelamento, selezione, sperimentazione.
Questo dibattito è recentissimo almeno in Italia. E’ addirittura successivo alla entrata in vigore della legge 40 del 10 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. In tutta la discussione parlamentare e nelle varie commissioni di studio nominate dai vari governi che si sono succedute (Santosuosso nel 1984, Guzzanti nel 1994, Busnelli nel 1995) mai era stata pronunciata la parola “ootide”, ancora oggi sconosciuta persino a gran parte dei medici.
Per giustificare la pretesa di manipolare e distruggere i nuovissimi concepiti si era coniato il termine di pre-embrione e si era cercato di sostenere che la vita umana comincia solo dopo 14 giorni+ dall’incontro dello spermatozoo con l’ovocita. Questa teoria del pre-embrione, formulata per la prima volta in Inghilterra (Rapporto Warnock 1984) ed accolta oltre che nella legislazione britannica anche in quella spagnola, ha perso oggi credito e non è stata accettata né dal Consiglio d’Europa nelle sue raccomandazioni relative agli interventi sull’embrionedel 1989 (n 1100), del 1986 (n. 1046), del 1982 (n. 934) e nella convenzione di bioetica del 1998, né dal Parlamento Europeo nelle sue diverse raccomandazioni in questa materia.
La legge 40/2004 ha stabilito una tutela del concepito nel momento stesso in cui ha regolato le nuove tecniche di procreazione medicalmente assistita. Ha, cioè, cercato di garantire ad ogni concepito, pur se formato in una provetta, una possibilità di vita impedendone la distruzione premeditata come avviene anche quando nel caso della fecondazione in vitro si procede alla selezione prima del trasferimento in utero dell’embrione, al congelamento, alla produzione soprannumeraria, alla sperimentazione distruttiva.
Carlo Casini (pubblicato con sua autorizzazione)