L’utero in affitto è il contrario delle pari opportunità

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Foto di Cheryl Holt da Pixabay

Nelle dispute ideologiche che riguardano diritti, doveri, giustizia e ingiustizia, spesso vengono evocate le pari opportunità o i diritti civili per legittimare, e persino presentare come giuste, pratiche che in realtà sono lontane dall’uguaglianza di genere, come la prostituzione o la maternità surrogata.

La pratica dell’utero in affitto rappresenta chiaramente la mercificazione di una condizione che solo le donne possono offrire.

Legalizzare o anche solo permettere la gestazione per altri non è un beneficio per le donne, ma apre la strada alla commercializzazione dei bambini o, perlomeno, della loro procreazione.

Coppie eterosessuali e omosessuali, incapaci di avere figli naturalmente, ricorrono a questa forma di commercio, sfruttando la povertà di donne costrette a “vendere” i propri figli per sopravvivere.

Sempre più femministe, così come uomini di diverse correnti politiche, stanno riconoscendo che si tratta di un’ennesima ingiustizia, sia nei confronti delle donne che dei nascituri. È la solita legge del più forte sul più debole, del ricco sul povero, del potente sul vulnerabile. Ma possiamo accettare tutto questo? È giusto “affittare” il corpo di una donna? È giusto “comprare” il bambino che una madre ha portato in grembo per nove mesi? È accettabile che la maternità diventi un “commercio”, un “mercato” di esseri umani?

Viviamo in un’epoca in cui si fanno tanti bei discorsi sulle pari opportunità e sulla tutela delle donne. Eppure, mentre si parla di queste tematiche, ci sono persone che partono per Paesi poveri alla ricerca di gravidanze da affittare.

Nel 1972, John Lennon scriveva una canzone dal titolo esplicito: Woman is the nigger of the world, in cui descriveva la donna come “il negro del mondo”. Le donne, infatti, sono spesso ridotte in una condizione di schiavitù:

  • sfruttate nella prostituzione;
  • utilizzate per l’ovulazione a scopo di fecondazione eterologa;
  • costrette a generare figli per conto di altri;
  • sfruttate nella pornografia;
  • obbligate a matrimoni forzati o combinati.

L’elenco potrebbe continuare.

Tornando al tema iniziale, è evidente che chi affitta, vende o “dona” una gravidanza, magari dietro un rimborso spese, e porta in grembo un bambino che non vedrà mai più, non si trova alla pari né dell’uomo né della donna o della coppia che commissiona il bambino.

Non c’è pari opportunità.
Non c’è rispetto per i diritti umani.
Non c’è rispetto per il nascituro, che diventerà orfano prima ancora di nascere, quando i committenti firmano il contratto che ne stabilisce i termini di vita.

Ecco perchè è necessario che sempre piu’ nazioni seguano l’esempio italiano con il divieto e la punibilità della gestazione per altri per impedire che i bambini vengano commissionati e le mamme usate come incubatrici per altri.

Paolo Botti

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Nell’utero in affitto non ci sono donatori