La scristianizzazione apre la porta al genocidio (Silvana De Mari)

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Foto di franciscalis da Pixabay


Una volta che l’illuminismo ha picchiato sul cristianesimo, salta l’etica e salta la compassione, perché l’etica è compassionevole e la compassione è etica. L’antieticità e l’antimisericordia vengono spacciati per scientificità e razionalismo. Il cristianesimo aveva annullato il razzismo. Il razzismo, e la sua progenie lo schiavismo, si sono formati innumerevoli volte, hanno vivacchiato e sono defunti senza mai riuscire a diventare universali.
Lo dice san Paolo: dopo Cristo non c’è più distinzione tra uomo, donna, padrone e schiavo: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Una volta detto che gli ultimi saranno i primi, della rupe da cui si buttavano i bambini malformati ci eravamo liberati. Una volta sospeso il cristianesimo la rupe ricompare: si chiama eugenetica.
Un’altra delle conseguenze della perdita di religiosità cominciata con l’Illuminismo è la perdita della dignità della bruttezza.
La dignità della bruttezza è un valore cristiano. Nel mondo greco e romano la bellezza è il primo segno dell’amore degli dèi. I brutti, gli storpi, i nani sono maledetti, quindi anche cattivi. Nel visionario film 300, Leonida, a capo dei suoi 300 culturisti contro un esercito di Drag Queen, ce la farebbe pure se il gobbo maledetto, l’imperfetto, il brutto, il diverso che in quanto diverso non può omologarsi nella testuggine, non venisse a fargli lo sgambetto. Se il padre del gobbo avesse fatto il suo dovere e lo avesse buttato dalla rupe, Le statue greche e romane rappresentano gente bella e in buona salute. Nelle nostre chiese, appeso alla croce, c’è un corpo sfigurato dal dolore.
Gesù Cristo muore con il volto tumefatto, la pelle spaccata dalla disidratazione. Nel mondo greco-romano, come nel mondo post-illuminista, prevale l’infantile teoria che brutto e cattivo siano sinonimi. Nel mondo post-illuminista e con il delirio scientifico, il fatto che brutto e cattivo sono sinonimi si chiama fisiognomica. A Torino abbiamo Lombroso che impazza, tra una seduta spiritica e l’altra. L’ateo Lombroso credeva negli spiriti, come ha detto la buonanima di Chesterton, chi non crede in Dio, crede a qualsiasi altra cosa. Avete le orecchie a sventola? Siete un ladro costituzionale. Se non avete ancora rubato è un caso, ma vi mettiamo in riformatorio lo stesso. Nel mondo post-illuminista i pazzi e i sadici si muovono nell’ambito della cosiddetta scienza e dell’anticlericalismo permanente: nascono le pseudoscienze, e la fisiognomica è una di queste. La fisiognomica è contraria al concetto cristiano di libero arbitrio, quindi chi negava la fisiognomica era accusato di essere un baciapile nemico delle scienze. Che la fisiognomica fosse un ammasso di idiozie, indimostrata e indimostrabile, era secondario. Il libero arbitrio è una favola per i preti e le vecchiette, le azioni di un uomo sono dovute alla forma del suo cranio. Si nasce ladri e si nasce assassini. Bambini di 12 anni guardano terrorizzati l’obbiettivo dell’apparecchio fotografico di Lombroso che non lascia loro nessuno scampo: labbra sottili e orecchie attaccate basse. Sono ladri costituzionali. Quella foto costerà anni di riformatorio e poi il manicomio criminale. I documentari nazisti mostrano la bruttezza come immoralità, come colpa etica, strutturale e imperdonabile.
La fisiognomica ha fatto morti e feriti. I morti sono stati atroci e i feriti sono stati feriti gravi.
Ci sono persone che si sono fatte anni di riformatorio o decenni di manicomio solo perché avevano la testa della forma sbagliata. In Germania un povero disgraziato, una specie di Forrest Gump, dichiarato autore di tutti i crimini irrisolti perché aveva il cranio del delinquente, fu rinchiuso nell’Istituto di Anatomia Criminale, dove fecero su di lui diversi esperimenti, un calco della faccia, e da cui «scomparve», il che vuol dire che non sappiamo quando e come fu ucciso.
La fisiognomica è uno dei pilastri della teoria nazista. I medici tirarono fuori i compassi, si misero a misurare i crani dei ragazzini e buttarono fuori dalle scuole quelli che si chiamavano Einstein, Frank e Levi.
Il disprezzo per i brutti è la base dell’eugenetica, letteralmente bella genetica: vale a dire eliminiamo quelli con i cromosomi ritenuti scadenti in quel preciso momento storico.
La bruttezza, come la debolezza, aveva una valenza immorale nell’antichità, che perde nel cristianesimo per recuperarla trionfalmente nel nazismo.
Il cristianesimo abolisce lo schiavismo sul suolo europeo. Gli sconfitti militarmente nelle epoche antiche sono gli schiavi: i barbari sono gli schiavi durante l’Impero romano, i latini lo diventano dopo il suo crollo. Lo schiavo nel cristianesimo diviene servo della gleba: è legato alla terra, ma non può essere abusato sessualmente. Non è padrone del suo tempo, ma è padrone del suo corpo e del suo pensiero. Poi un altro passo. Il servo della gleba sarà affrancato e diventa il povero, che ha diritti ben diversi dal ricco, ma la strada ormai è presa e prima o poi, nel giro di pochi secoli (non è ironico), si arriva inevitabilmente alla parità dei diritti. Il gesto di san Martino che incontrando un mendicante divide con lui il suo mantello color porpora è, per quei tempi, straordinario. Non è solo un gesto di generosità. Ai poveri, siamo nel IV secolo, erano vietati i colori. I poveri di quel periodo sono assimilabili ai fuori casta indiani. Nel dividere con un povero il mantello color porpora da nobile, Martino viola la legge dell’epoca per riconoscerne l’umanità identica alla propria.
Con le grandi scoperte geografiche si incontrano popolazioni diverse, tecnologicamente arretrate, salvo rare eccezioni prive di scrittura, quindi ancora ferme alla preistoria, in alcuni casi ancora all’età della pietra, come nel Nord America e in buona parte dell’Africa, e poi, successivamente, in Polinesia e in Australia.
E rinasce la tentazione dello schiavismo, ma sotto il cristianesimo occuperà pochi secoli, sarà sempre messo in discussione e verrà abolito per azione della stessa civiltà che lo ha generato.
Una volta picconato il cristianesimo, il razzismo compare come scelta ovvia: figlio primogenito della Dea Ragione.
Trovandosi in mezzo a popolazioni con una tecnologia assai rozza e arretrata, molti europei hanno pensato che costoro avessero una struttura ereditaria più scadente, di qualità inferiore. Insisto: ci sono caduti in parecchi, da Voltaire a Marx, passando per Engels e Jack London. Si salva solo Melville, con i suoi straordinari «selvaggi antropofaghi» descritti in Moby Dick: Melville ha veramente fatto il baleniere, con quei «selvaggi» ha diviso le cuccette per tre anni, con loro ha lavorato gomito a gomito. Lui sapeva che erano persone. E poi Melville sapeva che loro come lui erano figli dello stesso Dio, fratelli.
Nel cristianesimo tutti siamo fratelli e figli dello stesso Dio. Tutti sono figli di Dio. Tutti sono, se non proprio fratelli, per lo meno cugini. Il racconto di Adamo ed Eva ci rende tutti parenti e se lo consideriamo come una metafora è una rappresentazione impeccabile di quello che ora la paleontologia ha ricostruito: un unico antenato comune. Ci sono più geni in comune tra un europeo e un aborigeno australiano, i due tipi più distanti, che tra due lupi dello stesso branco.
La teoria poligenica, invece, affermò che quello che sosteneva la Bibbia erano sciocche superstizioni: gli uomini si erano evoluti da razze diverse. Voltaire e un africano non potevano avere un antenato comune. La teoria poligenica evolverà poi in quello che è stato chiamato darwinismo sociale, la teoria delle razze, superiori e inferiori, la pseudoscienza che deformando e invertendo la vera teoria di Darwin, scienziato straordinario e religioso, creerà la «base scientifica» per il razzismo omicida del XX secolo. La teoria di Darwin consisteva nell’esatto opposto, e dimostrava come chiunque esista e viva abbia superato l’evoluzione, e quindi sia prezioso e intoccabile.
Il darwinismo sociale, base «scientifica» del razzismo, non è una scienza, ma una pseudoscienza, cioè è una costruzione mentale di cui non esiste dimostrazione.
Voltaire è un apostolo dello schiavismo, dell’antisemitismo più atroce, della più assoluta intolleranza. Écrasez l’infâme, schiacciate l’infame, è il suo grido di battaglia; l’ultima frase da lui pronunciata sul letto di morte è: «Odio l’umanità»; di Gesù Cristo scrive: «Odio quell’uomo». Odiare qualcuno che è morto con un supplizio atroce, senza avere mai fatto niente di male, salvo rifiutare di sottomettersi, è già una prova di una mancanza di etica strutturale. La famosa frase «non approvo quello che dici, ma sono disposto a morire perché tu possa continuare a dirlo», Voltaire non l’ha mai detta, né scritta, né avrebbe potuto: il suo urlo è schiacciate l’infame, e gli infami sono tutti coloro che non la pensano come lui. Gli è attribuita perché di Voltaire si è costruito un santino, una versione apocrifa e idealizzata: spesso le versioni attuali del Dizionario filosofico sono amputate delle parti più razziste e antisemite per non fargli fare brutta figura. Pur di schiacciare gli infami, lo stesso Voltaire raccomanda la menzogna quando utile per screditare gli avversari. Sui nostri libri di storia «scientifici e oggettivi» le colpe dell’Illuminismo scompaiono, quelle del cristianesimo o, meglio, delle sue chiese, giganteggiano esasperate fino al parossismo. Voltaire è un campione dell’odio, e coloro che odia più di tutti sono gli ebrei. Li odia per la loro fede millenaria, e, come Hitler, per essere la «causa» del cristianesimo. Léon Poliakov, nella Storia dell’antisemitismo, ci parla del suo odio folle per gli ebrei, che è totale, genetico, senza speranza, condiviso anche da Immanuel Kant, da Hegel, da Montesquieu, e di come i semi della catastrofe finale siano tutti lì.
«È giusto che una specie così perversa (gli ebrei) divori se stessa e che la terra venga purificata da questa razza», Voltaire.
Chiedete e vi sarà dato: tempo meno di due secoli arriverà un caporale austriaco a mettere in atto il progetto. E il mondo si riempirà di orchi, fin oltre l’orizzonte, più atroci e terribili di come Tolkien li ha descritti. Nemmeno le zanne di Alien e lo sguardo vuoto di Terminator riusciranno a imitarne l’orrore.
Silvana De Mari

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Copertina “Ora Pro Nobis” S. DeMari


Dai 13 anni in su
ORA PRONOBIS di Silvana De Mari
Una storia epica di amore, onore, lotta, vita.
Finalmente una storia che scalda il cuore e riaccende in noi il coraggio di lottare per le cose giuste
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Testimonianza di Chiara, volontaria di strada

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Non dovete aver paura di sognare (Benedetto XVI)