
Quale futuro per le nostre famiglie?
Prendiamo in esame la situazione della famiglia nel nostro territorio e in particolare il recente fenomeno delle convivenze di coppie in età giovanile.
Proviamo a chiudere gli occhi ed ascoltiamo il vociare festoso dei bambini, nei cortili delle scuole e delle parrocchie: quanta vitalità, quanta spensieratezza! E quanto bisogno d’affetto! Ma portiamoci anche all’interno delle case dove si ode spesso l’alterco di due persone che non credono più nel loro amore; ascoltiamo anche il pianto dei nonni che vedono i nipotini sballottati da una casa all’altra, privati dell’affetto e dell’opera educativa dei genitori naturali. Soprattutto, facciamo nostre le ansie dei genitori che vedono i figli dissipati e incapaci di costruirsi un futuro. Se non hanno il coraggio di sposarsi, avranno il coraggio di mettere al mondo dei figli? Tra qualche anno, avremo ancora dei bambini nelle nostre case? Badiamo bene: tra qualche anno, forse una decina e non di più.
Le convivenze danneggiano la vita sociale
Chiediamoci: la famiglia, così come l’ha conosciuta la generazione che ora ha dei figli in età di matrimonio, è destinata a lasciare il posto a varie forme di convivenza domestica, più o meno instabile, oppure resta il modello da realizzare e ricomporre? Dipende da tutti noi se le convivenze continueranno ad aumentare, oppure se la famiglia fondata sul matrimonio avrà una ripresa.
Le comunità parrocchiali, che sono attente a questa problematica, tendono ad accompagnarla silenziosamente, con la speranza che le convivenze si risolvano in un rinvio del matrimonio. Si rendono conto che, con il prolungarsi degli studi e a causa del ritardato ingresso nel mondo del lavoro, i giovani sono portati a restare in famiglia, mentre il passaggio dall’adolescenza alla giovinezza diviene sempre più lento e incerto. Oramai però è impossibile restare passivi; occorre sollevare la questione sia in ambito ecclesiale sia in campo civile, perché siamo responsabili del nostro futuro, e non possiamo cedere al fatalismo.
L’unica cosa che può aiutare i giovani a formare vere famiglie è il sostegno congiunto della parentela, del gruppo amicale, delle istituzioni. Oltre tutto, nelle convivenze lo Stato è leso: non può proibirle, ma non può neppure far finta che si debbano solo rispettare le scelte di vita dei cittadini, dal momento che esse recano un danno alla vita sociale. Il matrimonio infatti non è un atto privato, che coinvolge solo i contraenti, ma un atto pubblico, che sta alla base dell’aggregazione sociale e della formazione di una civitas. Togliete il matrimonio e verranno meno la città, la nazione, lo stato, la comunità internazionale. Contestare il matrimonio significa contestare non solo la famiglia, ma anche lo stato.
L’esercizio della sessualità è impegnativo
Tocchiamo un altro tasto delicato: due giovani, che decidono di avere rapporti sessuali senza essere sposati, ritengono di manifestare il loro amore, ma – oggettivamente, magari senza volere – manifestano sfiducia e immaturità: sfiducia perché non si ritengono capaci di prendere le responsabilità tipiche della coppia, la quale di per sé tende a diventare stabile, a diventare una famiglia; immaturità perché compiono dei gesti talmente impegnativi, che vanno al di là delle loro intenzioni. Essi rischiano, per questo, di non potersi più donare l’un l’altro ciò che hanno sciupato a causa dell’imperfezione oggettiva dei loro atti. Infatti, mentre esprimevano donazione totale attraverso l’unione dei loro corpi, non volevano impegnarsi in modo corrispondente.
La Castità: ne vale la pena
La castità, intesa come padronanza di sé e rispetto dell’altro nel campo della sessualità, prima che un problema degli adolescenti, è una virtù fondamentale per gli adulti, in quanto realizza e manifesta la maturità psico-affettiva. Subordinare gli impulsi sessuali ad un progetto di vita sarà sempre difficile, ma vale la pena tentare e ritentare: infatti porta a rapportarsi in modo positivo con sé e con gli altri, è liberante e rasserenante. La spontaneità assoluta non esiste: l’uomo è un essere razionale, magari può usare male la sua ragione, ma non può fare a meno di usarla, abbandonandosi all’istinto. Molti pensano che la castità sia impossibile; ma perché non provare piuttosto a proporla apertamente? Perché non dare uno scopo degno all’attrazione per l’altro, costruendo con lui un progetto di vita, cercando di sognare?
So per certo che non poche coppie di giovani vivono con limpida purezza l’affascinante e impegnativo cammino del loro stato di fidanzati; aiutati dalla buona volontà, dalla preghiera comune e da una guida spirituale, scoprono che la paziente rinuncia a rapporti prematrimoniali non è che il potenziamento del desiderio di donazione nobile e grande e il contributo maturo e coraggioso all’autentica fioritura del loro amore.
Anche quanti sono sposati, se rinunciano ad esprimere reciproca donazione e apertura alla vita – lasciando prevalere la pura ricerca della soddisfazione fisica — rischiano di sciupare la freschezza del loro amore. La virtù però non consiste nella rinuncia: al contrario, fa riscoprire la bellezza dell’amore, opponendo alla sregolatezza la padronanza di sé, all’egoismo la ricerca del bene integrale dell’altro. Come non si può fare a meno della castità per vivere bene, così non si può fare a meno dell’ascetica, cioè di riconoscere i propri errori e tendere continuamente al ricupero del bene integrale della persona e della coppia. Quando invece si pensa di semplificare il problema ricorrendo ai metodi anticoncezionali, si prepara lo scadimento della vita coniugale.
A questo proposito, è necessario adoperarsi per divulgare sempre più la conoscenza dei metodi naturali che, senza manipolare l’integrità dell’atto coniugale, offrono un’affidabilità del tutto paragonabile all’uso della pillola. Come scrive Giovanni Paolo II:
«Bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani.»
(Familiaris Consortio, 33)
Nella nostra diocesi, è possibile rivolgersi gratuitamente ad insegnanti abilitate che possono aiutare la coppia nella semplice acquisizione delle conoscenze e della pratica necessarie per la corretta interpretazione dei segni di fertilità.
Responsabilità primaria degli adulti
Un adulto che non si impegna nella castità, da qualunque livello di moralità sia partito, cosa può insegnare ad un adolescente, bisognoso di esempi positivi e di modelli da imitare, più che di nozioni sull’igiene e la profilassi?
Sono proprio gli adulti — che hanno paura di credere nella castità e nella possibilità di raggiungerla, o almeno di tendere ad essa — a contagiare e demotivare i giovani. Sono loro che hanno diffuso le false teorie della libertà sessuale, dell’atto sessuale compiuto per gioco, ridotto a un fatto di ginnastica. Sono loro che hanno fatto credere che educare i giovani alla castità sia mistificante e ingiusto.
Eppure, nella misura in cui gli adulti — se non tutti, almeno una parte, un gruppo — sono convinti sul serio che la castità è cosa buona, anzi necessaria, i giovani non tarderanno a fare lo sforzo di vivere castamente. E molti di loro ci riusciranno.
Di questo sono assolutamente certo, perché il Signore, né con il sesto né con gli altri nove comandamenti, ha prescritto agli uomini — di qualunque religione ed epoca — qualcosa di impossibile.
Come è noto, i Dieci Comandamenti, dati da Dio attraverso Mosè, esplicitano delle regole morali universali, iscritte nella coscienza di ogni uomo, non solo dei cristiani. I comandamenti sono stati riproposti e portati al loro pieno valore normativo da Gesù:
«Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.»
(Vangelo secondo Matteo 5,27s)
Gesù non può essere ritenuto un moralista, tanto è vero che i suoi avversari lo accusavano di essere “un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Vangelo secondo Luca 7,34). Piuttosto, egli mette in evidenza che la castità, prima di essere nel corpo, deve essere nel cuore: nell’impegno, cioè, a rettificare i pensieri, i sentimenti, i desideri.
Quindi, l’educazione sessuale dei ragazzi — ma anche l’autodisciplina degli adulti — deve ricondurre la corporeità ai sentimenti. Il corpo fatica a seguire la volontà, ma se questa è buona, è ferma, l’armonia della personalità si ricompone; l’insicurezza psicologica scompare.
Valore sociale della castità
La castità ha un valore sociale, oltre che morale.
Chi non è in grado di assumersi impegni affettivi e fare promesse per la vita, cosa sarà in grado di fare nel mondo del lavoro?
Soprattutto, incarichi di responsabilità potrà esercitare?
Come nello sport, così nella vita: occorre anzitutto avere un obiettivo, e poi allenarsi.
Chi pretende di vincere senza fatica, chi vuole solo “divertirsi”, chi non sopporta lo sforzo e la sconfitta, chi si lascia andare, non farà mai strada.
Chi va a coabitare senza sposarsi mostra di non saper prendere decisioni impegnative; vuol bene a una persona, ma non fa progetti per il futuro, quindi è poco affidabile.
Rischia anche di diventare un asociale, perché non conta sull’aiuto degli altri e non intende aiutare chi ha bisogno di lui.
La sua è una scelta rinunciataria, destinata a produrre ulteriori frustrazioni.
Sono ormai diffusi dovunque e trovano gradimento i corsi per i fidanzati, in preparazione al matrimonio.
Anche alle coppie di innamorati, che ancora non hanno deciso, vorrei suggerire di dar vita a un gruppo e cominciare a incontrarsi una volta alla settimana, per mettere in comune progetti, osservazioni, dubbi, problemi, facendosi aiutare da un sacerdote, una coppia matura, o da un consultorio matrimoniale.
Nel giro di qualche settimana, scopriranno di essere più sicuri di sé, più maturi; si sentiranno in grado di fare progetti più concreti per il loro futuro.
Le coppie di giovani cattolici potrebbero benissimo proporre alle altre di leggere un brano del Vangelo e di pregare insieme, all’inizio o alla fine di ogni riunione: anche soltanto il Padre Nostro e l’Ave Maria.
Il più è cominciare; dopo saranno le coppie stesse a chiedere di più.
La preghiera farà emergere la parte nascosta e più bella di ciascuno: quella in contatto diretto con Dio, quella dell’innocenza, della devozione alla Madonna, del ricordo dei morti.
Non è un’idea peregrina: il periodo dell’innamoramento è un tempo di grazia, che trova i giovani aperti a Dio e assetati di preghiera più di quanto essi stessi credano.
Famiglia e lavoro
Sono ormai venticinque anni che Giovanni Paolo II ha scritto un’enciclica sul lavoro, sostenendo tra l’altro che la famiglia è la prima scuola del lavoro.
La Laborem Exercens – questo il suo titolo – può essere condensata in uno slogan:
“Il lavoro è per l’uomo, non l’uomo per il lavoro!”
Si può aggiungere: il lavoro è per la famiglia, non il contrario.
E la famiglia, reciprocamente, è di grande importanza per il mondo del lavoro; è stata ed è tuttora anche il più efficace “ammortizzatore sociale”; ha insegnato a praticare il risparmio, a percepire il valore del denaro, a praticare la gratuità e la solidarietà, a calcolare il rischio.
Qui il discorso si fa impopolare, perché appare di difficile attuazione.
La dedizione ai figli da parte dei genitori dovrebbe essere oculata e incessante: questo si rifletterebbe sull’intera impostazione della vita familiare, con importanti ricadute sociali.
Invece è prevalso un modello di società in cui al centro è l’individuo, il quale cerca di realizzarsi nel lavoro, organizzato secondo il modello capitalistico che privilegia l’utile individuale e il massimo profitto.
In questa visione, non solo il tempo per le relazioni familiari è subordinato alla logica della produzione-consumo, ma viene a svanire anche il valore del riposo come contemplazione della natura, come gioia dello stare insieme, come godimento del frutto del lavoro.
Di conseguenza, i genitori faticano a trovare tempo per i figli, e il lavoro diventa un alibi rispetto alla vita coniugale e all’impegno educativo.
Indicare una via d’uscita non è facile, perché comporta la messa in discussione di un intero sistema sociale;
ma è innegabile che, cominciando con piccoli passi nella giusta direzione, si può invertire la tendenza e si possono sbloccare enormi energie sociali.
Un criterio che alcune famiglie hanno adottato è quello della sobrietà: limitando i consumi, si recuperano tempo ed energie da investire nella vita di relazione, in famiglia e tra famiglie.
Ne deriva non solo un miglioramento della qualità della vita, ma addirittura un modello alternativo di società, a tutto vantaggio dei piccoli e degli anziani.
CONCLUSIONE
Dopo aver fatto l’apologia della trasgressione, si comincia da più parti a riconoscere che essa è all’origine di sensi di frustrazione, di colpa, di sfiducia.
Non resta che tornare alle sorgenti, cioè alla ragione.
La ragione, che chiamiamo anche buon senso, categoricamente dice che il bene va fatto e il male va evitato. Senza se e senza ma.
Le regole morali però non bastano: per rimettere le cose a posto, ci vuole l’intervento di un Salvatore e ci vuole un cammino di conversione, compiuto non in penosa solitudine, ma in seno a una comunità che sia vera madre.
È bello appartenere a una comunità di penitenti,
è bello rinunciare a un’immagine di sé da difendere a tutti i costi, anche se non corrispondente alla realtà.
È bello faticare insieme nel cammino di ritorno al Padre, sostenendosi a vicenda!
È bello condividere “il Pane del Cammino”.
Cristo non ci ha lasciato solo degli insegnamenti, ci ha lasciato se stesso, lui che disse all’adultera:
“Neppure io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Vangelo di Giovanni 8,11).
Tommaso Ghirelli, vescovo di Imola
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