Storia pregressa in patria prima della partenza
S.P. donna, nazionalità Nigeriana. Quarta di otto figli, padre militare e pastore di una chiesa, la madre lavorava al mercato. S.P. ha frequentato la scuola per 12 anni, ha terminato le scuole superiori, ha aiutato sempre la madre al mercato. Nel Luglio 2005 S.P. si trovava in città e in un negozio di parrucchiera ha conosciuto un uomo; dopo qualche mese l’uomo le ha chiesto se era interessata ad andare in Europa ad aiutare la moglie come baby – sitter. S.P. ha risposto subito di sì e l’uomo le ha spiegato che abitava in Grecia e che si sarebbe occupato lui di preparare tutti i documenti per la partenza. Quattro mesi dopo l’uomo aveva tutti i documenti pronti, il passaporto riportava un nome falso, ma le impronte digitali erano di S.P. A questo punto, senza dire niente ai suoi genitori S.P., pensando con eccitazione al viaggio ed alla prospettiva di un lavoro in Europa, è partita con l’uomo. S.P. voleva fare una sorpresa ai suoi genitori e avrebbe voluto chiamarli una volta arrivata in Grecia.
Percorso migratorio
S.P. è partita con l’uomo dalla Nigeria con l’aereo, hanno fatto scalo in Egitto e quindi sono partiti per la Grecia. Arrivati in Grecia, l’uomo senza dirle niente è ripartito per la Nigeria ed è stato via due settimane, e l’ha lasciata in una casa con altre ragazze. In quei giorni S.P. vedeva un andirivieni continuo di uomini, e ad un certo punto le è stato chiaro che le ragazze si prostituivano. Non c’è stato neanche un momento in cui abbia pensato di dover fare la stessa fine, S.P. era convinta di dover fare la baby – sitter. Al suo ritorno, l’uomo ha sottoposto S.P. ad un rito voodoo, le ha preso peli, unghie, capelli e le ha fatto mangiare e bere della noce colanut e poi le ha comunicato che dovevo lavorare come prostituta e che doveva pagare un debito di 85.000 euro. A questa notizia S.P. è rimasta sorpresa, l’ accordo prevedeva che facesse la baby – sitter non la prostituta; così S.P. si è trovavo intrappolata, non poteva tornare indietro, i documenti, anche se falsi li aveva l’uomo. In più l’uomo ha minacciato di morte la ragazza se non collaborava. In questo modo sono iniziati i 7 anni di schiavitù della ragazza, non poteva dire niente, ha tentato per 3 volte di scappare ma ha fallito, ha tentato anche il suicidio più volte , due volte ha cercato di impiccarsi e poi ha ingurgitato tante pastiglie che c’erano in casa (erano quelle che lui usava per fare abortire le ragazze). S.P. è stata salvata sempre da una donna che viveva anche lei nella casa. La casa in cui viveva con altre 6 ragazze in Grecia era composta da una sala d’attesa per i clienti e da 3 camere, in ogni camera c’erano 2 letti, i rapporti sessuali avvenivano anche in contemporanea. L’attività iniziava alle 10 del mattino e si concludeva all’1 di notte. Erano tutte ragazze nigeriane, S.P. è stata l’ultima ad arrivare lì, nella sala di attesa dormiva di notte un pakistano molto cattivo, che le controllava, di giorno invece era lui che stabiliva il prezzo della prestazione, il minimo era 20 euro, i clienti pagavano a lui.
Qualsiasi prestazione venisse richiesta dal cliente le ragazze eravamo obbligate a soddisfarla compresi i rapporti non protetti che venivano pagati il doppio. Era vietato uscire da sole, una volta alla settimana il guardiano sorteggiava una delle ragazze per accompagnarlo a fare la spesa. Durante questi 7 anni è stata violentata ripetutamente dall’uomo e ha effettuato 17 aborti, non è mai andata in ospedale o da un medico, era l’uomo che si procurava i farmaci (erano erbe della Nigeria) e li somministrava alla ragazza. Più volte S.P. ha pensato che sarebbe morta, in alcuni momenti era anche contenta di morire, vivere in quelle condizioni non aveva senso.
Nel 2007 S.P. è stata portata in un’altra città greca, la polizia è venuta nella casa dove lavoravano a fare un controllo, ed S.P. a detta dei poliziotti avevo un documento falso. Conseguentemente la ragazza è stata portata in prigione dove è stata per circa 3 mesi con l’accusa, ed in seguito la condanna, di esercizio della prostituzione e false generalità. Quando è stata scarcerata S.P. è stata poi portata
al CIE; S.P. sperava che la rimpatriassero, così sarebbe fi nita la sua schiavitù.
Quando era al CIE , il Boss che aveva paura che S.P. lo denunciasse, le telefonava continuamente e la minacciava di morte attraverso il voodoo. L’uomo le ha detto che doveva uscire di lì e per farlo doveva chiedere l’asilo politico, le ha fatto usare delle generalità false diverse ancora da quelle riportate dal passaporto. Purtroppo S.P. non è mai andata davanti alla Commissione, ogni 6 mesi le davano un cedolino per il rinnovo. Nel 2012, un cliente pakistano dopo aver saputo le condizioni in cui viveva S.P. e dell’obbligo che aveva di prostituirsi le ha detto che lui era disposto ad aiutarla, dopo 3 settimane l’uomo pakistano è tornato e con il suo cellulare le
ha fatto una foto che sarebbe servita per avere i documenti necessari per scappare.
Prendendo accordi per la fuga S.P. gli ha detto che non aveva soldi per pagare il viaggio, lui le ha detto di non preoccuparsi, da quel momento tutte le volte che andava a letto con lei non pagava più
Nel momento in cui tutti i documenti erano pronti l’uomo pakistano ha detto alla ragazza di inventarsi una scusa per uscire dalla casa, siccome lui era anche un po’ amico del boss, l’idea è stata di mandare
S.P. a comprare qualcosa da bere e una volta fuori dalla casa la ragazza non doveva più tornare, ma doveva invece aspettare in un posto concordato, dopo circa 2 ore di attesa. L’uomo pakistano ha portato la ragazza a casa di un suo amico in un’altra città greca, dove sono stati ospitati per 4 giorni , e da dove poi sono partiti con una
nave per l’Italia.
Arrivo in Italia e modalità di permanenza
Il viaggio per arrivare in Italia è durato 1 giorno e mezzo, S.P. non sa in che porto sono sbarcati, ricorda però che hanno preso un treno diretto in Piemonte. Per fare questo viaggio l’uomo ha duplicato il documento della moglie e ha sostituito la foto con quella di S.P., poi ha vestito la ragazza con gli abiti della moglie (abiti lunghi e velo, aveva scoperto solo il viso) prima di salire sulla nave c’è stato un controllo della polizia che hanno superato, l’uomo ha spiegato che erano marito e moglie in viaggio verso l’Italia. Durante il viaggio S.P. ha parlato molto con l’uomo e gli ha raccontato dei suoi 7 anni di schiavitù in quella casa, l’uomo non immaginava che il suo amico in realtà fosse un trafficante e uno sfruttatore di donne. Quando sono arrivati in Piemonte, l’uomo ha detto a S.P. che da quel momento in poi doveva cavarmela da sola, l’uomo l’ha salutata e le ha preso il telefono per evitare che la ragazza potesse mettersi in contatto con il suo sfruttatore e con lui. S.P. è rimasta nei pressi della stazione per due giorni,chiedendo aiuto a tutte le persone nere che passavano nessuno l’ha aiutata, ad un certo punto ha incontrato un ragazzo nero ma, non nigeriano, che l’ha ascoltata e accompagnato all’Ufficio Stranieri, dove anche lui aveva un appuntamento.
E ha finalmente trovato aiuto.