Don Bosco a Roma: furto con scasso e incendio

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Sono ben noti alla letteratura popolare su don Bosco i piccoli furti di cui fu vittima nei primi anni della casetta Pinardi da parte dei giovani da lui accolti. Meno noti forse il furto di biancheria a Valdocco e il tentativo sventato nella basilica di Maria Ausiliatrice negli anni Settanta. Lo stesso si dica dei furti di materiali edilizi perpetrati in fase di costruzione della basilica del Sacro Cuore a Roma negli anni Ottanta. Ma forse l’unico furto di denaro in contanti è quello che qui raccontiamo, avvenuto in Roma nella casetta ai piedi del Campidoglio, messa generosamente a disposizione di don Bosco e dei salesiani di passaggio in città dalle suore Oblate di Tor de’ Specchi.

Il furto con scasso e incendio
Mentre don Bosco con il suo fedele segretario don Gioachino Berto si trovava da alcuni giorni a Napoli, alle 7 del mattino del 31 marzo 1880, il procuratore dei salesiani, don Francesco Dalmazzo, si accorse che usciva del fumo dalla camera di don Berto, accanto a quella di don Bosco e alla sua. Subito vi si precipitò dentro e riuscì a salvare un valigione già in fase di combustione accanto al letto che pure stava prendendo fuoco. Spento poi il principio di incendio con l’aiuto di persone chiamate e subito accorse, si rese conto che la grande valigia da viaggio aveva un buco al posto della serratura. Attraverso di esso qualcuno aveva tolto da una scatoletta, chiusa in un reparto della valigia, una grossa somma di denaro (6 banconote francesi di 1000 franchi ciascuna) che don Bosco aveva ritirato in Roma e che doveva consegnare  al Papa come obolo di san Pietro a nome di due generosi benefattori di Marsiglia. Il ladro, evidentemente al corrente del fatto che don Bosco aveva ritirato tale denaro da due uffici di Roma, si era con molta facilità arrampicato alla colonna della vicina chiesa, e dal cornicione della porta della medesima era entrato comodamente per una finestra nelle camere degli ospiti delle suore. L’incendio della valigia era stato solo il tentativo, non riuscito, di coprire il furto del denaro in contanti attraverso il buco praticato vicino alla serratura.

Le conseguenze
Fatta la necessaria denuncia ai carabinieri, la voce del furto si sparse subito per la città, e più di un giornale locale, lanciati forti sospetti sulle persone di casa, praticamente gli intimi di don Bosco, arrivò a dire che questi sospettava dello stesso suo segretario (assente da Roma!) e che poteva anche trattarsi di un furto simulato. L’Osservatore Romano il 9 aprile si sentì in obbligo di precisare i fatti e anche di polemicamente accusare le forze di pubblica sicurezza di grave ritardo nel sopralluogo e di leggerezza nelle successive indagini. Il Bollettino Salesiano nel numero di maggio 1880 riprese e condivise la ricostruzione dei fatti e le opinioni del giornale vaticano, anche perché nel numero precedente di aprile aveva dato semplicemente notizia del furto pubblicando un post scriptum di una lettera di don Berto pochi giorni dopo il triste episodio, il 6 aprile: “L’ultimo giorno di marzo, nell’assenza di D. Bosco e del suo segretario [don Berto] da Roma, si appiccò il fuoco nella sua camera, e tra le altre cose bruciò la valigia, parte del letto con altri oggetti preziosi. Si deve attribuire a una grazia speciale, se l’incendio non mandò in cenere tutta la casa”. E don Bosco?
Tornato a Roma da Napoli il 1° aprile, seppe ovviamente del grave furto. Quella sera andò a letto tanto afflitto, che in piena notte lo sognò e si mise a gridare svegliando il suo segretario, che ne scrisse poi a don Rua l’8 aprile, aggiungendo però anche che per il furto “poco mancò che io non impazzissi”. Don Bosco comunque riprese i suoi molteplici impegni in città e solo molti giorni dopo, il 18 aprile, ne fece uno spiritoso cenno al barone francese Aimé Héraud: “In quanto poi a’ miei affari ho avuto una visita in mia camera, mentre io era in Napoli, e persuasi certamente di farmi un servizio, rubarono un po’ di biancheria che meco aveva portato da Torino, scassinarono bauli e valigie e andarono a trovare una somma di 6000 lire che erano danaro di san Pietro destinato pel santo  Padre. Quegli incameratori nel partire, non se ne può capire lo scopo, diedero fuoco alla camera del Segretario mio e così misero nella costernazione i vicini ed i lontani. Così camminano le cose del povero mondo”. Il ladro non fu mai trovato, i soldi non furono mai recuperati e don Bosco dovette cercare in tutti i modi di far avere a papa Leone XIII quanto gli era stato offerto dai benefattori francesi. E dire che in quel momento era indebitato fino al collo, con tre grandi chiese in costruzione: a Torino, a Vallecrosia, a Roma. Ma confidava che la Divina Provvidenza non gli sarebbe venuta meno, visto che lavorava sodo e sodo per portare anime a Dio.

Francesco Motto dal Bollettino Salesiano

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