La veste nera e il seminario
A diciannove anni Giovanni Bosco deve decidere il suo avvenire.
Ha ancora voglia di farsi prete?
Anzi, pensa addirittura di farsi francescano. Inoltra regolare domanda e viene accettato. Ma non è questa la volontà di Dio.
La madre, Margherita Bosco, gli fa questo discorsetto: – Sentimi bene, Giovanni. Io voglio che tu ci pensi bene e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico: in queste cose tua madre non c’entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio dire subito: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco, non metterò mai piede in casa tua. Ricordalo bene.
Il suo amico, Luigi Comollo intanto ha deciso di entrare nel Seminario di Chíeri. Bosco è ancora perplesso. L’amico Evasio Colli gli dice: – Vai a Torino a consigliarti con don Cafasso. È il più bravo prete che io conosca.
Bosco va a Torino e cerca di don Giuseppe Cafasso, un pretino di 23 anni, che lo ascolta con calma e attenzione. Questi alla fine taglia netto e gli dice: – Entrate in seminario. Per il denaro non ci pensate. Qualcuno provvederà.
Il 25 ottobre di quell’anno (1834) Giovanni Bosco, nella chiesa di Castelnuovo, prima della messa grande, riceve dal parroco « la veste da prete ». La talare nera è stata cucita da mamma Margherita, di notte. Bosco la riceve tutto commosso alle solenni parole del rito.
« Mio Dio, che io cominci davvero una vita nuova! ». Il 30 ottobre successivo entra in seminario. Il colpo di timone alla sua vita ormai l’ha dato per sempre.
Novello Sansone
Quand’era nel Ginnasio a Chieri un giorno, durante l’ingresso nella scuola, alcuni discepoli si diedero a molestare Luigi Comollo, che era il più intimo amico di Bosco, e che era anche il più virtuoso della scolaresca. Bosco ne prese la difesa; ma essi, indispettiti, passarono alle busse con pugni e calci al povero Comollo. A quella vista, Bosco perde il controllo di se stesso, e abbrancato uno di quei mascalzoni per le spalle, novello Sansone, se ne serve come di un manganello, e sbatacchia per diritto e per rovescio quegli scalmanati. In quella, entra il professore che, vedendo braccia e gambe rotear per l’aria, montò sulle furie, e volle sapere il perché di quella scenata.
Bosco, per nulla turbato, disse la pura verità, ed il professore apostrofò quei cattivi soggetti dicendo: – Vi meritereste un castigo assai più grave, ma per questa volta vi basti quello ricevuto da Bosco. Attenti però a non più molestar nessuno, specialmente chi è più saggio e più virtuoso di voi.
Suonatore di violino
A Chieri, dal capo cantore del Duomo, aveva anche imparato a suonare il violino, e con questo accompagnava le funzioni.
Invitato da un suo zio di 102 anni ad intervenire ad una festa in una frazione di Buttigliera d’Asti per aiutare a cantare ed anche a suonare il violino, vi si prestò; e ogni cosa andò benissimo fin dopo il pranzo fatto in casa di quello stesso zio, che era il priore della festa.
Finito di desinare, i commensali, fra cui anche il Parroco, lo invitarono a suonare qualche cosa a mo’ di sollievo; ed egli, per compiacere specialmente il vecchio zio che più di tutti insisteva, non seppe rifiutarsi, e suonò per un buon tratto applauditissimo.
Quand’ecco ode un bisbigliare e un calpestio nel sottostante cortile. Si fa alla finestra che era aperta, e vede una frotta di ragazzi e ragazze che danzava al suono del suo violino.
Non si può esprimere lo sdegno da cui fu invaso in quel momento il chierico Bosco.
– Come! – gridò ai commensali, – io che tanto protesto contro il ballo, ne sono diventato il promotore?! Ciò non sarà mai più!…
E gettato a terra il violino, vi saltò sopra coi piedi, lo fece in mille pezzi, e non ne volle più sapere di suonarlo per l’avvenire.
Più forte di un cavallo
Nelle vacanze pasquali del 1835 (Bosco aveva 20 anni) andò a trovare un suo amico a Pinerolo, un certo Annibale Strambio, che fu poi uomo di Stato, Console a Marsiglia e grande amico dei Salesiani.
In quei giorni, Bosco e l’amico stabilirono di fare una passeggiata a Fenestrelle.
Si incamminarono con un calesse trainato da un cavallo. La cosa andò bene sulle prime, ma a un certo punto si levò un vento così furioso, che respingeva il cavallo e toglieva ogni forza. Anzi, sollevava un turbinio di sabbia e pietruzze che sbatteva nei loro volti e negli occhi del povero animale.
L’aria si faceva buia; la bestia ansante urtava qua e là sbuffando, e non voleva più proseguire, mentre il vento impetuosissimo minacciava di precipitarli fra i dirupi. A buon punto però scorsero poco distante, accanto alla strada, un incavo nel monte che offriva sicuro rifugio; ma come raggiungerlo? Il cavallo non voleva più saperne; le ruote erano affondate, la strada deserta.
Bosco dice al compagno: – Annibale, prendi la bestia nel morso, ed io andrò a spingere.
Così fecero, ma il cavallo, anziché avanzare, indietreggiava.
– Ebbene, – ripigliò Bosco, – tu, Annibale, passa qua a spingere, piglierò io il cavallo.
Passò innanzi, prese l’animale per la cavezza, e adoperando tutta l’energia e la potenza dei suoi nervi, trascinò cavallo, calesse ed amico sotto il provvidenziale rifugio.
Il numero con il cavallo
Nelle stesse vacanze andava a ripetizione presso il Parroco di Castelnuovo, il quale gli diede l’incarico di tenergli pulito il cavallo.
Giovanni, ben lieto, ne aveva ogni cura, e nei giorni in cui il Parroco non ne abbisognava, lo conduceva a passeggio, lo spingeva al galoppo e, correndogli a fianco, gli saltava in groppa, e riusciva a stargli in piedi sul dorso mentre il cavallo continuava la corsa.
Un bel giorno però gliene capitò brutta.
Mentre cavalcava allegramente, il cavallo si adombrò per uno stormo di uccelli, sollevatisi all’improvviso da una siepe accanto alla via, sbalzò di groppa il cavaliere, e si diede ad una corsa sfrenata per i campi. Coraggio alla prova
Don Bosco, studente di Teologia nel Seminario di Chieri, si era fatto un amico buono e santo come lui, nella persona del chierico Luigi Comollo, e con lui passava spesso i giorni delle vacanze.
Comollo si recò una volta ai Becchi, e la mamma, dopo i primi convenevoli, disse ai due amici: – Vorrei farvi onore, ma, siccome debbo attendere alla mietitura, vi lascio padroni di casa, con l’ordine di accopparvi un pollo e mangiarvelo in santa allegria. – E se ne andò.
I due, dopo aver ragionato a lungo dei loro studi, e di molte altre cose utili e buone, s’accorgono che punge l’appetito, e allora Bosco dice: – Suvvia, è tempo, facciamo l’obbedienza della mamma.
– Ebbene – risponde Comollo – io accenderò il fuoco, e tu metterai la pentola.
– Benissimo – continuò don Bosco – ma prima sarà meglio acciuffare il pollo, che ci serva di brodo e di pietanza.
Il metter le mani addosso a un pollo non fu difficile cosa; il più fu poi ucciderlo!… Né l’uno né l’altro si sentiva di farlo. Quindi decisero di tirare la sorte, che toccò a Comollo.
Questi prese il pollo per la testa, lo roteò alquanto in giro sopra il capo, e l’abbandonò alla ventura. Il povero pollo andò a cadere stramazzoni in mezzo all’aia, ma tosto si raddrizzò e, passato il momentaneo sbigottimento, prese allegramente a cantare un delizioso chicchirichì, sbattendo le ali in segno di trionfo. I due restarono con un palmo di naso; risero dell’amena scenetta, e deliberarono di prenderne un secondo. Questa volta si provò il Bosco. Lo agguantò per il collo e, dopo due tiratine coi fiocchi, lo scaraventò per l’aia in modo che andò a cadere impigliato fra i rami di una pianta addossata al muro di casa.
– Non la scappi più – gridano entrambi, e corrono a raccogliere il morto. Avvicinano una scala alla pianta. Uno tiene e l’altro sale e allunga la mano alla preda; ma ecco che il pollo, con uno strappo, si libera dalla stretta e vola sul tetto.
La burla era bella, ma l’appetito pungeva; e allora? Decisero di acchiapparne un terzo e di accopparlo addirittura col falcetto.
Eccoli all’opera. Comollo tiene il galletto per il collo sopra un ceppo, e Bosco mena il colpo spietato. La testa del povero galletto, spiccata dal busto, salta un metro distante, ed essi, spaventati alla vista di quel collo sanguinante, si dànno alla fuga piangendo.
– Sciocchi! – disse poco dopo Bosco. – Ce lo ha comandato la mamma… dunque, coraggio!
Senza altra difficoltà raccolgono il pollo, lo spennano, lo cuociono e pranzano in santa allegria.
Un’allegra scampagnata
Nelle vacanze del 1836, Bosco, cedendo ai ripetuti inviti dell’amico Comollo, si era deciso a fare una scampagnata a Cinzano, paese distante circa tre ore di viaggio da Castelnuovo, ove era Parroco lo zio di Comollo; e vi si recò per l’ora del pranzo con tre dei suoi migliori amici.
Giunti con un appetito da cacciatori, si sentono dire dalla persona di servizio, la signora Maddalena, che il Parroco non c’è perché, insieme col nipote, era andato a Sciolze per una adunanza di sacerdoti. – Torneranno presto?
– Certamente non prima di questa sera, ed io, capiranno, non posso ricevere nessuno.
– E allora… – mormorarono tra loro i quattro amici. – Andare a Sciolze a stomaco vuoto?… Chi se la sente? – Ritornare a Castelnuovo digiuni?… Peggio che peggio!
– Dunque come si fa? – Bosco, facile a superare ogni ostacolo, non si lascia abbattere per così poco. In un baleno, studia il piano e si accinge all’attacco esclamando: – Oh, almeno ci fosse la signora Maddalena! So che è come padrona, la mano destra del signor Prevosto, una vera benedizione per questa casa. Vorrei almeno salutarla.
– Salutare chi? – risponde la serva.
– La signora Maddalena, e fare la sua conoscenza, giacché mi fu parecchie volte decantata come persona a modo… gentilissima… graziosissima.
A questi colpi di signora, ed a questi panegirici inattesi, ella si sente cotta dalla gioia, e tutta raggiante dice: – La Maddalena sono io, in persona; e lei chi è, che mi conosce così bene?
– Io sono Bosco dei Becchi, il compagno e l’amico del chierico Comollo, nipote del signor Parroco.
– Il chierico Bosco!… Oh, l’ho sentito tante volte elogiare dal signor Prevosto. Viene dunque da Castelnuovo? – Precisamente, e questi sono tre miei amici, e anche amici di Comollo, che ci ha ripetutamente invitati. Ma lei, dunque, è proprio la signora Maddalena, la padrona di casa?
– Niente padrona; sono la povera serva; faccio quello che posso nell’interesse di questa casa e del signor padrone, che da più di trent’anni mi tiene in piena fiducia.
– Sappiamo tutto, sappiamo tutto, signora Maddalena; lo dice sempre il signor Prevosto che, come la Maddalena, non ce n’è un’altra. Economa… premurosa, attiva, che ha occhio a tutto, che arriva a tutto!
Maddalena, sotto questa pioggia di reiterati complimenti, è cotta intieramente e, balbettando parole di scusa, soggiunge: – Oh, quanto mi rincresce che il padrone non sia in casa!
– Rincresce anche a noi; ma pazienza! sarà per un’altra volta.
– Un’altra volta?! Ma dove vogliono andare? – Andremo all’osteria!
– Non sia mai detto! Passino, entrino, si accomodino; ci aggiusteremo.
– Ma non c’è il Prevosto!…
– Se non c’è il Prevosto, ci sono io. Il Prevosto sarà ben contento; avanti, avanti!
– Oh, quanto disturbo! – vanno esclamando uno dopo l’altro entrando.
– Non vorremmo abusare della sua bontà!… – Lei ha tanto da fare!…
– Non si diano pensiero, e lascino fare a me. S’accomodino, e un boccone di pranzo sarà presto preparato. Va bene così?
– Va benissimo, ma!…
– Non c’è ma che tenga. Si troveranno contenti. Ho anche qui (battendosi sul fianco) le chiavi della cantina. Ringiovanita di trent’anni, si rimbocca le maniche, corre in cucina e ritorna, e va e viene, e apparecchia la tavola, e racconta le sue gesta, e inneggia alla bontà del padrone e alla santità del nipote.
In breve, il pranzo fu pronto, e che pranzo!…
Tutto andò a gonfie vele; tutto finì con gli evviva alla cuoca.
Alla prima occasione, Bosco raccontò l’avventura al signor Prevosto, che ne rise proprio di cuore. Erano queste, fin d’allora, le sante astuzie di don Bosco, con le quali otteneva indicibili effetti.
Un morto che parla
Giovanni Bosco e il suo intimo amico Luigi Comollo si erano fatta reciproca promessa di pregare l’un per l’altro e con l’impegno che chi fosse stato il primo a morire avrebbe recato notizia della propria salvezza al compagno superstite, qualora Dio l’avesse permesso.
Il chierico Comollo mori in Seminario a Chieri, la notte del 2 aprile 1839, e nella notte della sepoltura, dal 3 al 4 aprile, mentre Bosco e compagni dormivano, si ode un rumore cupo e prolungato, che dal fondo del corridoio si avanza, facendosi sempre più tetro e spaventoso. I seminaristi si svegliano, ma nessuno osa parlare. Il rumore si avanza sempre più; la porta del dormitorio si spalanca; appare una luce che si fa sempre più viva in mezzo a quel rumore di tuono, e s’accosta alla cella di Bosco.
Qui la luce diventa vivissima, cessa il fragore, e si ode risuonare distinta la voce del chierico Comollo che dice per tre volte:
– Bosco… Bosco… Bosco… io sono salvo!
Il fragore riprende più rumoroso di prima, e si allontana. La porta sbatte paurosamente; tutta la casa si scuote come di terremoto, e poi ogni cosa tace.
I compagni di Bosco balzano dal letto e fuggono all’impazzata. Bosco li chiama, li incoraggia, li calma, e racconta loro la vicendevole promessa fatta col Comollo.
Predicatore improvvisato
In quelle stesse vacanze, fu invitato dal Parroco di Cinzano Monferrato a prender parte come inserviente alla festa di S. Rocco.
Già si davano i segnali del vespro, ed il predicatore invitato non compariva. Il povero Parroco ne era assai impensierito; e il chierico Bosco, per toglierlo dall’impiccio, si rivolgeva or all’uno or all’altro dei sacerdoti presenti, pregandoli con insistenza che facessero la predica.
– Ma come!… Volete dunque lasciar partire tanta gente senza dire due parole?!
Uno di loro, seccato da quelle insistenze, rispose: – Ingenuo che sei! Un discorso su S. Rocco lì su due piedi, non è come bere un bicchier d’acqua. Fallo tu, se ti senti!
Bosco, alquanto ferito nel suo amor proprio, soggiunse: – Ebbene, giacché ognuno si rifiuta, accetto. Cantati i vespri, egli salì sul pulpito e fece un discorso che fu sempre detto il migliore di quanti se ne erano uditi in quella circostanza.
Ciò si ripeté altre volte. La grazia della parola l’aveva chiesta a Dio nella sua vestizione clericale; e gli fu abbondantemente concessa.
Berretta nuova
Don Bosco, fin da giovanetto e da chierico, era d’una squisitezza d’animo straordinaria.
In seminario a Chieri, vedendo che un suo compagno era messo in burla perché portava una berretta di una forma alquanto strana, un bel giorno gli si avvicinò e gli disse: – Giacomelli, mi lasci per un momento la tua berretta?
– E perché no?… Prendila pure.
Egli la prese, e dopo qualche ora ritornò con una berretta nuova fiammante, e gliela mise in capo dicendo: – Guarda un po’ se ti va bene.
– Mi va egregiamente!… E la mia?
– La tua la terrò per memoria, sei contento? – Contentissimo… ma io!…
– Tu, con quella, sembravi un semplice cappellano; con questa, sembri un parroco coi fiocchi!
« Camperete novant’anni! »
Nelle vacanze pasquali di quell’anno 1839, passando a far visita al suo antico padrone Luigi Moglia, prima di allontanarsi, salì a salutare la moglie di lui che era ammalata.
Sentendola lamentarsi ed esclamare che « la era finita per lei », Giovanni sorridendo le disse: – Fatevi coraggio, padrona, e state di buon umore. Voi non morrete, ma camperete fino ai 90 anni!
Difatti guarì, e pose tanta fiducia in quella promessa di Giovanni Bosco, che quantunque colpita in seguito da malattie anche gravi, non volle mai prendere medicine, perché diceva:
– Bosco mi ha assicurato che vivrò fino ai 90 anni; è inutile quindi ogni rimedio.
Sopravvisse difatti a don Bosco medesimo, e moriva in età di anni 91! Tutti la chiamavano « la vecchia di don Bosco ».
Qui c’è un mago!
Aveva creato tra i suoi compagni la « Società dell’allegria », e, come presidente, era solito dare saggi della sua abilità coi giochi di prestigio.
Ora, siccome i più non sapevano darsi una spiegazione delle meraviglie che operava, si venne a poco a poco, nella persuasione che egli fosse un mago, e che operasse quei prodigi con l’intervento del diavolo. Così la pensava anche un certo Cumino Tommaso, suo padrone di casa.
Il giorno del suo onomastico, Cumino aveva preparato un pollo in gelatina per i pensionati. Recato il piatto in tavola e scopertolo, con meraviglia di tutti, ne saltò fuori un gallo, che svolazzando, si diede a cantare allegramente.
Altra volta, dopo aver fatto bollire una pentola di maccheroni, nell’atto di versarli nel piatto, trovò altrettanta crusca asciutta.
Spesso, dopo aver riempito le bottiglie di vino, versandone nei bicchieri, vi trovava acqua limpida; altre volte invece, volendo bere acqua, trovava il bicchiere pieno di vino.
Spesso ancora trovava le confetture convertite in fette di pane; il denaro nella borsa convertito in pezzi di latta; il cappello cambiato in una cuffia; noci e nocciole di un sacchetto in minuta ghiaia. La gente esterrefatta si chiedeva: – Ma che sia un mago costui?
O Dio o diavolo
A simili scherzi, che succedevano quasi ogni giorno, il buon Cumino, suo padrone, andava pensando: « Costui o è un Dio o è un diavolo; ma un Dio non può esserlo, quindi è un diavolo: io debbo denunziarlo ». Pertanto, non osando parlarne con i suoi, pensò di consigliarsi con un sacerdote vicino di casa sua. Andò a visitarlo, e quasi esterrefatto, gli narrò una filastrocca di cose viste e non viste, dipinte con tale vivacità di colori, che trasfuse la sua persuasione in quel buon sacerdote, il quale decise di riferire la cosa all’Autorità Ecclesiastica.
Fu tosto incaricato un Canonico, che mandò a chiamare Bosco. Questi si presentò mentre quel Canonico stava distribuendo l’elemosina a dei poverelli. Fattolo entrare nel suo studio, prese a dirgli con tutta serietà: – Caro Bosco, i superiori sono stati fin qui molto contenti del vostro studio e della vostra condotta; ma ora si raccontano tante cose di voi! … Si dice che conoscete i pensieri degli altri, che indovinate i denari che altri tiene in tasca, che fate vedere quello che è bianco nero, e quello che è nero bianco, che conoscete le cose lontane, e simili. Insomma, fate parlare di voi, fate sospettare che vi serviate della magia, e che nelle vostre opere vi sia l’intervento del demonio. Ditemi dunque, in strettissima confidenza, in qual modo fate queste cose. Delle vostre confidenze non me ne servirò che per farvi del bene.
Bosco, senza scomporsi, gli chiese cinque minuti di tempo a rispondere, e gli domandò l’ora.
Il canonico mise la mano in tasca, e non trovò più il suo orologio.
– Se non ha l’orologio – soggiunse Bosco – mi dia una moneta da quattro soldi.
Il canonico frugò in ogni tasca e non trovò più la sua borsa.
– Oh, briccone! – prese allora a dirgli alzandosi incollerito. – O voi servite il demonio, o il demonio serve voi! Voi mi avete rubato la borsa e l’orologio! Non posso più tacere; sono obbligato a riferire al Vescovo, e non so chi mi tenga dal darvi un sacco di legnate!
A queste invettive, Bosco, sorridente, rispose: – Stia tranquillo, signor Canonico.
– Tranquillo un corno! Dove sono la mia borsa e il mio orologio?
– Signor Canonico, si calmi: è tutta destrezza di mano.
– Bella destrezza di mano, rubare borse e orologi! – Le spiego tutto in breve. Quando giunsi qui da lei, lei stava distribuendo l’elemosina a dei poverelli, e lasciò la borsa su quell’inginocchiatoio. Andando poi nell’altra camera, lasciò l’orologio su questo tavolo. Io ho preso e nascosto l’una e l’altra sotto questo paralume.
Così dicendo, alzò il paralume, che stava sul tavolo, e apparvero tutti e due gli oggetti.
Il buon canonico si fece dar saggi di altri giochi di destrezza, fece un buon regalo a Bosco, e lo licenziò dicendogli: – Andate a dire a tutti che l’ignoranza è maestra di ammirazione.
Una sfida memorabile
Nel 1832 – racconta don Bosco nei suoi quaderni di Memorie – i Gesuiti tenevano tutte le feste nella loro chiesa di sant’Antonio uno stupendo catechismo, in cui raccontavano esempi che ricordo ancora.
Bosco vi conduce regolarmente i suoi amici della « Società dell’allegria ».
A guastar le feste, una domenica un saltimbanco viene proprio a piantarsi davanti alla chiesa di sant’Antonio. Era un vero atleta. Correva e saltava come una macchina. La gente correva a vederlo e addio catechismo! Bosco aveva diciassette anni e si sentiva in grado di sfidarlo. La « Società dell’allegria » fece le cose in regola. Fu inviata al giocoliere regolare sfida: Studente contro atleta professionista. Stabiliti tempo, luogo, regole del gioco e nominata una giurìa.
Il saltimbanco propose una corsa a piedi, percorrendo tutta la città dall’una all’altra estremità, con la posta di venti lire.
Bosco non le possedeva, ma gli amici gli vennero in aiuto. Bosco si tolse la giubba, si fece il segno della croce, e si iniziò la corsa.
Il rivale all’inizio si avvantaggiò di una decina di metri; ma Bosco riacquistò subito il terreno, e lo lasciò talmente indietro, che quegli si fermò a metà strada, dandogli partita vinta.
Non contento, però, anzi avvilito per le risate della gente che era accorsa numerosissima, sfidò Bosco al salto, raddoppiando la posta.
L’atleta scelse il punto contro il muricciolo che arginava una larga gora (canale di acqua) e saltò per primo, ponendo il piede vicinissimo al muro, di modo che più in là non si poteva andare. Dovette anzi attaccarsi ad un alberello della ripa per non ricadere nel canale.
Tutti erano perplessi, e non sapevano che cosa avrebbe fatto Bosco, giacché più oltre era impossibile spingersi. Egli fece il medesimo salto, in modo però che, gettate le mani sul muricciolo, slanciò il corpo al di là e vi rimase in piedi.
A questa inaspettata ed impensata acrobazia, gli applausi furono generali, e il povero atleta, vedendosi sfumare tutto il suo patrimonio, prese a gridare: – Piuttosto qualunque umiliazione, ma non quella di vedermi vinto da un ragazzo!… Mi restano solo cento franchi, e li scommetto e guadagnerà chi di noi due porterà i piedi più vicini alla cima di quell’albero.
Era un grosso olmo che fiancheggiava il viale. Bosco, incoraggiato dai compagni, accettò. L’atleta, abbracciatosi al tronco, salì per primo, e, spinto dall’affanno e dal livore, in un attimo fu alla cima, e tant’alto che il ramo minacciava di piegarsi e rompersi.
Tutti gli spettatori gli giudicano certa la vittoria, giacché era impossibile salire più in alto. Bosco tenta la prova ugualmente. Sale e sale, arrivando fin dove era arrivato l’avversario; poi, tenendosi con le mani all’albero, si capovolge, ossia spinge in alto il corpo, e porta i piedi ad un bel metro oltre l’altezza raggiunta dal suo contendente.
Chi può ridire le acclamazioni, i battimani, gli evviva al vincitore e la rabbia dell’atleta sconfitto? Bosco però ebbe compassione, e gli propose di restituirgli il denaro guadagnato, a condizione che pagasse una merenda a lui e ai suoi amici. Quegli accettò ben di cuore; ma da quel giorno il ciarlatano non si fece più vedere a disturbare le funzioni.
Salvato dal fulmine
Sul finire di quell’anno scolastico, e proprio l’ultimo giorno, nel quale si doveva partire per le vacanze, essendo il tempo piovoso, Bosco se ne stava alla finestra del dormitorio guardando il cielo minaccioso, mentre i compagni s’affaccendavano a fare i bauli.
Quand’ecco, all’improvviso, cade il fulmine sul parapetto della finestra alla quale era affacciato Bosco. I mattoni divelti dal fulmine lo colpiscono in pieno petto ed egli cade svenuto in mezzo alla camerata. I compagni accorrono, lo portano sul letto, gli spruzzano acqua in faccia, lo piangono morto; ma alla frescura di quell’acqua, Bosco rinviene, apre gli occhi e balzando dal letto esclama: – A che tanta paura? La Madonna mi ha salvato!
Una birbonata del diavolo
Poco prima dell’Ordinazione sacerdotale di don Bosco, mamma Margherita era salita sopra un gelso a raccogliere la foglia per i bachi da seta. D’un tratto si ruppe il grosso tronco sul quale poggiava, ed ella cadde, battendo pesantemente al suolo.
Né bastò: il ramo spezzato le piombò sopra, cadendole sulla fronte e lasciandole una impronta che portò finché visse.
Ma ella s’alzò prontamente e, come se nulla fosse accaduto, corse a sfamare i bachi che attendevano. Saputasi poi la cosa, don Bosco le andava ripetendo: – Vedete, madre mia, quant’è buona la Madonna!…
Il demonio ha attentato alla vita vostra per privarvi della gioia di baciare la mano al vostro figlio prete, ma non ci è riuscito. Ha però voluto lasciarvi il ricordo di questa sua birbonata.