Caro direttore, confesso che all’indomani del pronunciamento della Corte costituzionale sul suicidio assistito, il 25 settembre, c’era aria di sconfitta tra coloro che – come me e molti altri – con tenacia hanno lottato in questi mesi per far comprendere la provocazione che la Consulta aveva lanciato un anno fa al Senato con la sua ordinanza. I giudici hanno mantenuto i tempi che si erano dati, precludendo al Senato la possibilità di far sentire la sua voce ed emettendo una sentenza – di cui attendiamo il testo completo – con paletti ben precisi, elencati nel comunicato con cui la si annunciava, che in gran parte ricalcano quanto preannunciato nell’ordinanza stessa. Eppure voci critiche si erano alzate nell’ultima fase prima del pronunciamento della Corte, quando ci si è resi conto fino in fondo dei rischi che stavamo correndo, sia come classe politica sia come medici e professionisti della sanità. A queste si è aggiunto lo sguardo preoccupato della Cei e anche del Santo Padre, che hanno fatto sentire la loro voce di profondo dissenso, chiara, forte, inequivocabile, come di rado era accaduto in precedenza.
Avvenire è stata l’unica presenza che, giorno dopo giorno, ha cercato e cerca di fare da megafono al sincero malessere che attraversa tutti noi. Dalla sentenza infatti emergono profonde contraddizioni, contro le quali proveremo a batterci nei prossimi mesi, in Parlamento e dal Parlamento, cercando di farci sentire e soprattutto di farci capire. Per questo torneremo a chiedere tempo e spazio ad Avvenire, che mai come in questa occasione è stato la casa di tutti i cattolici. L’unica. Qualcuno tra i miei colleghi senatori mi ha detto: peggio di così non poteva andare.
Purtroppo, però, vedo in arrivo venti di ulteriore tempesta. Mi limito a tre nodi. Fra i paletti posti dalla sentenza, uno riguarda la misura del dolore fisico o psichico, che può indurre a chiedere il suicidio assistito. Rettificando il suo primo comunicato, la Corte aveva precisato che non si tratta di un dolore al tempo stesso fisico e psichico ma anche solo di uno dei due, conferendo al secondo un rilievo che include qualsiasi intensa sofferenza psicologica, con le conseguenze che si possono immaginare. Il secondo nodo riguarda l’omologazione fatta con la legge 219 (quella sulle Dat) tra la nutrizione e un qualsiasi trattamento terapeutico: se si può rinunciare ai sostegni essenziali, vuol dire che si può chiedere in modo esplicito la morte. Non a caso – ed è il terzo nodo – è già arrivata una proposta di legge che prevede la somministrazione di un farmaco letale per accorciare il tempo dell’attesa: se ho deciso di morire, e posso farlo con la tutela di una legge compiacente, allora perché aspettare? Non si può far morire una persona di fame e di sete: troppo doloroso. Meglio farla finita subito, con un farmaco somministrato in un qualsivoglia ospedale del Ssn, sotto controllo medico.
Noi ci opporremo, cercheremo di far capire che il caso Fabo-Cappato è stato solo il grimaldello per scardinare un saldo sistema giuridico-sanitario costruito con anni di paziente saggezza, alla luce di princìpi fondamentali accessibili a tutti. Ma la legge naturale è stata progressivamente smantellata, perché al momento opportuno non sapessimo più a cosa appigliarci. Per evitare di finire nello stesso baratro che si è spalancato in Olanda, come ‘Avvenire’ ha perfettamente illustrato, ora ci servono coraggio e lucidità, ma anche strategie e strumenti. Occorrerà esercitare un monitoraggio estremamente attento sull’attuale maggioranza di governo (e non solo), lontano da ogni forma di compiacenza o di politically correct. Noi ci saremo, gli stessi che non votarono la legge sulle Dat perché ne avevano colto la forza dirompente sotto il profilo della prassi clinica. I fatti, purtroppo, ci stanno dando ragione. Siamo su una china pericolosa, che bluffa sul principio di auto-determinazione e mette in carico al Ssn non tanto il curare quanto il terminare la vita umana. Nessun pessimismo, dunque, ma idee chiare e impegno determinato. Con amicizia
Paola Binetti – Senatrice Udc e neuropsichiatra infantile