La corsa per la morte con il suicidio assistito

‘Suicidio assistito, primo via libera ad un malato italiano’, così titolano le testate che si occupano della vicenda di ‘Mario’, dopo il parere rilasciato dal Comitato etico regionale delle Marche. Ma è realmente così? La versione integrale del parere non autorizza questa conclusione, intanto perché, nella confusione normativa attuale, se un qualsiasi Comitato etico avesse autorizzato un suicidio assistito avrebbe violato la legge, poiché sarebbe andato oltre le competenze che le varie disposizioni gli riconoscono. E poi perché, chiamato dal Tribunale di Ancona a verificare la sussistenza nel caso specifico delle condizioni previste dalla Corte costituzionale con la c.d. sentenza Cappato, a proposito del requisito della sofferenza intollerabile il Comitato parla di ‘elemento soggettivo di difficile interpretazione’, di difficoltà nel ‘rilevare lo stato di non ulteriore sopportabilità di una sofferenza psichica’, e di ‘indisponibilità del soggetto ad accedere ad una terapia antidolorifica integrativa’.

Al netto delle suggestioni mediatiche, l’avv. Domenico Menorello, dell’Osservatorio parlamentare Vera lex? affronta i nodi problematici dei Comitati etici, correlati alla procedura di ‘fine vita’.

A due anni esatti dal deposito è, dunque, arrivato il primo caso di “suicidio medicalmente assistito” consentito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019. Il primo, cioè, in cui il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato ad attiversi non per tutelare la vita, ma per dare la morte. Le cronache di stampa lo hanno chiamato “il caso di Mario”, degente in un ospedale delle Marche, dieci anni fa vittima di un grave incidente, che vive con un pacemaker, un catetere vescicale e deve essere sottoposto a manovre manuali per consentire funzioni essenziali. In particolare, a fronte della richiesta di morte di ‘Mario’, il Comitato Etico della Regione Marche (CERM) avrebbe, dopo varie vicissitudini procedimentali, verificato la presenza delle condizioni pretese dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019.

1. Una procedura per il suicidio medicalmente assistito esiste già. Piaccia o meno (e a chi scrive non piace), il caso di Mario dimostra che una procedura per il suicidio medicalmente assistito esiste ed è quella delineata dalla Consulta con la sentenza n. 242/2019 che, a detta di tutti i commenti, si sta – appunto – applicando per la prima volta al paziente marchigiano. Dunque, onestà intellettuale impone di riconoscere che per arrivare a questo drammatico obiettivo non vi è affatto la necessità di una nuova legge che disciplini il “suicidio medicalmente assistito”. Anche l’Associazione Luca Coscioni su La Stampa del 23 novembre 2021 tira le orecchie al Ministro Speranza per non aver “fatto nulla dopo la pronuncia della Corte costituzionale del 2019”, mentre “doveva mandare una comunicazione a tutte le Regioni e a tutte le Asl per chiedere l’applicazione di quella sentenza” supportando negli ospedali il suicidio assistito.

Piuttosto, la necessità di un intervento legislativo dopo la 242/2019 riguarda i circoscritti profili di illegittimità costituzionale ravvisati dalla stessa in merito all’art. 580 del Codice penale, disciplinante, come noto, l’aiuto al suicidio. Tant’è che la stessa Consulta considera espressamente la possibilità che il Parlamento intervenga “mediante una mera modifica della disposizione penale” censurata, così come si propone, ad esempio, nella pdl 1888 “Pagano”, che vorrebbe introdurre una attenuante al delitto in oggetto proprio sulla base delle considerazioni della Consulta. Se, allora, la Camera sta procedendo a marce forzate per far approvare sbrigativamente una disciplina che consentirà l’uccisione di pazienti da parte del SSN, deve essere chiaro che ciò non discende necessariamente dalle riflessioni della Corte, bensì da una precisa scelta politica, giacché, da un lato, alla sentenza 242 può ottemperarsi con una “mera modifica” all’art. 580 cod. pen. e, dall’altro, il suicidio medicalmente assistito è comunque già possibile in base ai canoni introdotti dalla stessa pronuncia citata. Come ora è dimostrato proprio con il caso di ‘Mario’.

2. Rispettare la Corte, fermando la legge Lorenzin. La sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 sostanzialmente deduce dalla legge n. 219/2017 una disciplina per ottenere dal SSN l’esecuzione di una volontà suicidaria di un paziente, auspicando però che, vista la delicatezza del valore in gioco”, il legislatore preveda “l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità”. Tuttavia, la Consulta ha altresì inteso emanare una sentenza già self-executing, come si sta vedendo nel caso di Mario, precisando che “nelle more dell’intervento del legislatore, tale compito è affidato ai comitati etici territorialmente competenti”. È un passaggio che merita un seppur rapido approfondimento.

L’art. 12 co. 10 della legge 8 novembre 2012 n. 189 ha previsto che a “ciascun comitato etico [sia] attribuita una competenza territoriale di una o più province” (lett. a) primariamente nelle “sperimentazioni cliniche dei medicinali”. Inoltre, la lett. c) del medesimo comma 10 dell’art. 12, cui fa diretto riferimento la sentenza costituzionale n. 242/2019 pensando alla consulenza in tema di richiesta suicidaria, consente che “la competenza di ciascun Comitato [possa] riguardare, oltre alle sperimentazioni cliniche dei medicinali, ogni altra questione sull’uso dei medicinali e dei dispositivi medici, sull’impiego di procedure chirurgiche e cliniche sull’uomo generalmente rimessa, per prassi internazionale, alle valutazioni dei Comitati”.

Di qui, negli anni a seguire e sulla base del dM 8 febbraio 2013 venivano costituiti i Comitati Etici per la sperimentazione farmaceutica, che attualmente sono 91, ma sui quali da anni incombe una successiva legge che restringerà il numero e le competenze degli stessi. Infatti, il 31 marzo 2017 il Comitato Nazionale di Bioetica evidenziava al Parlamento la necessità di distinguere “fra Comitati etici per la sperimentazione e Comitati per l’etica nella clinica”, perché “la valutazione di un farmaco non risponde agli stessi parametri dell’attuazione di una pratica terapeutica”, che impone di “analizzare e discutere la natura dei problemi morali che l’assistenza ai pazienti e la pratica terapeutica possono presentare nelle situazioni più delicate (es.: inizio e fine vita), con i soggetti vulnerabili (es.: minori, incapaci, anziani, immigrati), negli eventi imprevisti (es: incidental findings)”. Così, il CNB chiedeva al Legislatore “di prevedere Comitati etici per la clinica con competenze e funzioni diverse da quelle attualmente previste per la sperimentazione farmacologica”.

Anche il Regolamento CE 536/2014 aveva prospettato una più accentuata separazione delle funzioni inerenti alla sperimentazione dei medicinali da quelle riguardanti l’assistenza ai pazienti e la pratica terapeutica, così si arrivò alla legge 11 gennaio 2018 n. 3 (c.d. “legge Lorenzin”), che, da un lato, all’art. 2 co. 7, ha previsto la riduzione dei Comitati Etici da 90 a 40 a mezzo di un DM che avrebbe dovuto essere emanato entro il 15 febbraio 2018, mentre, dall’altro, al successivo comma 10, disponeva che detti nuovi 40 Comitati Etici avrebbero potuto occuparsi solo di farmaci e non più di altre competenze residuali. Pertanto, se intervenisse un decreto del Ministro della Salute per attuare la legge Lorenzin, i Comitati Etici diverrebbero 40 e soprattutto non potrebbero più svolgere il ruolo assegnato dalla Corte in via provvisoria, cioè fino all’ipotizzato intervento legislativo per costituire nuovi “organi terzi” nei procedimenti per il suicidio assistito con una caratteristica pretesa di “terzietà”, che impone, almeno, che essi non siano incardinati nel Ministero della Salute, sul quale dovrebbero vigilare.

 Quindi, chi auspicasse il rafforzamento della disciplina tracciata dalla sentenza n. 242/2019 dovrebbe innanzitutto chiedere a Governo e Parlamento di dilatare l’attuazione della legge Lorenzin ai fini di posticipare la costituzione dei 40 comitati etici, voluti dalla tessa legge n. 3/18 con competenza esclusiva sui farmaci, dopo l’istituzione di quei nuovi e diversi “organi terzi” immaginati dalla Consulta che andranno a sostituire gli attuali 90 Comitati Etici esistenti e provvisoriamente deputati a rendere pareri in procedure quale quella avviata da ‘Mario’.

3. Rispettare la Corte, riaffermando la preminenza di Ippocrate. La sentenza costituzionale n. 242/2019 è assai chiara nel sottolineare che ai Comitati etici non potrà chiedersi più che un “parere consultivo”, perché la definitiva decisione di comminare la “morte assistita” deve rimanere un atto di esclusiva spettanza dei medici del Servizio Sanitario Nazionale. Ciò in coerenza con un essenziale passaggio del parere 2017 del CNB, che da un lato, raccomandava “ampi spazi di autonomia in cui definire i percorsi, le modalità di intervento, la natura della risoluzione (pubblica o riservata), le sfere di operatività” dell’intervento del Comitato Etico, e, dall’altro, era risoluto nell’attribuire a detti pareri “un carattere esclusivamente orientativo”, dovendo rimanere preminente la competenza medica.

Non sono perciò giustificati i toni di esultanza con cui tanti commenti hanno accompagnato il parere del Comitato Etico delle Marche, perché dovranno essere i medici a giudicare in ultima istanza la presenza delle condizioni poste dalla sentenza 242/2019 sul caso di ‘Mario’, specie laddove la valutazione del CERM omette di declinarne concretamente alcuni canoni essenziali. Ad esempio, può il tema del “coinvolgimento in un percorso di cure palliative”, rappresentato dalla Corte addirittura come “un pre-requisito della scelta” essere sbrigativamente derubricato a una questione di “farmaci antidolorifici” o di “ulteriori aiuti domiciliari”? Appare, poi, davvero possibile prescindere da una verifica di quelle “condizioni di eccezionale sofferenza” che la Corte ritiene necessarie, rispetto alle quali, però, il CERM – dopo aver pur ammesso che “il dolore fisico può trovare riscontri oggettivi” – si trincera dietro parametri meramente soggettivi? Ancora: può la scienza medica accettare che l’ulteriore parametro posto dalla Consulta circa la necessaria “tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale” divenga, sulla scorta della discutibile accezione introdotta dalla Corte di assise di Massa nella sentenza 2 settembre 2020, talmente ampio da comportare l’eliminazione tout court di tale canone (cfr. Giurisprudenzapenale.com, 29 settembre 2020)? È cioè ammissibile che l’arte medica arretri a tal punto da non accorgersi che la sostanziale omessa valutazione da parte del CERM di fattori indicati dalla Corte nel quadro patologico di ‘Mario’ significherebbe rendere la pratica della morte negli ospedali l’opzione normale?

Chi vuole scartare il ruolo del medico di fronte al singolo paziente, per esaltare le valutazioni più astratte e approssimative di organi “etici” o di tribunali, in realtà prospetta uno Stato che pretende di giudicare direttamente quali vite sarebbero degne e quali no. E voler imporre per mano pubblica un simile giudizio di valore sulla vita, significa abbandonare i malati in una solitudine depressiva, anziché farsi prossimo, nella cura e nell’accoglienza, per lasciare aperta la possibilità che la “sofferenza” di Mario sia abbracciata nella speranza di un significato, fino persino a riconoscerla “di grande aiuto per il mondo” (Madre Teresa di Calcutta).

Domenico Menorello

Padre Geppo il gesuita francescano

Se difendi qualcosa, ti opporrai al suo opposto (Cordileone)