La soppressione di un malato non si può ritenere mai una soluzione

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“Eliminare il malato non ‘risolve il problema’, non elimina la malattia dall’esperienza umana. E la soppressione di una vita non si può ritenere mai una soluzione, mai! La persona vale infinitamente ed è sempre più grande, anche più grande della sua malattia”. Lo ha ribadito con forza l’arcivescovo Ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, che il 4 aprile ha celebrato il precetto pasquale nell’ospedale militare del Celio, alla presenza, tra gli altri, del direttore del nosocomio, generale Carlo Catalano. Nell’omelia, diffusa oggi dalla arcidiocesi castrense, mons. Marcianò ha ricordato che “la nostra cultura rifugge il dolore, cerca di ignorarlo e rimuoverlo; lo considera un incomodo nella realizzazione personale, nella carriera lavorativa, nella libertà di azione, come pure nell’organizzazione sociale e nelle scelte economiche”. Una cultura che ha riflessi spesso anche nelle leggi civili che “prendono questa deriva e cercano di eliminare il dolore eliminando la persona che soffre, privilegiando, ad esempio, il diritto a morire rispetto al diritto alle cure. In questo senso, è un rischio quanto accade in Italia, sul piano giuridico, soprattutto se si considera l’esperienza di altri Paesi, dove si è palesato con chiarezza il ‘piano inclinato’ che va dalla richiesta di eutanasia in casi estremi fino al suicidio assistito. Siamo profondamente coscienti di come questa non sia una soluzione, anche perché il dolore rimane e rimarrà sempre nella vita terrena”. Per mons. Marcianò, il “farsi carico si dimostra come l’unica risposta possibile” perché “ la prima la risposta alla sofferenza, alla valle oscura del dolore, della malattia, della morte, sta nel prendersi cura, nel sentire accanto a sé qualcuno che si prende cura. Per capire il dolore, occorre anche guardare alla sofferenza di chi si prende cura, in diversi aspetti. Prendersi cura è una prerogativa della famiglia, di coloro che stanno accanto ai malati, di figure nuove che, nel nostro tempo, li accudiscono, spesso sostituendo i familiari. Prendersi cura è una missione peculiare dei medici e degli operatori sanitari”. La professione medica è testimonianza di questo “prendersi cura”: “Voi vi caricate sulle spalle la persona ferita, l’umanità ferita. Andate a cercarla nelle difficoltà, vi interrogate sulla malattia, indagate e studiate i campi del sapere. E questo – ha detto mons. Marcianò – perché la persona vale, perché vale la sua vita. La vita umana rimanda sempre a un ‘di più’, a un’abbondanza, che potremmo interpretare come il ‘senso’ della vita”. “Non lo dimenticate – ha affermato il presule rivolgendosi ai presenti – anche quando non riuscite a guarire, quando vedete dinanzi a voi la sofferenza più acuta, quasi la disperazione; anche quando non potete dire a parole quale sia il senso della vita, voi spiegate questo senso; donando la vita”.
SIR

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