La grazia e l’amore di Cristo Nostro Signore sia sempre in vostro aiuto e favore. Dio, nostro Signore, per Sua infinita misericordia, ci fece toccare l’isola del Giappone il giorno di S. Giovanni del 1549, sull’imbrunire. C’imbarcammo a Malacca (già a 600 leghe da Goa) diretti a questa terra, sulla nave di un mercante cinese, pagano, il quale s’era offerto al Governatore di Malacca di condurci fino al Giappone. Appena partiti, benché Iddio, fra tante grazie, ci facesse anche quella di un ottimo tempo, il capitano della nave, incostante, come son tutti questi pagani, cominciò a mutare parere e non voleva più venire in Giappone, fermandosi senza bisogno alcuno nelle isole che s’incontravano.
Due cose soprattutto ci facevano soffrire: la prima era che non si approfittava del tempo propizio che Dio, nostro Signore, ci dava, e che presto sarebbe cessato, per cui saremmo stati costretti a svernare in Cina, aspettando il nuovo vento; l’altra erano le continue idolatrie e i sacrifici che si compivano sulla nave a un idolo, senza poterli impedire. Gettavano spesso le sorti interrogando il destino se fosse bene o male navigare al Giappone, e le sorti uscivano a volte positive, a volte negative, com’essi superstiziosamente dicevano. Toccammo terra a cento leghe da Malacca, in un’isola, dove si fecero provviste di legname e di altre cose necessarie per affrontare la grande tempesta del mare cinese; e poiché le sorti avevano promesso buon tempo, senza indugio levarono le ancore, e facemmo tutti vela con grande allegrezza, fidando gli idolatri nel nume che recavano a poppa con grande venerazione, con molte candele accese e profumi di essenza di legno d’aquila, e fidando invece noi nel Dio Creatore del cielo e della terra, e nel Cristo, Figlio Suo, per cui amore e desiderando l’aumento della Sua santissima Fede, eravamo andati tanto lontano. La nave correva a gonfie vele, ma quelli ripresero a gettare le loro sorti e a domandare all’idolo se la nave sarebbe ritornata dal Giappone fino a Malacca, e le sorti dissero che al Giappone sarebbe arrivata, a Malacca no. E allora entrò nei loro animi una grande sfiducia, e decisero di non andare in Giappone, ma di passare l’inverno in Cina aspettando l’anno venturo.
Voi potete comprendere la nostra pena in quel viaggio, in cui questi schiavi di Satana facevano dipendere dal demonio l’andare o non andare al Giappone, e i timonieri non governavano la nave se non come costui per mezzo delle sorti diceva loro. Procedendo dunque assai adagio, prima di arrivare in Cina, trovandoci all’altezza della Cocincina, ci capitarono due disgrazie in un solo giorno, la vigilia di Santa Maddalena. Mentre un cinese, di nome Manuele, uno del nostro seguito, si trovava sulle ancore, a causa della grande tempesta, essendo per caso aperta la sentina, vi cadde dentro; tutti pensavamo che la grande caduta l’avesse ucciso, e rimase a lungo mezzo immerso, capovolto, nell’acqua; a stento lo potemmo sollevare. Pure Dio volle che non morisse, ma ne uscisse con una sola grande ferita al capo. Avevamo appena finito di medicarlo, che una figlia del capitano precipitò nelle onde. Ed essendo la nave troppo sconvolta dalla tempesta e il mare troppo agitato, non ci fu verso di poterle salvare la vita: affogò presso la nave, sotto gli occhi del padre e di noi tutti. Per tutto quel giorno e la notte che seguì, le loro grida e i loro pianti ci straziarono il cuore, e corremmo il rischio di morire tutti.
Dopo aver sacrificato tutto il giorno e la notte uccelli all’idolo in gran numero, gli chiesero perché fosse morta la bambina e le sorti rivelarono che, se il nostro Manuele fosse morto, la bambina non sarebbe caduta, né si sarebbe annegata. Le nostre vite erano sospese a un filo: che sarebbe avvenuto di noi, se Iddio avesse permesso al demonio di farci tutto il male che desiderava?
… e il demonio
In quei giorni sciagurati volle Iddio, Nostro Signore, farmi grazia di sentire e di conoscere per esperienza quei terribili e spaventosi timori che il demonio sa destare in noi quando Dio lo permette e ci trova vulnerabili, nonché i rimedi da usarsi in simili condizioni di spirito. Li tralascio qui, perché scriverli è troppo lungo, sebbene siano notevoli. La somma di ogni rimedio è di mostrare in faccia al nemico un grande coraggio, assolutamente diffidando di sé e molto confidando in Dio, in Lui collocando ogni nostra forza e ogni nostra speranza, e guardandoci bene dal mostrare paura accanto a un sì grande Difensore, e non dubitando punto della vittoria: in tali frangenti noi dobbiamo temere la nostra sfiducia nel soccorso di Dio, assai più del male che ci può fare il nemico.
Giappone! Giappone!
Ritorniamo al nostro viaggio. Cessate le burrasche, levammo le ancore e facemmo tristemente vela verso la Cina, e in pochi giorni arrivammo a Canton. Capitano e marinai erano tutti del parere di andar a svernare colà solo noi ci opponemmo con preghiere ed anche con minacce, dicendo che avremmo scritto al Governatore di Malacca e ai Portoghesi, denunciando l’inganno e la promessa infranta. Volle Iddio indurli a non fermarsi nell’isola di Canton: levammo le ancore e, camminando con il buon vento che Dio ci dava, arrivammo in pochi giorni a un altro porto cinese chiamato Chincheo. Già sul punto di entrarvi, decisi a passarvi l’inverno, stando ormai per finire il tempo propizio per il Giappone, ci passò vicino una vela e ci informò che c’erano molti corsari in quel porto e che bisognava fuggire per non cadere nelle loro mani. A questa notizia, già in vista del porto, a una lega dall’approdo, il capitano, spaventato dal pericolo, risolse di non entrare.
Il vento ci soffiava in poppa in direzione del Giappone, ed in prua in direzione di Canton. Indietro non era possibile ritornare. Così fu che, contro la volontà del capitano, dei marinai e del demonio loro padrone, navigammo al Giappone.
Il giorno dell’Assunta dell’anno 1549, senza aver potuto sostare in altro porto, entrammo in Kagoshima, la città di Paolo, dove i suoi parenti e gli altri cittadini ci accolsero con molto amore. (…)
Senza conforto!
Dio, nostro Signore, ci farà parlare a suo tempo questa lingua ed enunciare anche in essa la Sua dottrina. Allora, col Suo favore ed aiuto, raccoglieremo grande messe. Intanto siamo in mezzo a loro come tante statue, perché essi parlano e trattano molto con noi, e noi, ignari come siamo della lingua, taciamo: ci tocca essere come fanciulli che imparano a parlare e a Dio piaccia che li imitiamo anche nella semplicità e nella purezza dello spirito. Ed è questa una grazia singolare che Dio ci fece, mandandoci tra questi pagani, dove ci scordiamo di noi stessi, in una terra tutta piena di idolatri e di nemici di Cristo, dove non abbiamo nessuno al quale confidarci se non a Cristo.
Altrove, dov’è conosciuto il nostro Redentore, Creatore e Signore, le creature, l’affetto di genitori, familiari e amici, e della patria, ci fanno dimenticare Dio: sani o malati, abbiamo sempre laggiù quanto ci occorre, e beni temporali e amici del cuore che ci aiutino nel bisogno; ma qui, in terra straniera, privi d’ogni persona che ci soccorra nello spirito, tutto quello che ci conforta è lo sperare in Dio.
Riflettendo a queste grazie tanto grandi che il Signore ci fa con altre molte, restiamo tutti confusi della manifesta misericordia che Egli usa con noi: pensavamo di rendergli noi un qualche servizio col venire fin qui a portare la santa fede; ora Egli ci concede di capire chiaramente l’immensa
grazia che ci ha fatto nel condurci in Giappone, liberandoci dall’amore di molte creature, che è l’ostacolo a una più grande fede, speranza e fiducia in Lui. Per amore del Signore, aiutateci a rendere grazie di sì grande beneficio! (…)
Soltanto per suo amore
Sentiamo gran bisogno di confidarvi per nostro conforto un’ansia profonda che abbiamo, affinché ci aiutate con qualche preghiera e sacrificio. Viviamo in un grande timore che Dio nostro Signore, cui sono note le nostre grandi colpe, lasci di farci grazia di servirLo con perseveranza sino in fine, se non avverrà in noi qualche grande emendazione.
A questo fine è necessario che intercedano per noi, sulla terra, tutti i figli della benedetta Compagnia di Gesù, e tutti gli amici suoi devoti, affinché per essi noi veniamo ricordati e raccomandati a tutti i beati del cielo, e specialmente al loro Signore Gesù Cristo, nostro Redentore, e alla SS. Vergine, Sua Madre, che continuamente ci raccomandi all’Eterno Padre, donde ogni bene nasce e discende, pregandoLo che sempre ci guardi dall’offenderLo e non cessi di farci continue grazie, non guardando ai nostri delitti, ma alla Sua bontà infinita. Soltanto per Suo amore noi venimmo qui. Colui, al quale tutti i nostri cuori, le intenzioni e i poveri desideri sono manifesti, sa bene che noi miriamo unicamente a liberare le anime da tanto tempo schiave nelle mani di Lucifero, il quale si fa adorare da esse, come Dio, sulla terra, dal momento che in cielo non c’è riuscito; e cacciato di lì s’ingegna più che può di compiere la vendetta anche sugli sventurati Giapponesi.
San Francesco Saverio – Kagoshima, 5 novembre 1549