La famiglia della Murgia

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Foto di kalhh da Pixabay

Bisogna premettere che deve essere rispettato ogni legame affettivo indipendentemente dal nome che gli si dia. Per settimane Michela Murgia, prima della sua morte, in vari post e interviste ha parlato della sua famiglia definendola queer.

Una famiglia che per lei era un insieme di persone cui si era affezionata e che lei definiva la sua famiglia acquisita. Scelta per affinità o per comune sensibilità, al di là dei legami di sangue, anzi in contrapposizione alla famiglia tradizionale, che riteneva una forma antiquata e ingiusta.

La Murgia forse stava combattendo una sua battaglia ideologica a seguito delle sue sofferenze interiori, non sappiamo e non possiamo giudicarla. Possiamo però dare un giudizio sui suoi pregiudizi sulla famiglia tradizionale. La famiglia queer della Murgia, dai suoi racconti, era una sorta di comunità di affetti e amicizie profonde, di cui il mondo è pieno. Quante volte diciamo di un amico ‘è come un fratello per me’ o di un’amica più giovane di noi ‘è come una figlia’. Nulla di nuovo.

Nuovo (e insensato) è il voler codificare e suggerire di dare visibilità e manto giuridico a questi legami affettivi e amicali. Dovremmo indignarci che si contrapponga la famiglia tradizionale con quella ‘del cuore’, opporre i legami di sangue a quelli ‘queer’ è sbagliato.

Prima cosa: nasciamo dal sangue, siamo fatti di carne e le nostre origini fanno parte di noi. Anche un figlio adottato, per quanto amato dai genitori adottivi, va alla ricerca delle sue origini, della sua madre e del padre naturali. Per capire come erano, come mai è stato adottato, come erano fatti, come vivevano, da dove venivano, ecc.

Seconda cosa: pensare alla famiglia come a qualcosa che si basa sulla volontà e non sul legame di sangue in realtà non dice qualcosa di diverso dalla famiglia tradizionale. La famiglia tradizionale è basata sulla volontà, ancora di più oggi proprio perché è stato messo in discussione l’indissolubilità. L’indissolubilità è permeata di volontà. Una volontà d’amore. Però, se davvero i legami di sangue non contassero, allora un figlio avrebbe tutta la libertà di abbandonare il genitore malato e viceversa anche il genitore potrebbe abbandonare il figlio ribelle o poco incline a seguire l’educazione o i valori della famiglia di origine. No. La volontà supplisce perfino al desiderio di fuggire e di fare i propri affari. E anche la consanguineità dona al legame familiare qualcosa di unico. È un legame non scelto e indissolubile, che educa alla gratuità, alla perseveranza nel bene.

Ci piacerebbe scegliere tutto, poter decidere su tutto. Ma nasciamo con un DNA e quello è. Un DNA che arriva proprio da mio padre e da mia madre. Possiamo voler bene a tutti, a tanti, anche fuori dalla famiglia. Ma abbiamo le origini nel nostro padre e nella nostra madre. E i nostri figli sono sangue del nostro sangue.
Paolo Botti



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