Gli effetti psicologici delle MGF sono difficili da valutare dal momento che il vissuto delle bambine sottoposte alla pratica può variare in base al contesto e all’età.
Le mutilazioni genitali femminili possono indebolire l’equilibrio psicologico e causare traumi che pregiudicano l’equilibrio esistenziale delle ragazze, invalidando le loro relazioni affettive durante tutto l’arco della vita.
I motivi che mantengono viva questa pratica derivano da logiche patriarcali il cui comune denominatore consiste nella mutilazione non solo del corpo ma anche della psiche della ragazza che continua ad avere un ruolo sociale subalterno, di dipendenza psicologica, perpetuando così le disparità nelle relazioni di genere.
L’età relativamente elevata in cui le bambine vengono sottoposte alla pratica escissoria, l’assenza della preparazione e spiegazione, aumentano il sentimento di rancore verso i genitori che le hanno ingannate e tradite, in particolare verso le madri che non sono riuscite a proteggerle, insieme a sentimenti di vergogna, imbarazzo, umiliazione, disistima, coscienza della menomazione/mutilazione: non sono intera, mi manca qualcosa.
Alla percezione svalorizzante dell’essere donna si aggiunge la paura del mestruo, della sessualità, del matrimonio, talvolta accentuata dalla diffusione del modello di donna occidentale. Inoltre, si possono manifestare: repressione di emozioni come rabbia e dolore; paura degli estranei, di essere toccata, degli oggetti taglienti, delle operazioni, dei medici; sogni simbolici ricorrenti e incubi; fattori propri di una risposta emozionale classificabile nella sintomatologia descritta nel Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD – DSM4).
La pratica escissoria nel suo vissuto traumatico può esprimersi anche attraverso il corpo e nella letteratura scientifica internazionale è stato evidenziato che le donne sottoposte a mutilazioni hanno una maggiore incidenza di disturbi psicosomatici rispetto alle donne non escisse. La ferita genera un trauma che modifica il rapporto con il proprio corpo provocando disturbi nella sfera sessuale, e in genere nella vita relazionale privata e sociale.
Nel contesto migratorio la pratica delle MGF aumenta la frattura tra il perpetuarsi delle tradizioni e la loro trasformazione. Nei paesi di accoglienza la pratica delle MGF pone le donne migranti provenienti dalle zone a rischio di pratica escissoria di fronte a una situazione di conflitto tra l’adesione alle pratiche proprie della cultura d’origine ed il rispetto delle norme in vigore nel paese di accoglienza. Il loro vissuto emozionale si colloca in una zona di confine che è di per sé già culturalmente conflittuale, sebbene sia allo stesso tempo ricca di opportunità per modificare le pratiche tradizionali dannose.
Per la donna migrante la mutilazione può essere vissuta in maniera ambivalente: da un lato come un fatto normale proprio della sua identità culturale, importante per mantenere l’adesione alle proprie tradizioni, dall’altro come la spinta a manifestare una netta opposizione perché viene percepita come violazione del diritto all’integrità psicofisica e all’autodeterminazione.
Nelle giovani la coscienza della menomazione viene accentuata dal confronto con le coetanee dei paesi di accoglienza e rinforza il sentimento di rabbia legato al sentirsi diversa, generando così a catena sentimenti di ansia, fobie, senso di tradimento e perdita di fiducia nei confronti della propria madre. Una mancanza di autostima che nel lungo periodo può dare origine a nevrosi fobiche, attacchi di panico, e sintomatologie psicosomatiche invalidanti tutta la sfera della salute riproduttiva e della vita sessuale.
Per il trattamento di queste sintomatologie la psicoterapia etno-sistemico-narrativa può dare buoni risultati.
APPROFONDISCI: Cos’è il matrimonio forzato?
Fonte: “Linee guida per il riconoscimento precoce delle vittime di mutilazioni genitali femminili o altre pratiche dannose” – Associazione Trama di Terre