Tutti al campo sanno che lui la deve sposare. Per forza

La ricerca

Nel panorama internazionale, la precocità del matrimonio viene ricondotta alla minore età di uno o di entrambi i nubendi. Il concetto di ‘minore età’ costituisce però una questione controversa, in cui l’approccio universale dei diritti umani si scontra con i principi del relativismo culturale. Nella prospettiva dei diritti umani, il punto di riferimento è la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia – la quale definisce come minore chiunque non abbia ancora compiuto 18 anni, o non abbia raggiunto la maggiore età così come fissata dalla legislazione nazionale a cui il singolo fa capo.

Non ho l’età ha voluto interrogarsi sul tema dei matrimoni precoci presso le baraccopoli della città di Roma, innanzitutto cercando di quantificare il fenomeno dei matrimoni precoci tra le famiglie residenti nelle baraccopoli romane per poi, in seconda battuta, comprendere la natura di tali unioni e offrire degli spunti interpretativi degli stessi. In particolare, si è riflettuto sull’influenza dello spazio abitato della baraccopoli sulla reiterazione e conservazione di tale pratica.

Il metodo

La ricerca ha visto una prima fase di ricognizione – durante la quale sono stati raccolti dati quantitativi sui matrimoni nelle baraccopoli tramite informatori privilegiati – ed una seconda fase di interpretazione del dato – durante la quale sono stati realizzati sei focus-group con adolescenti e preadolescenti residenti presso alcune baraccopoli romane. Per ogni singolo matrimonio è stata rintracciata l’età di entrambi i nubendi, il numero di gravidanze conseguite e la natura del matrimonio (se volontario o voluto da altri). È stata quindi costruita la percentuale di matrimoni precoci e, tra questi, la percentuale dei matrimoni avvenuti entro il compimento del 16esimo anno di età e quelli avvenuti prima dei 14 anni, la percentuale dei matrimoni volontari, l’età minima, massima e media al matrimonio dei ragazzi e delle ragazze e la media della differenza di età tra i coniugi. I focus-group sono stati condotti con giovani di entrambi i generi. È stato ascoltato anche il punto di vista dei genitori di figli in età “da matrimonio”, così come sono stati intervistati osservatori privilegiati con una lunga esperienza sul campo e aventi solide e datate relazioni con le famiglie residenti nelle baraccopoli.

I risultati quantitativi 

Sono stati raccolti i dati dei matrimoni avvenuti nel corso degli ultimi 2 anni (2014-2016) presso 8 differenti realtà abitative e quindi su una popolazione totale di 3003 persone. I matrimoni riscontrati sono 71. Su un totale di 142 individui sposati il 50% ha contratto matrimonio prima dei 18 anni. Fra coloro i quali si sono sposati minorenni il 72% aveva un’età compresa fra 16 e 17 anni. Nel 28% dei casi i contraenti avevano tra i 12 e il 15 anni. Il genere ha una forte incidenza, le donne si sposano in età più giovane rispetto agli uomini. Il 72% delle donne contrae matrimonio fra i 16 e 17 anni e il restante 22% tra 13 e 15 anni. Fra i ragazzi le percentuali scendono, rispettivamente al 15% ed al 7 %. La differenza media di età fra uomo e donna è di tre anni, quella massima è di 11 anni. Si sottolinea la differenza con altri contesti, come quelli asiatici e dell’Africa sub-sahariana, in cui le coppie hanno una grande differenza di età, composte da bambine minori di 10 anni ed uomini utra trentenni.

Inoltre, va sottolineato come il tasso di matrimoni precoci osservato nella baraccopoli sia pari al 77%, superando il record mondiale del 76% detenuto dal Niger.

I risultati qualitativi

All’unanimità, gli osservatori privilegiati intervistati riconoscono come la precocità dei matrimoni sia fortemente influenzata dal valore che viene riservato, socialmente e individualmente, alla verginità. Il matrimonio si configura infatti come lo spazio considerato opportuno per la deflorazione di una ragazza, come il contesto legittimo in cui le donne dovrebbero vivere la prima esperienza sessuale. La verginità viene definita dai giovani delle baraccopoli intervistati come “una dote”, “un bene”, «qualcosa che ti fa sentire pulita». Dalle parole dei partecipanti ai focus-group emerge come la verginità abbia un valore intrinseco e sostanziale, non solo imposto dall’esterno, ma anche riconosciuto e sentito come proprio da parte delle ragazze che in qualche modo ne sono portatrici. Il valore della verginità sembra imporsi come immutabile tra le generazioni, soprattutto tra le famiglie intervistate. Mentre le adolescenti esprimono posizioni che si collocano in discontinuità con quelle dei genitori rispetto all’età al matrimonio (per cui desiderano sposarsi più tardi di quanto abbiano fatto i propri genitori e desiderano che le proprie figlie si sposino più tardi di quanto loro dovranno fare o hanno fatto), le loro opinioni circa la verginità sono affini a quelle dei genitori. Il valore della verginità è tale che i matrimoni combinati possono configurarsi come una soluzione utile laddove sia forte il timore dei genitori che i figli vivano l’intimità di coppia al di fuori della cornice nuziale, e costituire quindi una risposta all’impellenza di circoscrivere la sessualità dei propri figli all’interno del matrimonio. In questo senso, il matrimonio forzato costituisce, tra le altre cose, una strategia genitoriale per sincerarsi che la verginità delle proprie figlie venga persa in uno spazio considerato sicuro e socialmente accettabile. Per lo stesso motivo, si verificano casi di genitori che preferiscono che i propri figli, una volta entrati nella pubertà, non frequentino più le scuole, per timore che nel contesto scolastico (percepito probabilmente come uno spazio proprio della società maggioritaria e poco controllabile) questi ultimi vivano esperienze sessuali pre-matrimoniali. Riportano alcuni intervistati come tale visione della sessualità spieghi in qualche modo anche la tendenza degli adolescenti a volersi sposare in età molto giovane, indipendentemente dai desideri dei genitori e, anzi, talvolta in aperto contrasto con la volontà di questi ultimi. Come si è menzionato, il matrimonio pare essere lo spazio in cui la relazione fisica tra uomo e donna è consentita e in cui l’esperienza sessuale non è associata a sentimenti di vergogna o a condanna sociale. La scelta del matrimonio precoce sembrerebbe quindi essere una strategia funzionale al desiderio di vivere in modo legittimo i propri moti sentimentali e sessuali, in linea con i meccanismi di forte condizionamento esterno riscontrati.

il ruolo dello spazio abitato

È necessario sottolineare come le dinamiche emerse, quali il valore della verginità e le forme di controllo su questa, la virilocalità, la consuetudine del matrimonio riparatore, etc, siano trasversali a diversi gruppi umani e appartenenti a contesti molto distanti da quelli delle baraccopoli romane. La trasversalità della diffusione del matrimonio precoce (e tutto ciò che lo precede e che ne consegue) è una testimonianza e una prova di come la questione dipenda, più che dalle specificità culturali dei singoli gruppi, dalle condizioni socio-economiche in cui le famiglie versano. Non è un caso se i matrimoni precoci registrino un tasso doppio nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, e che una ragazza dal titolo di istruzione elementare sia doppiamente esposta al matrimonio precoce rispetto a una ragazza con un titolo superiore. In questo senso, il ricorso a tali pratiche matrimoniali, in parte ascrivibili alle tradizioni, è esasperato e amplificato dalle condizioni socio-economiche. In particolare, per quanto riguarda i residenti delle baraccopoli romane, è emerso nei focus-group come il contesto abitativo abbia un importante impatto sui matrimoni precoci in riferimento a diverse dimensioni, di seguito elencate. Gran parte della letteratura e dei report che affrontano il tema dei matrimoni precoci indicano l’interruzione del percorso scolastico tra le perdite più importanti che il matrimonio in giovane età comporterebbe. Se questo è vero nei casi di matrimoni forzati o combinati, nel caso dei matrimoni precoci voluti e scelti in prima persona dagli sposi (49% del campione analizzato nella presente ricerca) è vero soprattutto il contrario: è il fallimento dell’esperienza scolastica che contribuisce ad orientare i giovani verso la scelta del matrimonio precoce.

Così come analizzato in precedenti ricerche, l’esperienza scolastica, per i giovani provenienti dalle baraccopoli, può tradursi in un’esperienza di profonda sofferenza, di frustrazione, ed essere percepita come un investimento poco funzionale alle proprie ambizioni e possibilità. Date le difficoltà di concentrare le proprie risorse in un percorso educativo e formativo, il matrimonio rappresenta un’opportunità, un canale e un modo per investire le proprie energie, il proprio tempo, le proprie capacità al di fuori del contesto scolastico e formativo, nella costruzione non del proprio futuro lavorativo, bensì della propria famiglia. Tale riflessione si pone in totale continuità con la teoria della produzione familiare, secondo la quale i comportamenti demografici, come nuzialità e fecondità, si possono inquadrare all’interno delle regole della microeconomia. Nella prospettiva microeconomica, l’individuo tende a fare delle scelte orientate alla massimizzazione dell’utilità (la propria soddisfazione) in rapporto a diversi fattori, ovvero: i propri gusti (anche influenzati dai condizionamenti esterni), i prezzi relativi (in questo caso, il costo del mantenimento dei figli), il costo-opportunità (a cosa si rinuncia per fare dei figli), i vincoli di bilancio (il tetto di reddito che permette di fare un certo numero di figli) e i vincoli di tempo (il tempo a disposizione da dedicare ai figli, alle attività domestiche o al mercato del lavoro, etc). Tra tutti i fattori menzionati, un ruolo di grande rilievo appartiene al concetto di costo-opportunità, ovvero la relazione tra quanto si guadagna e quanto perde scegliendo di utilizzare in un determinato modo le proprie risorse anzi che in un altro. Nel concreto, si fa riferimento alla risorsa del tempo, per cui se, ad esempio, una donna aumenta le proprie possibilità di guadagno in seguito a uno scatto di carriera, il costo dei figli aumenta proporzionalmente: ovvero, l’uso alternativo del proprio tempo, nelle attività di cura dei figli anziché nel lavoro, determina uno svantaggio economico (quindi un costo) tanto maggiore quanto più è alto il reddito a cui si potrebbe accedere scegliendo di non destinare quella porzione di tempo alla cura dei figli.

Come analizzato in precedenti ricerche, la realtà delle baraccopoli è caratterizzata da una forte assenza di stimoli esterni, offre scarsissime opportunità e generalmente vede un alto tasso di disoccupazione – soprattutto per le donne. Si tratta quindi di un contesto in cui i vincoli di tempo sono abbastanza flessibili, per cui lo spazio che si può dedicare alla cura della famiglia e dei figli appare copioso da un lato, dall’altro è un tempo che le madri generalmente non sottraggono ad un percorso lavorativo già avviato e che i coniugi – qualora in età scolare – non detraggono ad attività particolarmente gratificanti e finalizzate all’auto realizzazione personale, come potrebbe essere studiare in funzione del proprio futuro professionale. In questo senso, anche il costo opportunità di avere dei figli è favorevole. «Qui al campo non c’è niente da fare. Rimani sempre allo stesso punto, finché non ti sposi e finalmente hai un po’ di responsabilità familiare. Ti svegli la mattina e sai che hai una responsabilità, la tua famiglia». Gli studi demografici che analizzano i vincoli di reddito hanno indicato come famiglie con un basso reddito tendano ad avere un alto numero di figli (quantità) sostenendo per ciascuno di loro una bassa spesa media (qualità), mentre famiglie con un alto reddito tenderebbero ad avere un basso numero di figli (quantità), destinando al mantenimento di questi un’alta spesa media (qualità). La spesa media va pensata in termini di investimento sull’istruzione, sulle attività sportive, sullo sviluppo di competenze quali quelle linguistiche, musicali, etc. Tra le persone intervistate presso le baraccopoli romane, grande rilievo viene dato alla numerosità della famiglia e un profondo valore alla vicinanza di età tra genitori e figli: gli intervistati sono tutti concordi con l’importanza di diventare genitori prima dei 25 anni, per assicurarsi di avere le energie necessarie nella cura dei figli, «per crescere insieme a loro», per evitare di «sembrare sua nonna quando lo porti al parco giochi» e «di essere troppo anziano quando arriveranno i nipoti». Un aspetto evidenziato dalle ragazze intervistate è la pressione sociale e il condizionamento del gruppo presumibilmente di riferimento sulla scelta matrimoniale: «A 12 anni mi confrontavo con gli altri che si sposavano e pensavo: ‘E io?!’ Avevo paura di restare da sola, di sentirmi diversa». Allo stesso modo, frequentare il proprio ragazzo per un lungo tempo prima di decidere di sposarsi espone alle critiche altrui, perché «se poi ti lasci, tutti parleranno male di te, anche se non avete fatto sesso – diranno che sei maleducata, strana, non sei capace di stare con qualcuno e che sei egoista»; «se stai troppo a lungo con un ragazzo prima di sposarlo allora le persone parlano male di te, dicono che non sei più vergine»; «le persone hanno un atteggiamento negativo verso chi ha un fidanzato e non lo sposa. Tutti sanno che lui la deve sposare». Quello che emerge è che la dimensione collettiva ha una fortissima influenza sulle scelte individuali, e che a determinare la propria reputazione (e forse quindi anche autostima) siano gli aspetti della propria vita privata – nuzialità, fecondità, verginità al matrimonio – piuttosto che quelli riferibili alla sfera pubblica della vita: titolo di istruzione conseguito, lavoro che si svolge, etc. L’aspetto positivo del matrimonio maggiormente riportato dalle intervistate viene individuato nella sua dimensione relazionale e sociale, nella sua proiezione verso l’esterno: «è bello sposarsi così ti fai vedere che sei bella, che sei brava, che sei amata, voluta».

Il prestigio sociale associato al matrimonio è tale che, in alcuni casi, qualora un giovane non riesca a trovare autonomamente una compagna, possono intervenire i genitori tramite un matrimonio combinato. Il valore simbolico del matrimonio non investe soltanto la sfera del prestigio dei genitori degli sposi, ma rimanda anche al desiderio di adultità e di crescita personale. Afferma una donna intervistata: «Una volta sposata, io mi sono sentita finalmente donna», indicando come il matrimonio costituisca la soglia e il passaggio verso l’età adulta.

I condizionamenti del gruppo presumibilmente di appartenenza diventano vincolanti nel contesto corale della vita delle baraccopoli, le quali vedono un’altissima concentrazione di persone in condizioni di svantaggio socio-economico condividere uno spazio generalmente ristretto e densamente abitato. Come racconta un padre di famiglia «se abitassimo in una casa io lascerei che le mie figlie indossassero i jeans. Se lo fanno qui le chiamerebbero ‘puttane’, per questo non glielo permetto. Mia moglie oggi indossa la gonna per rispetto ai miei genitori, ma se vivessimo da soli sarebbe libera di vestirsi come preferisce. Diciamo che tante cose le facciamo perché siamo in comunità, gli altri guardano, parlano, commentano. Se fossimo in casa non sarebbe così, le mie figlie vivrebbero in maggior libertà». Lo spazio delle baraccopoli è uno spazio che permette e incoraggia la perpetuazione di alcuni costumi della tradizione.

Come riportato da alcune ricerche, i contesti di forte precarietà e di insicurezza economica favorirebbero la diffusione dei matrimoni precoci, in quanto questi ultimi aiuterebbero a far fronte all’incertezza rafforzando le reti sociali e garantendo alle proprie figlie una forma di mantenimento da parte della famiglia del marito. In tali contesti, il matrimonio combinato o forzato è percepito come un modo per assicurare (a sé stessi o ai propri figli) una relazione di supporto – soprattutto laddove manchi il sostegno delle istituzioni. In alcuni contesti, costringere la propria figlia ad entrare sotto la giurisdizione di un uomo adulto può essere un atto di tutela nei confronti della minore, alla quale viene data, seppur tramite un’imposizione, l’opportunità di migliorare le proprie condizioni di vita e di essere in qualche modo protetta dal marito. Tuttavia, tale protezione rischia di avere un alto costo in quanto può facilmente tradursi in forme di schiavitù domestica, di violenza sessuale, economica, psicologica, di restrizione della libertà di movimento.

Associazione 21 luglio Onlus | Novembre 2017 20 Questo reportage è tratto dalla ricerca Non ho l’età, realizzata con il sostegno di Open Society Foundations nell’ambito del progetto Italian Roma Rights Project 4

La teologia della liturgia (Joseph Ratzinger)