Giovane prete (dai Fioretti di Don Bosco)

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Sacerdote per sempre

Il 5 giugno 1841, nella cappella dell’arcivescovado di Torino, Giovanni Bosco è ordinato sacerdote dal suo arcivescovo, mons. Luigi Fransoni. È diventato don Bosco, per sempre.
Ecco come egli narra nelle Memorie gli esordi del suo sacerdozio.
« La mia prima Messa – scrive con semplicità – l’ho celebrata nella chiesa di san Francesco d’Assisi, assistito da don Giuseppe Cafasso, mio insigne benefattore e direttore. Mi aspettavano ansiosamente al mio paese (era la festa della SS. Trinità), dove da molti anni non si era avuta una prima Messa. Ma ho preferito celebrarla a Torino senza rumore, all’altare dell’Angelo Custode. Quello posso chiamarlo il più bel giorno della mia vita. Nel momento in cui si ricordano i defunti, ho ricordato i miei cari, i miei benefattori, specialmente don Calosso, che ho sempre considerato grande ».
Il giovedì seguente, festa del Corpus Domini (allora festa di precetto), don Bosco dice la Messa al suo paese. Le campane hanno suonato e squillato a lungo. Tutta la gente è ammucchiata nella grande chiesa. « Mi volevano bene – ricorderà don Bosco – e ognuno era contento insieme con me ».
Quella sera mamma Margherita trova un momento per parlargli da solo a solo, e gli dice: « Ora sei prete, sei più vicino a Gesù. Io non ho letto i tuoi libri, ma ricordati che cominciare a dir Messa vuol dire cominciare a soffrire. Non te ne accorgerai subito, ma a poco a poco vedrai che tua madre ti ha detto la verità. D’ora innanzi pensa soltanto alla salvezza delle anime, e non prenderti nessuna preoccupazione di me ».

Come san Filippo Neri

Pochi mesi dopo essere stato ordinato, don Bosco partì a piedi per Torino, onde seguire il corso di preparazione al ministero delle confessioni.
Quali fossero i suoi pensieri e le sue splendide fantasie quando, dal Colle di Superga, vide apparire la città di Torino, le espresse lui stesso nel tesser il panegirico di S. Filippo Neri nella città di Alba.
Quel giorno entrò in argomento in modo poetico: immaginò di trovarsi sopra uno dei colli di Roma, di aver la città distesa innanzi a sé, e di vedere un giovane il quale, stanco dal lungo cammino, si era arrestato, assorto in gravi pensieri, con lo sguardo fisso allo splendido panorama. Quindi proseguì: – Avviciniamoci ed interroghiamolo.
– Giovanotto, chi siete voi? Che cosa mirate con tanta ansietà?
– Io sono un povero forestiero; rimiro questa grande città, e un pensiero mi occupa la mente; ma temo che sia follia o temerità.
– Quale pensiero?
– Consacrarmi al bene di tante povere anime, di tanti poveri fanciulli che, per mancanza di istruzione religiosa, camminano per la strada della perdizione.
– Avete scienza?
– Ho fatto poche scuole, e non sono annoverato tra i dotti.
– Avete mezzi materiali?
– Niente!… non ho un tozzo di pane oltre quel che ogni giorno mi dà il mio padrone.
– Avete chiese… avete case?
– Non ho altro che un misero alloggio, con più misere suppellettili.
– Dunque, come volete, senza nome, senza scienza, senza sostanze e senza casa intraprendere una impresa così gigantesca?
– È vero, ed è appunto la mancanza di mezzi che mi tiene sospeso.
– Amate la Madonna?
– Oh, questo sì!… Tanto!
A questo punto, don Bosco sospese il dialogo, descrisse le sembianze di quel giovane, il lampo degli occhi, il suo sorriso, e proseguì ad interrogarlo.
– Come vi chiamate?
Qui don Bosco voleva rispondere: « Filippo Neri ». Ma dagli uditori si suscitò un bisbiglio, anzi un grido: Giovanni Bosco.
Soffocato il grido, ed acquetatosi il bisbiglio, continuò la predica, veramente bella e smagliante; ma poi, all’uscire di chiesa, fu un applauso generale e tutti gridavano, con gran festa: « Giovanni Bosco, Giovanni Bosco! ».

Astuzie sante

Fin da principio della permanenza di don Bosco a Torino si diffuse la fama della sua virtù, e non poche famiglie andavano a gara per stringere relazioni con lui.
Ora accadde che un giorno un’intera famiglia era venuta a fargli visita, avidissima di ascoltare la sua parola. Don Bosco, al vedere la poca modestia nel vestire della signora e delle figliole, e pur volendo toccarle al vivo, rivolse tosto il discorso alla più piccina dicendole: – Vorrei che tu mi dessi una spiegazione.
– Sì, sì, dica pure, reverendo – rispose la bambina fuori di sé per la contentezza.
– Dimmi, perché disprezzi così le tue braccine? – Io?!… non le disprezzo!
– Eppure, sembra che sia così!
– Oh, tutt’altro! – prese a dire la madre. – Se sapesse, debbo sgridarla per la sua vanità. Oltre a lavarle, le profuma con acque odorose.
– Appunto per questo – continuava il santo sempre rivolto alla ragazza – io ti dico che tu disprezzi le tue braccia.
– E perché?
– Perché, quando morrai, le tue braccia saranno gettate a bruciare nell’inferno.
– Ma io non faccio nulla di male! Io all’inferno non ci voglio andare!
– Eppure, sarà così… o per lo meno, al purgatorio, e chissà per quanto tempo!
– Dunque, questo avviso fa anche per me! – esclamò una delle più grandi arrossendo.
– Sì… e le fiamme saliranno dalle braccia al collo e lo bruceranno.
– Ho capito – concluse la mamma – ho capito! Tocca a me mettere rimedio, e lo farò!
Da quel giorno, molte altre volte quella famiglia fu a far visita a don Bosco, ma sempre con vestiti compitissimi.

Pillole di pane

Nel 1844, a Montafia d’Asti, cadeva ammalato di febbri ostinate un certo signor Turco, e nessuna prescrizione medica valeva a guarirlo.
La famiglia ricorse a don Bosco il quale, consigliata al malato la Confessione e la Comunione, gli consegnò una scatola di pillole da prendersi ogni giorno, in un dato numero, recitando tre Salve Regina alla Madonna. Prese le prime pillole, il malato, che effettivamente si era confessato e comunicato, guarì completamente. Tutti ne furono meravigliati. Il farmacista del paese volle fare l’analisi di quelle pillole miracolose, e non trovò altro che pane.
Ripeté l’analisi più accurata presso un altro farmacista, e insieme conclusero:
– È pane! Nient’altro che pane, non c’è dubbio! Allora il signor Turco si recò a Torino a trovare don Bosco per ringraziarlo; e gli narrò l’analisi delle pillole, ed il gran dire che se ne faceva in paese. Don Bosco ridendo rispose: – Sì, quello era pane, e le tre Salve Regina che voi avete recitato in stato di grazia furono il companatico prodigioso!

O la borsa o la vita

« Un prete è sempre prete – soleva dire don Bosco – e tale deve dimostrarsi in ogni circostanza ed in ogni sua parola. Un sacerdote deve sempre avere di mira la salvezza delle anime, e non deve mai permettere che chi si avvicina a lui, ne parta senza aver udito una buona parola ».
Alle parole corrispondevano i fatti.
In quei tempi, ossia nei tempi delle « Pillole di pane » di cui sopra, egli si portava spesso ai Becchi a trovare i suoi fratelli.
Una sera, andandosene solo per una strada di campagna, s’imbatté in uno sconosciuto, il quale gli intimò: – O la borsa o la vita!
Don Bosco si fermò di botto, lo fissò un istante negli occhi, e poi gli disse:
– Abbi pazienza!…
– Che pazienza!… o i denari, o vi uccido!
– Denari per te non ne ho. In quanto alla vita, me l’ha data Dio, ed egli solo me la può riprendere. Quantunque quell’individuo avesse il cappello sugli occhi, don Bosco riconobbe in lui Antonio Cortese, un giovane che aveva incontrato nelle carceri di Torino, dalle quali era uscito da pochi giorni per sua raccomandazione. Lo chiamò quindi per nome e continuò sottovoce: – Come! Tu, Antonio, fai questo brutto mestiere?! Così mantieni le promesse che mi hai fatte là a Torino? E disgraziato, che aveva riconosciuto don Bosco, prese a balbettare: – Oh! don Bosco, mi perdoni! Non l’avevo riconosciuto… le chiedo perdono!
– Non basta, mio caro Antonio; bisogna mutar vita. – Glielo prometto!
– Non basta ancora; bisogna incominciare subito, e confessarsi.
– Ebbene sì… mi confesserò! – Quando?
– Anche subito, se vuole… solo non sono preparato. – Ti preparerò io; ma tu prometti al Signore di farla finita per sempre con questa vitaccia.
– Sì, lo prometto!
Don Bosco, presolo per una mano, si ritirò sul margine della via, e lo fece inginocchiare.
Quel poveretto si confessò con tutti i segni di un vero pentimento.
E santo gli regalò una medaglia e quel poco denaro che aveva in tasca. E giorno seguente lo condusse a Torino, e gli procurò un impiego che disimpegnò onoratamente, divenendo un buon cristiano e virtuoso padre di famiglia.

Predicazione fruttuosa Nell’anno 1850, il papa Pio IX aveva indetto un Giubileo straordinario per riparare ai danni spirituali cagionati dalle ribellioni e guerre di quei tempi.
In Milano, però, nessuno osava intraprendere una qualsiasi predicazione, perché, dopo le famose « Cinque giornate », sembrava che la città sedesse su un vulcano ancora acceso, e la Polizia teneva l’occhio specialmente sul clero, temendo che dal pulpito facesse allusioni alla insurrezione appena domata.
In queste condizioni, don Bosco si presentò al Parroco di S. Simpliciano, dicendosi pronto a predicare il Giubileo in quella sua parrocchia.
Il Parroco tentennava, e lo mandò dall’Arcivescovo. Ma anche l’Arcivescovo era titubante; e solo quando vide che don Bosco era risoluto ed insisteva si limitò a dirgli: – Signor Abate, io non ho nulla in contrario; ma se vi accadranno disgrazie, io non c’entro! Sapete in che tempi ci troviamo… la vostra prudenza non sarà mai troppa! – Grazie, Eccellenza – rispose don Bosco. – Io predicherò come si predicava 500 anni fa. Mi dia la sua benedizione.
Incominciò le sue prediche sulla necessità della conversione, sul ritorno dei peccatori a Dio, sui novissimi, senza mai il più piccolo accenno alle vicende politiche.
La folla accorreva con curiosità ed ansietà sempre maggiori, e i frutti furono straordinari.
Dalla parrocchia di S. Simpliciano passò a Santa Maria Nuova, a San Carlo, e a Sant’Eustorgio, e contemporaneamente predicava anche a Monza dai Barnabiti.
Per questa coincidenza di predicazione s’ingenerò nel popolo la persuasione che don Bosco predicasse a Milano e a Monza nello stesso tempo.
Tale notizia volò a Torino, ove, al suo ritorno, tutti lo andavano interrogando, ed egli ridendo rispondeva: – Già, già, a Milano mi hanno tenuto per una masca (folletto).

Gesù in fuga

I moti del 1848 avevano acceso in tutti una tal febbre di novità, che pareva che i più avessero perduto il senno. Don Bosco ne era grandemente preoccupato per il timore non infondato di gravi mali alla Chiesa. Celebrando un giorno nell’Istituto del Buon Pastore, era all’Elevazione, quando una suora mandò all’improvviso un grido altissimo che turbò tutta la comunità.
Finita la Messa, don Bosco fece chiamare a sé quella suora, e le chiese: – Che cosa avete visto? – Gesù nell’Ostia!… – rispose la suora. – Gesù vivo in forma di bambino, tutto grondante sangue! – E ciò che vuol dire? – Non lo so.
– Ve lo dirò io: vuol dire grandissima persecuzione che si prepara contro la Chiesa. Tenetelo a mente e pregate. Quando don Bosco ritornò a celebrare la Messa colà, quelle buone suore lo interrogarono ancora sul come e perché di quell’apparizione; egli sorridendo si limitò a rispondere:
– Forse Gesù me l’avrebbe meglio spiegato, se quella suora, con quel grido, non l’avesse messo in fuga! « Avete una veste troppo sottile »
Da poche settimane si trovava a Torino, e già molti giovani si accalcavano intorno a lui, lo attendevano all’uscita, lo accompagnavano per via.
Una sera si incontrò col Canonico Cottolengo, il quale, fissatolo in viso, gli disse: – Voi mi avete la faccia da galantuomo; venite a lavorare con me nella Piccola Casa della Provvidenza: il lavoro non vi mancherà.
Don Bosco tenne quell’invito provvidenziale, e dopo pochi giorni si recò a Valdocco ove era l’Opera del Cottolengo.
Il Canonico lo accolse con amorevolezza, e gli fece visitare tutti i locali ove giacevano ammalati d’ogni genere: storpi, paralitici, ebeti, ulcerosi, invalidi; tutto insomma il rifiuto degli altri ospedali. Finita la visita, don Bosco si aspettava un nuovo invito di fermarsi a lavorare in quella casa; ma il Cottolengo, fissandolo di nuovo bene in viso, soggiunse: – Ben altro è il vostro campo! Una messe più vasta, una vita più movimentata vi attende!
E stringendo fra le sue dita le maniche della veste del giovane sacerdote, soggiunse: – Però, voi avete una veste di panno troppo sottile e leggero; procuratevene un’altra di panno molto più forte e più consistente, perché i giovani possano attaccarvisi senza strapparla. Verrà un tempo in cui vi sarà strappata da tanta gente! Don Bosco intravvide in quelle parole una vera profezia, una vera conferma dei suoi sogni, che ben presto presero ad avverarsi.
(dai Fioretti di Don Bosco)

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Il gesuita con il giubbotto rotto

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Padre Aldo: “Oggi è morto il nostro piccolo Victor, la nostra piccola ostia bianca”