Qual è la visione del matrimonio secondo la Chiesa Cattolica?
I
documenti del magistero della Chiesa, la teologia, il Catechismo della
Chiesa Cattolica e il Codice di diritto canonico descrivono il
matrimonio come un patto coniugale con cui un uomo e una donna
stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura
ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della
prole. Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità. Tra
due battezzati, poi, il patto coniugale è sacramento. Questa realtà
matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato
tra un uomo e una donna, giuridicamente abili. Il consenso è l’atto di
volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e
accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio. Il
patto coniugale, espresso con un valido consenso, è indissolubile.
Quando si tratta di un sacramento, cioè di un consenso valido espresso
tra due battezzati, nessuna autorità umana può sciogliere questo
matrimonio.
Esprime in modo chiaro questa realtà il Catechismo della
Chiesa Cattolica (n. 1640): «Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito
da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra
battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta
dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è
una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita
dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro
questa disposizione della sapienza divina».
Esiste e possiamo parlare di annullamento del matrimonio?
No,
non esiste l’annullamento del matrimonio. Infatti con il termine
“annullamento” si indica il togliere valore ed efficacia a un atto che
per se stesso possiede questo valore ed efficacia. In riferimento al
matrimonio, questo significherebbe che, di fronte a un consenso
matrimoniale valido, dal quale è sorta una realtà indissolubile, come il
matrimonio nel suo svolgersi, la Chiesa verrebbe meno al suo compito e
non rispetterebbe l’indissolubilità del matrimonio. Quello che
comunemente è chiamato “annullamento del matrimonio”, in realtà, è una
dichiarazione di nullità del matrimonio: la Chiesa dichiara che un
matrimonio non è valido. Non scioglie il matrimonio, ma si limita
semplicemente a constatare e a dichiarare che il consenso espresso da
uno dei due nubendi (o da entrambi), per motivi fondati e provati, non è
valido e quel legame non è mai sorto, era soltanto apparente.
La dichiarazione di nullità del matrimonio non intacca la proprietà dell’indissolubilità del matrimonio?
Certamente
no, anzi, rafforza la consapevolezza della Chiesa e il suo insegnamento
circa l’indissolubilità del matrimonio. Infatti il matrimonio celebrato
validamente è indissolubile, e questa affermazione conserva sempre il
suo valore e la sua importanza. Laddove, però, non ci sia consenso
valido, in quel caso non c’è neppure un valido matrimonio; manca la
realtà che deve essere indissolubile. Comprendiamo bene, allora, la
differenza esistente tra la dichiarazione di nullità del matrimonio e il
divorzio civile. Mentre infatti con la dichiarazione di nullità la
Chiesa dichiara, dopo un’accurata indagine, che il matrimonio non è mai
esistito validamente, perché gravemente viziato all’origine, con il
divorzio lo stato (la Chiesa non lo ammette) riconosce la volontà dei
coniugi di sciogliere il loro matrimonio. In altri termini la
dichiarazione di nullità non è un «divorzio cattolico», perché non
scioglie il matrimonio, ma soltanto riconosce il dato di fatto che un
matrimonio non è mai esistito validamente. Dichiarando la nullità dei
matrimoni fin dall’origine invalidi, la Chiesa adempie ad un dovere di
giustizia: se da un lato essa non può sciogliere ciò che Dio ha unito,
dall’altro però non può costringere a rimanere uniti coloro che, dopo
un’accurata indagine, risultino essere solo «apparentemente» sposati,
perché fin dall’origine esisteva un grave difetto nel loro matrimonio.
Quali sono gli effetti della dichiarazione di nullità del matrimonio?
L’effetto
principale della dichiarazione di nullità consiste nella possibilità,
che viene data generalmente alle parti, di essere libere di celebrare
validamente un matrimonio, qualora lo desiderino. In tale modo, le
persone che hanno iniziato una nuova relazione di tipo coniugale, senza
essere unite nel sacramento del matrimonio – anche nel caso in cui siano
tra di loro sposate civilmente –, hanno la possibilità di accedere ai
sacramenti della Confessione e della Eucaristia, e di essere padrini o
madrine nella celebrazione del sacramento del Battesimo e della
Confermazione.
Ci sono conseguenze per eventuali figli?
I
figli nati nel corso del primo matrimonio, dichiarato successivamente
nullo, non hanno conseguenze da questa decisione della Chiesa. Essi
vengono considerati, di fronte alla Chiesa, figli legittimi. Va anche
ricordato che nella Chiesa non c’è differenza tra figli nati
legittimamente all’interno del sacramento del matrimonio e figli nati al
di fuori di questo. La dichiarazione di nullità, non cancella la storia
di due persone e il loro vissuto. Anche se il loro matrimonio rimane
nullo, continua ad esistere la memoria, lieta e dolorosa, degli eventi
vissuti assieme, di quanto insieme si è fatto e/o poteva essere fatto.
Non si nega la relazione vissuta, con il carico umano ed emozionale che
questo comporta. Non si ricerca neppure la colpa morale, dell’uno o
dell’altro. Ci si propone, per amore della verità, di valutare se il
loro consenso matrimoniale sia stato valido oppure no.
Cosa deve fare per verificare la validità del proprio matrimonio?
Chi
desidera fare chiarezza sulla propria situazione matrimoniale
precedente, può chiedere informazioni al proprio parroco o alla curia
diocesana e sarà indirizzato ad un addetto per la consulenza chiamato
patrono stabile, che è messo a disposizione dal Tribunale o dalle
diocesi. Può rivolgersi anche ad un patrono di fiducia (avvocato)
abilitato ad esercitare presso il Tribunale ecclesiastico, cioè iscritto
nell’albo degli avvocati ecclesiastici per la propria regione. Assieme
al patrono, sia stabile che di fiducia, si analizza in profondità la
propria vicenda coniugale (soprattutto nel periodo precedente il
consenso matrimoniale). Emergendo motivi che danno fondatezza alla causa
di nullità matrimoniale, si presenta una domanda (“libello”) al
Tribunale Ecclesiastico. Una volta introdotto il libello, inizia il
cosiddetto “processo”, che non è volto alla ricerca di eventuali colpe
nell’andamento della relazione, ma cerca la verità della situazione
matrimoniale. Nel corso del processo viene data la possibilità ai due
coniugi di dire la loro versione dei fatti circa la vicenda del
fidanzamento e del matrimonio. Vengono interpellati anche dei testimoni
(di solito familiari e amici dei coniugi), i quali, con le loro
deposizioni, aiutano a fare maggiore chiarezza sulla vicenda che si è
chiamati ad esaminare. Naturalmente, vista l’importanza e la delicatezza
dell’argomento, si richiede da parte di tutti l’impegno di dire la
verità. Inoltre tutto quello che si apprende viene trattato con la
dovuta riservatezza, rispettando la privacy delle persone. Al termine di
questa raccolta delle prove, un “collegio” composto da tre giudici deve
decidere se la domanda di nullità di matrimonio è fondata oppure no.
Qualora si decida che il matrimonio è nullo, perché la causa si possa
considerare conclusa, non è più necessario che essa riceva la conferma
in appello da un altro collegio di tre giudici. La parte gravata che non
accetta la sentenza definitiva di primo grado però può sempre fare
appello al Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo, oppure rivolgersi
direttamente al Tribunale apostolico della Rota Romana che spesso viene
ancora chiamata “Sacra Rota”.
Quanto tempo è necessario per avere una dichiarazione di nullità?
Si
tratta di una questione complessa, in quanto ogni causa che viene
esaminata presenta le sue particolarità. Oggi il “processo ordinario”
dura circa un anno, contro i due anni di prima della riforma. Il
processo “più breve”, che si può celebrare solo a determinate e precise
condizioni e in cui il giudice che decide è il Vescovo della Diocesi
competente a norma del diritto innovato, presumibilmente dura circa due
mesi.
Tuttavia alcune cause ordinarie possono richiedere tempi più
lunghi, qualora ad esempio uno dei due coniugi non voglia intervenire
nel procedimento, oppure siano necessarie perizie psicologiche, oppure
la causa presenti delle situazioni complesse da esaminare e da
accertare, che richiedono tempi necessariamente più lunghi. L’impegno
comune a cui si tende, in ogni caso, è quello di coniugare sempre
insieme alla ricerca della giustizia anche la giusta celerità nel dare
una risposta alla domanda di nullità presentata.
È vero che solo i ricchi possono chiedere la nullità del matrimonio?
È
purtroppo diffusa la diceria che chiedere la nullità del matrimonio sia
qualcosa di possibile solo per persone ricche con forti disponibilità
economiche. Non c’è nulla di più falso! Infatti dal 1998 è in vigore una
normativa della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che disciplina
questa materia con norme comuni per tutta l’Italia. Il principio
fondamentale, a cui si ispirano le norme della CEI, è il seguente: la
dichiarazione di nullità del matrimonio è un aiuto pastorale, che
riguarda la vita cristiana dei fedeli. Pertanto, la Chiesa si preoccupa
che il contributo economico richiesto per le spese processuali e per
l’assistenza da parte di un patrono (“avvocato”) non allontani i fedeli,
che abbiano fondati motivi per avvalersene, da tale strumento,
riguardante la loro coscienza e la loro vita cristiana. Per chi si
trovasse in serie (e documentate) difficoltà economiche, sono previsti
sia la dispensa totale o parziale dalle spese processuali, sia la
possibilità dell’assistenza gratuita da parte del Patrono stabile del
Tribunale ecclesiastico o di un patrono d’ufficio incaricato dal
Tribunale stesso. Di conseguenza, oggi nessuno è privato della
possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità del matrimonio per
motivi economici. La conferma sta nelle molte coppie che hanno ottenuto
la sentenza di nullità del matrimonio usufruendo realmente di tale
forma di aiuto. Il costo che un fedele deve sostenere per una causa di
nullità riguarda due voci: il contributo richiesto dal Tribunale
ecclesiastico per le spese processuali e l’onorario per il patrono, cioè
l’esperto che lo assiste nell’introdurre la causa e nel corso dei
processo canonico.
Cosa chiede il Tribunale per i costi del processo?
Chi
promuove la causa (“attore”) deve versare al Tribunale ecclesiastico
all’inizio dei processo la somma di euro 525 quale contributo alle spese
che la Chiesa deve sostenere per il processo stesso, spese di molto
superiori (si aggirano sui 2000-3000 euro per ogni causa). Per venire
incontro alle necessità spirituali dei fedeli, la Chiesa italiana ha
deciso di coprire gli oneri delle cause di nullità matrimoniali con una
parte dell’otto per mille dell’Irpef, destinato dai contribuenti alla
Chiesa cattolica, limitandosi a chiedere un contributo molto contenuto a
chi presenta la domanda. In caso di comprovate e gravi difficoltà
economiche, è possibile sempre ottenere anche l’esenzione da tale
contributo.
Qual è l’onorario del patrono (avvocato) di fiducia?
I professionisti ammessi al patrocinio presso il Tribunale ecclesiastico (iscritti ad un particolare albo che è consultabile sul presente sito) sono tenuti a rispettare le tariffe stabilite dalla Conferenza episcopale italiana e precisate nell’impegnativa economica che patrono e assistito devono firmare contestualmente al conferimento dei mandato. I patroni non possono quindi presentare richieste diverse da quanto previsto. L’onorario dovuto al patrono di fiducia nominato dalla parte va da euro 1.575 a 2.992 (questa “forbice” è stata stabilita dai Vescovi delle diocesi d’Italia), a cui vanno aggiunti, su presentazione di regolare fattura, gli oneri di legge e fiscali, che si aggirano sul 22%. Tale somma comprende tutta l’attività di patrocinio: l’attività di consulenza preliminare, l’assistenza durante l’istruttoria ed eventuale presenza durante gli interrogatori, la redazione delle memorie difensive. Se la causa richiede una particolare attività di difesa da parte dei patrono, il Tribunale, determina in favore dei Patrono il versamento di un onorario maggiorato rispetto al minimo stabilito fino ad un massimo di euro 2.992.
Fonte: Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Piemontese
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