Tutto stava diventando insopportabile (Faith 17 anni)

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Foto di luxstorm da Pixabay

Mi chiamo Faith e ho 17 anni. Sono nata a Benin City nella zona universitaria, dove ho sempre vissuto. Mio padre si chiama N. e attualmente ha 72 anni e mia madre si chiama R. ed ha 55 anni. Mia madre è la terza moglie di N. I miei genitori, attualmente in pensione, sono stati entrambi impiegati delle Poste, ciò nonostante avevano problemi economici. Quando avevo 12 anni si sono lasciati e io ho vissuto con mia madre e i miei fratelli. Eravamo piuttosto poveri. A complicare le cose è arrivata la mia gravidanza. Infatti S., il mio compagno, era povero quanto me. Una conoscente di nome E. mi prospettò l’idea di emigrare, naturalmente all’insaputa di mia madre perché sapevo che sarebbe stata contraria.

E mi raccontò che aveva una sorella in Italia che aveva bisogno di una baby-sitter. Ai soldi ci avrebbe pensato lei, dandomi un prestito. Assolto il debito sarei stata libera di gestire la mia permanenza in Italia. Accettai la proposta, dicendo a mia madre che andavo a Lagos dai miei fratelli, così con E. ci recammo da un “pastore” che ci portò in riva ad un fiume. Qui iniziò una cerimonia: il pastore mi fece inginocchiare, accese delle candele ed enunciando preghiere al loa dell’acqua (chiamato “mami-water”, dalla stessa intervistata) versò sulla mia testa dell’acqua raccolta con un vaso dal fiume; giurai così davanti ai loa di obbedire a quanto la maman – che era presente alla cerimonia – mi consigliava di fare e di non disubbidirle mai. In quell’occasione lasciai alla donna e al “pastore” delle mie fotografie, una maglia che portavo con me e un sacchettino piccolo fatto con un pezzo di stoffa del mio vestito dove mi avevano detto di conservare una ciocca di capelli.

Era estate e il giorno dopo con una macchina, guidata da M., insieme ad un’altra ragazza, raggiungemmo la città di Cotonou e andammo da una signora che si faceva chiamare “mami”. Con lei, due settimane dopo, facendoci passare per due delle sue figlie, ci trasferimmo a Parigi e da qui in treno a Venezia Mestre. Era il 26 agosto. Alla stazione di Venezia incontrammo J. (un ragazzo nigeriano) e in taxi raggiungemmo la città di Conegliano e arrivammo da A. (la sorella di E.). A. senza mezze parole disse che il lavoro che avrei dovuto fare non era quello di baby-sitter ma di prostituita in strada. Avrei restituito il debito e avrei guadagnato qualcosa anche per me e la mia famiglia. Non ero sola, quindi non dovevo aver paura, ma c’erano altre ragazze della mia età a farmi compagnia.

Mi disse che ogni dieci giorni avrei dovevo darle 1.000 euro e quindi in tre anni avrei saldato il debito. Era il 15 settembre  quando ho cominciato a lavorare in strada. La ragazza che viveva con me si chiamava H. e mi portava con sé a lavorare. Mi ha insegnato a vestirmi e a trattare con i clienti. A. iniziò ad arrabbiarsi con me perché diceva che lavoravo poco. Tiravo su circa 700-800 euro alla settimana. Dopo un violento litigio mi disse che il debito era salito a 80.000 euro. Avevo iniziato a rifiutare dentro di me questa situazione e A. l’aveva capito,era una persona violenta e mi picchiava spesso. Una volta sono andata all’ospedale per le percosse ricevute.

Era l’autunno. Sono rimasta in ospedale qualche giorno e non ho raccontato a nessuno la verità. A. telefonava a sua sorella E. a Benin City per minacciare mia madre e mia sorella per costringermi a fare quello che voleva lei. Ma alle minacce non seguiva mai nulla. Ho capito dopo un po’ che erano solo minacce per continuare a sfruttarmi, mi minacciava per tenermi ancora con lei e quindi solo per farmi paura. Questo ha contribuito a farmi maturare ancor più il distacco da lei, così iniziai a non andare in strada. Lei mi minacciava e in me cresceva l’odio, poi telefonava a mia madre per farmi tornare sulla strada. Io resistevo ed ero disposta ormai a non lasciarmi più intimidire. Tutto stava diventando insopportabile, volevo finirla con questa storia brutale. Era l’agosto quando ho conosciuto una vicina di casa nigeriana. Presa confidenza con lei gli raccontai della mia esperienza e lei mi disse che era accaduto anche ad una sua cugina.

Questa si era rivolta ad una comunità di accoglienza che l’aveva prontamente aiutata. Così ho contattato la stessa comunità e subito dopo sono stata ricevuta da una suora a cui ho spiegato il mio problema. Con il mio fidanzato sono andata alla stazione e sono partita per Napoli, dove c’era ad attendermi una operatrice. I miei familiari non hanno più paura e io sono più serena. Ai conoscenti in Nigeria dicono che sono in Canada. L’esperienza sulla strada è durata circa tre anni.

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