Figli congelati… ma è etico?

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La relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 40 che regolamenta la procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia conferma la tendenza dell’anno precedente: Il numero di bambini nati attraverso la Pma è in aumento, ma solo con tecniche che comportano una maggiore manipolazione di gameti ed embrioni, cioè cicli di congelamento e scongelamento degli embrioni e fecondazione eterologa (con gameti diversi da quelli della coppia genitoriale).

Parlando di numeri: nel 2018 sono nati 14.139 bambini, pari al 3,2% del totale, dalle 77.509 coppie che hanno ricevuto trattamenti di Pma. L’anno precedente la percentuale era del 3%. Questo aumento è stato di entità limitata, ma è stato causato da una diminuzione dei nati con tecniche “a fresco” e da un aumento di quelli ottenuti mediante congelamento e eterologa. In particolare, per quanto riguarda la fecondazione in vitro omologa (con gameti appartenenti alla coppia dei genitori), il 41% dei bambini nati “proviene dal freddo”, ovvero è il risultato di trasferimenti di embrioni scongelati. La percentuale era del 34% nel 2017. Inoltre, rispetto ai neonati ottenuti con tutte le tecniche di Pma (sia con il concepimento in vitro che con l’inseminazione, ovvero con la formazione dell’embrione nel corpo della donna), il 14% è stato concepito mediante eterologa nel 2018 (12% nel 2017).

Il congelamento degli embrioni è comunemente praticato con il “congelamento di tutti”, dove “tutti” si riferisce alla strategia di fecondare il numero massimo di ovuli ottenuti in un ciclo di trattamento, trasferire il numero minimo di embrioni (preferibilmente uno) nell’utero e congelare il resto per eventuali trasferimenti successivi. Sebbene nel rapporto si parli di “selezione terapeutica”, non si tratta di un trattamento, ma di una strategia adottata dopo che una sentenza della Corte Costituzionale del 2009 ha abolito il requisito della Legge 40 di trasferire un embrione alla volta (massimo tre). Si trattava di una mossa per ridurre al minimo l’enorme e insolubile problema degli embrioni umani crioconservati. Questo perché la tecnologia della PMA comporta intrinsecamente la formazione di un numero di embrioni superiore a quello necessario per far nascere il bambino desiderato (i cosiddetti embrioni soprannumerari): ci sono centinaia di migliaia, se non milioni, di vite umane che giacciono nell’azoto liquido in tutto il mondo. Non è possibile fornire una cifra affidabile. Questo problema è stato di fatto minimizzato dalla Legge 40, che ha incentivato la tecnica alternativa del congelamento degli ovociti al posto di quello degli embrioni, e questa tecnica è oggi sempre meno utilizzata. È un problema che non può essere risolto. Anche se si permettesse di dare questi embrioni a coppie diverse da quella che li ha creati, sarebbe impossibile esaurirne il numero.

In Italia nel 2018 sono stati prodotti 98.673 embrioni, il 8% in meno rispetto all’anno precedente, mentre ne sono stati crioconservati 43.946, il 2% in più. Sebbene le gravidanze ottenute da embrioni scongelati sembrino avere un tasso di successo maggiore rispetto a quelle ottenute con tecniche a fresco, non è noto quali siano gli effetti del congelamento e dello scongelamento embrionale sulla salute dei bambini concepiti mediante Pma. È soprattutto alle donne che si ricorre per la eterologa: ci sono 5.160 coppie in cui si cercano ovociti e 1.187 coppie in cui si richiedono gameti maschili. L’età media delle donne che si sottopongono alla Pma è di 36,7 anni, ma aumenta a 41,6 anni quando si tratta di eterologa con ovociti donati, mentre è più bassa, ovvero 34,8 anni, quando il seme proviene da un donatore esterno alla coppia.

Un dato coerente con l’ipotesi che le donne che ricorrono a questa tecnica lo facciano per infertilità fisiologica, dovuta cioè all’età, piuttosto che a situazioni patologiche. Dei nati da eterologa 118 sono quelli da “doppia donazione”, cioè dove l’intero patrimonio genetico del nato è estraneo alla coppia di genitori (104 l’anno prima).

Molto significativa la parte della relazione sulle attività di import-export di gameti ed embrioni. La fecondazione eterologa porta infatti sempre con sé una sorta di “delocalizzazione” delle attività dei centri di Pma che la offrono, per via della necessità di procurarsi i gameti da utilizzare, tanto più disponibili quanto più i “donatori” vengono pagati: un fenomeno particolarmente evidente nel caso di “donatrici”, visti i pesanti trattamenti a cui è necessario sottoporsi per produrre ovociti. È più facile quindi procurarsi gameti dove le “donatrici” vengono pagate, spesso in modo surrettizio mediante generosi “rimborsi”.

In Italia il 97% dei gameti maschili proviene da Spagna, Danimarca e Svizzera, mentre il 92% degli ovociti viene solo dalla Spagna, e il resto quasi esclusivamente dalla Grecia. Dalla relazione è chiaro un trend di aumento dell’import-export in generale, con un +40% per quello degli ovociti, rispetto all’anno precedente: 9.410 i contenitori importati, in ognuno dei quali si contano mediamente sei ovociti; sono 3.232 i contenitori di liquido seminale (+ 5,5%).

L’importazione dei 3.060 contenitori di embrioni corrisponde alla fecondazione eterologa fatta mandando in un centro estero gli spermatozoi, facendo fecondazioni su ovociti freschi all’estero, e importando gli embrioni (congelati) così formati. Interessante l’anomalia dell’export di una quantità importante di ovociti, principalmente verso il Brasile: 288 contenitori che sono “transitati” in Italia, provenienti da Centri spagnoli e diretti soprattutto in Sudamerica.

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