Carissimo padre Aldo, «la ripartenza è sempre una gratitudine». Questa frase di don Giussani descrive meglio di quanto potrei fare io l’esperienza vissuta con te in Paraguay nel mese appena trascorso. Sono arrivata da te prostrata da un periodo molto doloroso, con una grande ferita nel cuore. Sono venuta da te senza conoscerti perché nelle tue lettere e nelle tue testimonianze avevo sempre trovato un uomo che questa ferita l’aveva provata sulla sua pelle e che la portava con sé, ancora sanguinante, ma che nello stesso tempo era pieno di speranza. Ti ho cercato e ho chiesto di poter stare con te, condividere per un po’ la tua vita perché desideravo vedere qualcuno che portava il suo limite come un tesoro e non come un fardello da cui liberarsi. Ho trovato molto di più. Ho trovato un uomo che dicendo di sì a Cristo e accettando fino in fondo la sfida di un amico ha permesso al Mistero di fare con lui grandi cose. Ti ho visto piegarti sui tuoi malati, sui bambini rifiutati, sui vecchi abbandonati, su chiunque ti chiedesse aiuto con un amore e una dedizione senza condizioni (sempre considerandoti un “somaro”). In te non si vede separazione tra l’amore ai poveri uomini e l’amore a Cristo. Quando dici “Cristo” non è una parola o una bella immagine, ma coincide con i corpi piagati o violati dei tuoi poveri, che tu baci e curi con infinita tenerezza. Quante volte negli ultimi mesi mi ero sentita ripetere che “il problema”, ciò che rendeva la mia vita così faticosa, era il mio personale rapporto con Cristo, che dovevo ritrovare il rapporto con Lui. Ma in questa ricerca molti mi hanno lasciato sola.
Anche tu mi hai detto che in fondo “il problema” della vita è questo, ma insieme a questa frase, che può diventare senza senso e addirittura insopportabile, tu mi hai detto che mi avresti accompagnato in questa lotta, che mi sei amico, che sei con me. Il dolore più grande della vita (come si può vedere guardando gli ammalati moribondi della tua clinica) non è la malattia, il tradimento, il rinnegamento, ma la solitudine! In te ho trovato l’amico che non si sostituisce alla mia fatica, al mio lavoro personale, alla mia esperienza, ma che porta con me tutto! Questo mi ha riempito il cuore di commozione e gratitudine, che sole possono permettere una ripartenza. La ferita che era in me non si è rimarginata – anzi tu mi hai augurato che non si chiuda mai – ma ha trovato un senso. Non so cosa accadrà ora, anzi il futuro mi fa un po’ paura e i fantasmi e gli spettri del passato si ripresentano in tutto il loro inquietante aspetto, ma ora so che non sono più sola.
Lettera firmata
Pubblico questa lettera solo per sottolineare l’aspetto pedagogicamente più importante della vita e che questa amica ha riassunto nella frase «La ripartenza è sempre una gratitudine». Quando guardo la mia vita e mi fermo a contemplare ciò che il Signore ha fatto e fa della mia persona non posso far altro che commuovermi pensando a quell’abbraccio di don Giussani, in quel 25 marzo 1989, quando, ricevendomi nel suo studio in via Martinengo mentre piangevo come un bambino per la ferita che portavo nel cuore mi abbracciò dicendomi: «Che bello! Che bello quello che stai vivendo, adesso finalmente comincerai ad assaporare cosa significhi essere un uomo!». A partire da quell’abbraccio la mia vita cambiò. Non perché mi curò la ferita o mi risolse il problema o mi diede la ricetta per uscire dal dramma, ma perché con quell’abbraccio, con quello sguardo pieno di gratuità mi diede una speranza, una possibilità positiva dentro il dolore che stavo vivendo.
Da quel giorno sono passati 22 anni e, nonostante ciò, ogni mattina quando mi alzo mi inginocchio e mentre ripeto «Io sono Tu che mi fai» sento ancora vibrare quella commozione che continua ad accompagnarmi tutti i giorni. Ripartire da una gratitudine è essenziale affinché la realtà sia positiva, anche quando ti svegli la mattina di malumore o nervoso per una notte di insonnia. Ripartire da una gratitudine è riconoscere già dall’alba la presenza del Mistero che mi fa. Questo Mistero non può essere un’idea, perché se fosse così la vita rimarrebbe schiacciata, anestetizzata. È un volto familiare, un volto che entrò ed entra ogni giorno all’alba nella vita, attraendola con il suo sguardo brillante, pieno di luce. Da quel giorno, da quando mi alzo, il volto e lo sguardo dei don Giussani continuano ad accompagnarmi.
La coscienza di ogni giorno
Per questo non posso non riconoscere già nel primo istante che Io sono un Tu, quel Tu che prima di formarmi nel ventre di mia madre pronunciò il mio nome. Senza questa coscienza come potrei iniziare il giorno cercando i miei bambini per portarli a scuola, andare in clinica e con il Santissimo Sacramento nelle mani avvicinarmi ad ogni ammalato, mettermi in ginocchio e baciarlo? Non sarebbe possibile abbracciarli, perché senza la coscienza del Mistero non potrei neanche distinguere un uomo da una cosa. Questa memoria non è un ricordo di una data, ma il proseguimento oggi di quella data nel volto degli amici che, continuando quell’abbraccio, mi permettono di vivere intensamente la relazione con la realtà.
Seguire don Carrón, cercare Marcos e Cleuza in Brasile, condividere la vita con padre Paolino è il riaccadere di quel fatto, è ciò che mi permette di ripartire tutte le mattine dalla gratuità, cioè da un’esperienza nella quale il mio io è continuamente davanti al Mistero. A cosa serve che uno mi dica che il problema siiamo io e Cristo? Non mi serve a niente, perché se la relazione tra me e Cristo non acquisisce il volto di una persona, di un amico, di una compagnia, non muove la mia affettività e mi lascia paralizzato. È solamente dentro l’esperienza di un grande amore che l’io si risveglia, cammina, crea, vive con passione il reale.
Ricominciare da una gratitudine
«Il Verbo si è fatto carne», cioè si è fatto compagnia, amicizia. Quindi è chiaro che il problema è sempre “io e Cristo”, ma un io abbracciato dalla compagnia del Mistero che si è fatto carne ora. Il cambiamento che sperimento ogni giorno non è una relazione astratta con Cristo, ma una relazione nella quale Cristo ha il volto di persone, di cui ripeto i nomi, come un bambino che non si stanca mai di ripetere “mamma, mamma”. Don Carrón, Marcos e Cleuza, Paolino. Questi nomi, questi amici non mi sostituiscono in niente, neanche nel prendere la scopa per pulire la mia camera, ma mi provocano continuamente a guardare negli occhi Cristo. Guardare negli occhi Cristo mi permette di afferrare la scopa con gioia o guardarmi allo specchio dopo una notte insonne con ironia, senza maledire il tempo che quando uno non dorme diventa insopportabile. Don Giussani quel giorno, dopo avermi abbracciato come Cristo abbracciò Zaccheo, non mi lasciò solo dicendomi il mio problema era il mio rapporto con Cristo, ma mi portò con sé. In questa maniera sperimentai cosa significa realmente che il problema dentro qualsiasi circostanza è “io e Cristo”. Dio si è fatto compagnia all’uomo, perché l’uomo per sua natura è relazione con il Mistero che lo crea in ogni momento. Solamente se l’uomo vive la bellezza di questo rapporto con il Mistero nell’avventura della grande amicizia è capace di abbracciare tutti e ciascuno in particolare, come Cristo che viveva una grande compassione per la moltitudine e arrivava fino a singhiozzare per l’amico Lazzaro appena morto. Ricominciare da una gratitudine significa dire «Tu o Cristo», riconoscerlo dentro tutte le circostanze, adorarlo in ogni istante nelle diverse forme nelle quali si rende viva e manifesta la Sua presenza.
La catena del Lagorai
In questi giorni ho avuto momenti difficili, di oscurità, di malessere, in cui ho provato una grande fatica nel far tutto. Nonostante ciò, per pura grazia della Madonna che tanto amo, non ho mai dubitato della Sua dolce compagnia più presente a me che io a me stesso. Quell’abbraccio diventava un giudizio e, per questo, direi un fatto ontologico, cioè un fatto che non dipende da ciò che posso sentire o non sentire. Esiste, è lì e basta. Esiste, è lì come la bellezza piena di fascino delle montagne dove sono nato e in cui sono potuto tornare quest’estate. Ricordo che un giorno la catena del Lagorai era avvolta dalla nuvole ed era invisibile ai miei occhi, ma la certezza che era lì mi permetteva di guardarla attraverso le nuvole, perché la sua forma era parte di me. Così è il rapporto con Cristo, così è il mio rapporto con Cristo. Non è una questione di “lo sento o no lo sento”, è come diceva san Paolo: «Per me vivere è Cristo». Per questo quando parlo a una persona in difficoltà, e le dico che il problema è il suo rapporto con Cristo, voglio comunicarle questa certezza che in quel momento si rende evidente, presente, attraverso la debolezza della mia carne, del mio volto, del mio sguardo. . Questa posizione illumina, rende umana la provocazione: «Il problema sei tu con Cristo». Dio ti ama tanto che si è fatto e continua a farsi compagnia all’uomo, a te che mi stai leggendo e che – forse – stai vivendo un momento difficile che nessuno vede e in cui non trovi nemmeno la forza di chiedere aiuto. Questa compagnia è presente. Per vederlo è necessario mendicarlo, chiederlo. Quando qualcuno mi chiede perché ho avuto al grazia di essere abbracciato da don Giussani, io gli rispondo: «Tanto più grande è il grido dell’uomo quanto più Dio risponde sempre mettendoti di fianco uomini grandi; mentre tanto più piccolo è il grido dell’uomo, quanto più piccoli sono gli amici che incontra».
Aldo Trento – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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