Padre Aldo Trento racconta di Gabriel, “figlio” ribelle

Cari amici, voglio condividere con voi l’esperienza del mio convivere quotidiano con Gabriel, 15 anni, Fortunato di 78 e Pablo, un giovane universitario che studia medicina.
Gabriel è un adolescente che non ha mai conosciuto suo padre e sua madre. È arrivato nella nostra struttura di accoglienza, la “casetta di Betlemme”, quando aveva da poco compiuto 8 anni. Fino a quel momento era vissuto in un orfanotrofio, vicino alla prigione femminile denominata “Il Buon Pastore”. Inizialmente mostrava un’aggressività impressionante. Una parola di troppo e diventava subito violento, fino a perdere totalmente la testa. I suoi occhi ti fulminavano e le sue braccia acquistavano una forza terribile. Spesso non sono riuscito a fermarlo se non per pochi minuti. Scappava, si rifugiava sui tetti, si arrampicava sugli alberi. Lanciava sassi contro le persone che vedeva. Molte volte è fuggito dalla “casetta”. Non mi poteva vedere, manifestava un odio e una repulsione inspiegabili verso di me, tanto che a un certo punto è stato evidente che doveva andarsene. Ma come? E dove poteva andare?

La Provvidenza è venuta in nostro aiuto, perché per me si trattava sempre di un figlio mio. Modesta, la cuoca della clinica, decise di portarlo a casa sua per farlo stare in compagnia di suo figlio che aveva la stessa età. Per qualche mese tutto sembrava andare bene ma poi ha iniziato a creare fastidi e, dopo averne combinate di tutti i colori, è scappato. Dopo alcuni mesi è stato ritrovato mentre dormiva in una casetta in costruzione, senza tetto e mangiando quello che gli dava la gente.

L’unico posto che non ha mai lasciato è stata la scuola, la nostra scuola. Faceva disperare le maestre ma era molto intelligente e i suoi voti sono sempre stati alti. Un giorno, all’inizio del nuovo anno scolastico, nel febbraio del 2013, mi è venuto a cercare. Mi ha guardato con un sorriso (non l’avevo mai visto sorridere) e mi ha detto: «Padre Aldo, voglio venire a vivere con te». Sono rimasto sbalordito, ma vedendo in queste sue parole la richiesta di Gesù gli ho subito risposto: «Sì, figlio mio». È andato a prendere le sue poche cose, le ha messe in uno zaino ed è venuto a casa mia.

L’ho messo in una stanza, dove già c’era un mendicante, don Fortunato, di 78 anni. Con l’aiuto degli amici gli abbiamo comperato tutto quello di cui aveva bisogno. Da quel giorno non solo non ha mai più pensato di fuggire ma è completamente cambiato il suo stile di vita. Abbracciandolo gli ho detto: «Gabriel, qui sei libero, come ti ho sempre detto, fin da quando da piccolo sei arrivato nella “casetta”. Potrai andartene quando lo vorrai. Ma, se rimani, ti chiedo due cose: primo, di essere responsabile dei tuoi doveri (pulizia, scuola, compiti, eccetera) e, secondo, di chiedermi quello che ti serve e dirmi dove vai.

Sono passati molti mesi e oggi Gabriel è veramente Gabriel. Non l’ho mai portato né da uno psicologo né da uno psichiatra, come si usa anche in Paraguay. Mai uno psicofarmaco nelle sue crisi isteriche. L’unico farmaco: la sua libertà e la certezza che quando lo avesse voluto sarebbe potuto ritornare sempre. Tutti siamo sorpresi da questo cambiamento radicale. Mangia con me, guarda la televisione un’ora al giorno, condivide con me quello che vive. È un ribelle trasparente. Quando sono tornato dall’Italia ha messo sulla porta un cartello: “Benvenuto a casa tua, Padre.”

«Ora anche io ho un padre»
Parla di questa casa come della “sua casa”. Gli piace il football, vuole essere un grande giocatore; per questo l’ho iscritto a una scuola ufficiale di football. Prepara la tavola e ha un grande rispetto per don Fortunato. È molto affezionato alle sue compagne della casetta di Chiquitunga che, dato che sono adolescenti, si innamorano facilmente di lui a causa della sua forte personalità e arrivano persino a litigare tra di loro. Quando alcuni suoi compagni di scuola le prendono in giro lui interviene, anche pesantemente, per difenderle.

Una sera mentre cenavamo insieme gli ho chiesto perché per tanti anni si fosse comportato con tanta violenza e lui mi ha risposto: «Quando stavo nella casa dei bimbi vicino alla prigione femminile, un compagno mi ha detto: io ho il papà e tu no. Questa frase ha risvegliato in me una violenza che mi ha sempre accompagnato, fino a febbraio, quando sono venuto a vivere con te». In quel momento ho percepito il suo dramma dovuto alla mancanza di un padre, di una figura adulta con la quale confrontarsi. Inoltre, in tutte le case in cui aveva vissuto, l’unica figura adulta era quella di una donna.

Sono già passati otto mesi da quando è arrivato a casa mia e ogni giorno è pieno di sorprese. Per esempio una notte sono ritornato a casa dopo l’incontro con la mia fraternità e l’ho trovato alle 22 che lavava le posate e le pentole usate per la cena. L’ho ringraziato e mi sono seduto vicino a lui. Quando ha finito il suo lavoro si è seduto al mio fianco e mi ha chiesto: «Padre, perché in questi giorni non ho voglia di pregare? Inoltre ho paura che mi stia prendendo una depressione perché ci sono momenti in cui sono molto triste… cosa significa?». Ho approfittato del momento per cercare di capire insieme queste sue preoccupazioni e il dialogo è durato a lungo. Alla fine è andato sereno a dormire.

Durante la catechesi con tutti i docenti della scuola un insegnante mi ha detto: «Padre, Gabriel è un’altra persona da quando vive con te, con don Fortunato e Pablo. È sincero. Se lascio il mio borsellino sulla scrivania non gli passa neanche per la testa l’idea di rubarlo».

Una notte Pablo, l’universitario che vive con noi, stava lavando i piatti e Gabriel al suo fianco li asciugava. Una volta finito Pablo ha proposto di recitare il Rosario ma Gabriel ha risposto che non ne aveva voglia e se n’è andato a dormire. Poco dopo Pablo, con grande sorpresa, sbirciando dalla porta socchiusa, ha sentito Gabriel che pregava da solo a voce alta.

Un calciatore di talento
I risultati scolastici di questo secondo semestre sono stati molto buoni e ora si sta preparando con impegno per gli esami finali. La sua passione è il calcio e infatti l’ho iscritto a una scuola che gli permetta di sviluppare le sue doti: è un giocoliere della palla, un potenziale campioncino.
Nutre un affetto speciale per i suoi amici delle casette di Chiquitunga e di Betlemme. Un giorno mi ha detto: «Vedi, Padre, io mi sento come il loro paladino, perché a volte ci sono compagni che vengono presi in giro perché non hanno famiglia o le compagne perché sono state violate». E ancora: «Padre, mi piace una ragazza della casetta di Chiquitunga, che ha la mia età. Si chiama Nina. Ho parlato con la mia insegnante che è molto felice di questa cosa!».
Un giorno era molto nervoso e voleva spaccare la faccia a un compagno che lo aveva preso in giro dandogli del gay. Mi ha spiegato: «Padre, ti giuro che se non fosse stato per il professore che, rendendosi conto di quello che stava per succedere, si è avvicinato dicendomi: “Gabriel, anche Gesù è stato offeso ma ha perdonato”, gli avrei veramente spaccato la faccia. Ma è bastato questo richiamo del professore per farmi tacere e rimanere seduto al mio posto».

Convivere per vivere. È la lezione che questo figlio, una volta “della strada”, mi sta insegnando. Non si vive con citazioni, richiami o parlando nell’ufficio degli “esperti” dell’esistenza!

Questo pomeriggio Gabriel mi ha consegnato il suo certificato di nascita. Me lo ha dato guardandomi con il volto pieno di dolore. È triste leggerlo, mettersi al suo posto. «Animo, Gabriel, ora sei con me e Dio è tuo Padre e la Vergine la tua mamma».

tempi-testata-h

Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

Per abbonarsi : Abbonamento con carta di credito – Tempi

children-1149671_1280

Bimbi in strada (progetto concluso)

europe-3483539_1280

Per la nuova evangelizzazione dell’ Europa (Giovanni Paolo II)