La prostituzione minorile nigeriana in Italia

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Il numero delle donne nigeriane che ha attraversato il Mediterraneo dalla Libia verso l’Italia negli ultimi anni è molto alto; l’attraversamento del Mar Mediterraneo è stato il corridoio principale di transito adottato dai trafficanti per condurre le minori in Europa. Secondo l’OIM circa l’80% delle donne nigeriane registrate ai punti di sbarco in Sicilia è stata vittima di tratta, continuerà a vivere in contesti di marginalità e sarà indotta alla prostituzione forzata in Italia e in altri paesi d’Europa. Vi sono stati casi di ragazze minorenni di età compresa tra i 14 e 17 anni. Arrivano nel nostro Paese con debiti enormi da restituire ai trafficanti: tali debiti oggi oscillano tra 35 mila e 60 mila euro. Dai racconti di queste giovanissime emergono le principali ragioni della partenza: da un lato le difficili condizioni economiche in cui versano le famiglie d’appartenenza delle vittime, dall’altra le allettanti promesse di successo e guadagno ben superiori al reddito percepito nel paese d’origine (stipendio base 40-60 euro al mese).

Lo spostamento dei minori dalla Nigeria verso i Paesi del Nord Europa, con passaggio obbligato in Italia, si è fatto consistente in seguito al processo di urbanizzazione che ha interessato l’intera area Sud della Nigeria.

Per avere un’idea delle trasformazioni avvenute all’interno delle confederazioni degli stati Sud della Nigeria, è opportuno riportare alcuni dati. Nei primi anni ‘90 il territorio di Benin City aveva circa 40.000-50.000 abitanti; a metà 2000 se ne contano circa 400.000-500.000 per passare, nel 2015, a circa 700.000-800.000. Un’urbanizzazione così repentina produce inevitabilmente problemi di natura sociale soprattutto in assenza di politiche di adeguamento strutturali. Basta considerare che circa il 70% della popolazione nigeriana non ha accesso a servizi elementari quali acqua, elettricità, sanità di base ed istruzione; lì dove sanità ed istituzione sono previste i costi sono troppo elevati pertanto l’accesso ai servizi è proibitivo per gran parte della popolazione. Una tale situazione produce all’interno del sistema statale un’enorme esclusione sociale finendo per accrescere le disuguaglianze.

Se tra le prime donne arrivate sul territorio italiano si registrava la presenza di molti soggetti provenienti da grandi centri urbani, alla fine del secolo scorso la provenienza è diventa prevalentemente rurale; anche l’età si abbassata notevolmente fino all’attuale reclutamento di ragazze anche minorenni.

Il reclutamento di ragazze sempre più giovani è riconducibile a diverse trasformazioni sociali. Dal rapporto UNICRI emergono i seguenti fattori: si è ridotto il bacino potenziale di reclutamento di donne adulte propense all’espatrio in modo inconsapevole nelle aree urbane e di conseguenza è aumentato il reclutamento delle minorenni sempre più propense a credere alle false promesse delle madame. Il reclutamento si è esteso soprattutto nei villaggi rurali di seconda cerchia; è proprio in queste aree marginali che le “mamam” possono più facilmente intercettare le potenziali vittime a causa delle peggiori condizioni socio-economiche che caratterizzano tali aree. Le sponsor, infatti, avranno più influenza sulle famiglie povere, le quali orienteranno con maggior facilità le figlie a quella che può essere definita come l’emigrazione mascherata. Sono i minori i soggetti più facilmente suggestionabili soprattutto se viene promesso loro il successo nel mondo della moda, dello spettacolo o un lavoro ben retribuito (UNICRI, 2010, p. 28). Generalmente le ragazze, spesso, raggiunti i sedici anni vengono spinte a partire o decidono di intraprendere i lunghi viaggi spontaneamente; ci troviamo davanti ad una educazione all’emigrazione necessaria al miglioramento delle condizioni di vita della famiglia. Certamente le ragioni della partenza possono essere il risultato di scelte familiari; in passato erano le stesse famiglie a stimolare e organizzare il viaggio o addirittura in alcuni casi a vendere le figlie ai trafficanti. Al contrario oggi il bisogno di partire sembra radicarsi, sempre più, nell’esigenza di un’emancipazione personale e nella volontà di perseguire l’irraggiungibile desiderio di benessere dell’uomo bianco. Così la destinazione privilegiata per queste donne diventa l’Europa e in modo particolare l’Italia, la Svizzera, la Svezia e la Germania.

Una serie di trasformazioni in seno alla tratta si riscontrano non solo nelle motivazioni che inducono le ragazze alla partenza, ma anche in riferimento alle modalità organizzative adottate dai carnefici. Tratta e asilo oggi sono maggiormente connesse tra loro. Gli sfruttatori hanno da sempre incoraggiato le vittime a fare domanda d’asilo; in questo modo le ragazze non sarebbero state esposte al rischio di espulsione e una volta regolarizzate avrebbero potuto tranquillamente esercitare la prostituzione. Ma oggi sembra che le organizzazioni criminali abbiano compreso quanto sia ancora più vantaggioso sfruttare le strutture di accoglienza. Sfruttando i servizi offerti dalle strutture d’accoglienza il carnefice non dovrà occuparsi del mantenimento della vittima e l’onere economico di quest’ultima sarà responsabilità della struttura stessa che accoglierà la vittima garantendo vitto e alloggio.

Se in passato la vittima veniva individuata in Nigeria e poi ricontatta dalla madame una volta arrivata in Italia, oggi il rischio di finire nelle reti degli sfruttatori una volta giunti nel paese di destinazione è molto alto. A questo si aggiungono le non poche difficoltà che le ragazze incontrano nell’inserirsi nel un nuovo tessuto urbano: ad esempio non conoscono la lingua e sono esposte ad una serie di pregiudizi; in tali contesti anche una cosa semplice come può essere la ricerca di un’abitazione diventa estremamente difficile.

Le ragazze finiscono, così, per insediarsi in aree urbane marginalizzate e rese occulte: strutture occupate come l’Ex Moi a Torino (esempi di cattiva edilizia) oppure costipate abitazioni di connazionali che diventano alloggi provvisori delle vittime. Il numero delle giovanissime che si prostituisce sulle nostre strade è difficilmente quantificabile in termini statistici. La situazione viene resa più complessa, poi, dai frequenti e veloci spostamenti che rendono le minori difficilmente agganciabili. A questo si unisce il caso dei minori migranti in transito in Italia perché la meta finale del progetto migratorio è costituita da altri paesi Europei. Inoltre quando parliamo di minori il turnover sul territorio nazionale è molto frequente: le ragazze infatti vengono spostate dai loro sfruttatori in diversi luoghi sia per evitare il controllo della polizia sia per evitare la creazione di legami con i clienti o con altre persone nella zona. A ciò si aggiunge un’altra tendenza diffusa: molte ragazze vivono in alcune città ma finiscono per prostituirsi in territori distanti rispetto all’effettivo domicilio; questo comporta l’ulteriore sradicamento e induce ad un sempre maggiore isolamento della vittima.

Una volta arrivate a destinazione le ragazze vengono istruite sulla storia da raccontare ma anche sull’età da dichiarare, proprio al momento del contatto con i primi operatori. Quasi sempre all’arrivo in Italia le ragazze, pur se minorenni, si dichiarano maggiorenni al fine di evitare di rientrare in un programma di protezione per minori che renderebbe più complesso il riaggancio delle vittime da parte dei trafficanti stessi (questo accade soprattutto per i minori che arrivano via mare e per quelli che arrivano sprovvisti di documenti). La finzione continuerà anche una volta che le ragazze saranno indotte alla vita di strada per paura di segnalazioni che porterebbero ad una eventuale loro presa in carico. Davanti a ragazze ben curate, eccessivamente truccate e sistemate diventa molto difficile stabilire quella che è l’effettiva età.

Oggi le ragazze provengono, prevalentemente, dalla città di Benin City nell’Edo State e da Warri e Agbor nel Delta State; in casi isolati si è registrata la presenza di ragazze provenienti dallo Stato di Akwa Ibon (con capitale Uyo) e dallo stato di Enugu (con capitale Calabar). Ad esempio, nel territorio di Torino, l’appartenenza etnica prevalente è quella Bini e Esan, per le ragazze provenienti da Benin City, mentre per le ragazze provenienti dalla citta di Warry i maggiori gruppi etnici di appartenenza sono quelli Igbo, Urhobo e Yoruba. C’è poi chi asserisce di venire da Lagos che è tappa obbligata per tutte le donne che intendono intraprendere il viaggio.

I gruppi etnici Bini e Esan, pur se minoritari nel territorio di Benin City, rappresentano i due gruppi etnici prevalenti sul territorio di Torino. I gruppi Igbo e Urhobo, invece, sono maggioritari tra le ragazze provenienti dal territorio del Delta State. Le ragazze Yoruba provengono prevalentemente da Lagos e da tutta l’area circostante.

estratto dalla tesi di laurea di Pecoraro Federica “Essere ‘omomo’, essere ‘edede’. Giovani ragazze nigeriane a Torino tra desiderio di successo e tutela delle minori.”

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