La biologia dice il vero: famiglia non “famiglie”

La domanda di fondo da cui partire nella nostra indagine se esistano o meno dei “determinanti neurobiologici” dell’identità sessuata, che – detto in termini più semplici – significa se la strutturazione anatomo funzionale del cervello maschile è in tutto identica a quella del cervello femminile, è se essere maschio o essere femmina sia una strutturazione oggettiva che ci portiamo dalla nascita, o se – invece – sia il frutto di una autodeterminazione assoluta, fondata su private categorie culturali di preferenza.

L’immediata conseguenza è la definizione di “persona umana”: questa, infatti, è oggettivabile e rigorosamente descrivibile solo nel primo caso. Al contrario, prevalendo l’autodeterminazione circa l’orientamento sessuale scelto, il concetto di persona si colloca nel mondo delle categorie astratte, variabili, fluttuanti e, quindi, non descrivibili. È il mondo del “GBLTQ” (Gay, Bisexual, Lesbian, Transexual, Queer), che annulla la rigorosa distinzione “uomo/donna”.

Da uomini di scienza, non possiamo e non dobbiamo correre dietro alle opinioni e/o alle mode culturali, perché nostro compito è riferirci a dati oggettivi,,razionali, inequivocabili sotto ogni latitudine.

In questo contesto si inserisce anche il tema del matrimonio e della famiglia. omosessuale, che ricorre quasi quotidianamente sui canali della grande comunicazione,di massa. A livello istituzionale, legislativo e giuridico diviene sempre più, pressante la scelta strategica di legare il nobile e civile principio di “non discriminazione” (universalmente sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo nel  1948, e largamente ripreso dalle Carte costituzionali dei Paesi democratici) al tema della cosiddetta “omofobia” e delle unioni omosessuali, delle quali si richiede con forza il riconoscimento di “famiglia”, con tutti i diritti ad essa correlati.

In una recente sentenza della Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi sul caso di un “matrimonio gay” celebrato all’estero e di cui si chiedeva trascrizione in Italia, si è affermato che “è stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso è presupposto indispensabile, per così dire ‘naturalistico’, della stessa esistenza del matrimonio”.

Accanto allo stupore che ci coglie constatando con quanta leggerezza è diventato abituale strapazzare il ponderoso concetto di “natura”, è proprio su quel “naturalistico” che va posta speciale attenzione: proposto come una categoria culturale antropologica, quindi modificabile sempre e da chiunque, può essere il segno o di una dotta ignoranza (dal verbo “ignorare: non essere a conoscenza di”) della biologia umana, o – peggio – del frutto dell’ideologia che pretende di relegare il dato oggettivo naturale nell’insignificanza di una categoria tradizionale, ormai obsoleta.

A dire il vero, ciò che è più preoccupante non è neppure la deriva ideologica in sé. Questa è figlia del clima relativistico che sta permeando la società globale e che ha portato, ad esempio, la clinica londinese Tavistock (aprile 2011) ad autorizzare un trattamento ormonale bloccante lo sviluppo su bambini minori di 12 anni, che non abbiano ancora manifestato un chiaro orientamento sessuale, al fine di evitare lo stress della comparsa dei caratteri sessuali biologici, in attesa di una loro autonoma scelta di essere maschio o femmina. Anche a casa nostra non mancano episodi in sintonia con quella deriva ideologica. Basti pensare al Comune di Milano ove, con l’anno scolastico 2011, si è proposto alle scuole materne un testo di fiabe, molto ben illustrato, che educhi al principio dell’uguaglianza di varie forme di “famiglie”, con due papà pinguini, due mamme gattine, ed un nucleo “monoparentale” in cui un ippopotamo è contemporaneamente papà e mamma.

Certo si può rimanere “storditi”, ma a imporci una seria riflessione è il fatto che anche i luoghi della più alta elaborazione del pensiero che fa cultura – per ciò stesso destinati a “fare scuola” – abbiano abbandonato (o dimenticato!) lo strumento dell’uso della ragione che, proprio nell’analisi della biologia naturale, è il più sicuro antidoto all’irrazionalità ideologica.

La ragione ci assicura che la diversità sessuale M/F è genetica, ormonale e fenotipica, neurobiologica. La persona umana è una realtà strutturalmente sessuata, descrivibile ed oggettivabile e non una categoria culturale astratta, sottoposta alla libera scelta individuale, espressione di un desiderio, modificabile sulla base dell’autodeterminazione dell’orientamento sessuale.

Il dato di partenza è il sesso genetico: lo zigote femminile è caratterizzato da 44 autosomi + 2 cromosomi sessuali XX. Lo zigote maschile, invece, è caratterizzato da due cromosomi sessuali fra loro distinti, chiamati X e Y.

Il cromosoma Y è il determinante biologico della “mascolinizzazione”. Da lui dipendono la sessualizzazione in senso maschile sia delle gonadi (organi genitali interni ed esterni ed attività ormonale associata), sia dell’intero corpo (caratteristiche sessuali secondarie) ed ora – alla luce dello sviluppo della ricerca neurobiologica – possiamo dire anche del “cervello” (il cosiddetto “cervello sessuato”).

La femminilizzazione, cioè la strutturazione anatomofunzionale in senso femminile, non è un vero processo attivo, ma si compie in quanto è assente (o molto, molto debole) la stimolazione ormonale androginica, governata, appunto, dal cromosoma Y.

Sino alla 7ma settimana di vita gestazionale l’embrione è bi-potenziale; con  la strutturazione dei testicoli (ad opera del cromosoma Y) si delinea la sessualizzazione in senso maschile. In assenza del cromosoma Y, si strutturano le ovaie e l’embrione si sviluppa in senso femminile.

L’importanza della presenza/assenza del cromosoma Y la possiamo trarre anche dalla patologia. In caso di Sindrome di Turner (genotipo XO), mancando l’Y, si struttura un soggetto dotato di ovaie, di sesso femminile; in caso di Sindrome di Klinfelter (genotipo XXY), pur in presenza di due X, la Y ha il “sopravvento” e si struttura un soggetto maschile, dotato di testicoli.

Sul piano ormonale non va dimenticato che androgeni ed estrogeni sono secreti in entrambe i sessi, ma in quantità sensibilmente diverse (netta prevalenza androgena nei maschi, estrogena nelle femmine), ed è inoltre quantitativamente molto diverso il numero di recettori ormonospecifici presenti nei due sessi, con l’aggiunta di un tempo di esposizione al “bombardamento” ormonale assai differenziato.

Stante la situazione genetica e fenotipica che ho cercato di esporre sinteticamente, sarebbe quantomeno ingenuo pensare che il cervello sia escluso da quel processo di dimorfismo sessuale uomo/donna, che coinvolge l’intero corpo, sul piano sia anatomico che funzionale.

In realtà, fin dai primordi dell’anatomia umana si sa che il cervello maschile è mediamente più voluminoso e più pesante di quello femminile, ma si deve solo allo sviluppo tecnologico nel campo del “neuroimaging”, che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni, se siamo giunti all’acquisizione che anche “funzionalmente” possiamo parlare di un “cervello sessuato”, cioè con caratteristiche diverse circa l’attività delle reti neurali, fra maschio e femmina.

Le maggiori differenze di organizzazione funzionale riguardano la funzione di “lateralizzazione” (del linguaggio soprattutto, ma non solo) e l’attività di connessione interemisferica.

Gli studi condotti con risonanza magnetica funzionale (fRMN), tensore di diffusione (DTI) ed emissione di positroni (PET) hanno documentato che il cervello femminile è dotato di una minore specializzazione emisferica (quindi una minore lateralizzazione ed una minore asimmetria funzionale), al contrario di quanto avviene nell’uomo, ove l’asimmetria è marcata, con una netta lateralizzazione dominante destra.

Analizzando più nello specifico queste differenze anatomo-funzionali   si può cogliere la ragione di quelle “diversità” nel tratto e nel comportamento, nell’affettività e nella volizione, nell’emozione e nell’intuizione, che – oserei dire – da sempre abbiamo empiricamente rilevato quando poniamo a confronto il mondo maschile e quello femminile.

IL CERVELLO DELL’UOMO

  •  Giunzione temporo-parietale: più attiva negli uomini, rafforza la loro capacità di analizzare problemi
  • Corteccia parietale: più grande negli uomini, favorisce una spiccata intelligenza spaziale
  • Nucleo pre-ammilare dorsale: più grande negli uomini, li rende più sensibili ad identificare potenziali minacce
  • Area tegmentale ventrale: più attiva negli uomini, è al centro del cervello che produce la dopamina
  • Giunzione temporoparietale: più grande negli uomini, rende più inclini all’attività fisica

IL CERVELLO DELLA DONNA

  • Corteccia pre-frontale: più grande nelle donne, dove si sviluppa circa due anni prima, le rende meno inclini a infuriarsi
  • Corteccia frontale: più complessa e grande nelle donne, ne favorisce la capacità di prendere decisioni
  • Corteccia cingolata anteriore: più grande nelle donne, è la zona delle decisioni istintive, rende le donne più capaci di pensare le diverse opzioni
  • Corteccia insulare: più grande nelle donne, è l’area dell’istinto femminile
  • Amigdala: davanti a un film dell’orrore nelle donne si attiva il lato sinistro più attento ai dettagli, negli uomini quello destro associato all’azione
  • Ippocampo: più grande nelle donne che spesso hanno migliore memoria dei dettagli, piacevoli o spiacevoli

Il che non significa affatto una formulazione di giudizio di qualità e tanto meno di dignità, ma una semplice constatazione di mondi distinti, ma non distanti, nel grande panorama dell’agire umano. Potremmo fare numerosi esempi. Ne accenno qualcuno, a scopo esemplificativo.

L’emisfero sinistro presiede prevalentemente all’attività di ragionamento di tipo “sequenziale”, cioè di elaborazione logica di pensieri che vengono canalizzati uno dopo l’altro. L’emisfero destro, invece, è in grado di effettuare ragionamenti di tipo “parallelo”, cioè di elaborare più operazioni mentali contemporaneamente. La comunicazione interemisferica (fibre commissurali e corpo calloso) rende possibile una reciproca influenza e modulazione. Consente, ad esempio, alle “elaborazioni parallele” dell’emisfero destro di influenzare la logica sequenziale dell’emisfero sinistro, potendo ottenere come risultato una condotta variegata a seconda che prevalga l’uno o l’altro dei due elaborati.

In questa prospettiva neurobiologica, la constatazione di una maggiore attività di connessione interemisferica evidenziata nella donna può dare ragione del dato empirico del “diverso modo di ragionare” (affrontare i problemi e darne soluzione) fra uomo e donna.

L’uomo è tendenzialmente caratterizzato da una “mente lineare”, la cui caratteristica è analizzare i problemi uno per volta, giocando su ciascuno tutta l’attenzione di cui è capace; la donna, per contro, è caratterizzata da una “mente circolare” che la pone in grado di eseguire contemporaneamente più compiti, anche se molto diversificati fra loro.

L’intuito, che potremmo definire come il risultato di un ragionamento parallelo che l’emisfero destro del cervello ha continuato ad elaborare anche al di fuori della funzione cosciente e che è in grado di influenzare il processo sequenziale rigido proprio dell’emisfero sinistro, è notoriamente un patrimonio di cui il sesso femminile è più dotato: il correlato neurobiologico starebbe proprio in quella ricca attività interemisferica che ho precedentemente descritto.

A questo punto potremmo porci una domanda: se il cervello presenta caratteristiche di “sessualizzazione” come quelle che il neuroimaging ci ha permesso di rilevare, come si caratterizza il cervello in caso di “disforia di genere” (GID, Gender Identity Disorder)?

Stiamo riferendoci, in concreto, ad un soggetto di un dato sesso che si percepisce come “imprigionato” in un corpo che avverte “sbagliato”. Una sorta di “disconnessione” fra il pensiero (cioè la “coscienza di sé”) ed il proprio corpo concreto.

Ovviamente, si danno due classi di GID: MtF (Male to Female, da maschio a femmina) e FtM (Female to Male, da femmina a maschio).

Gli studi di neuroimaging hanno documentato una lateralizzazione del linguaggio di tipo maschile in caso di MtF e di tipo femminile in caso di FtM. È interpretabile come una riprova che il cervello ha la medesima sessualizzazione dell’intero corpo, non presentando modificazioni organiche oggettivabili che conducano a ritenere che si tratti di un “cervello di un sesso imprigionato in un corpo del sesso opposto”. Si possono invocare cause diverse (ambientali, biografiche, culturali, educative, familiari) ma non certo cause “organiche” per spiegare la GID.

Ad ulteriore riprova, un dato per nulla trascurabile è rappresentato dal fatto che la terapia ormonale post-natale non modifica la strutturazione cerebrale. Certamente vi sono numerose patologie dello sviluppo sessuale (sesso genetico, sesso gonadico, sesso fenotipico) in grado di coinvolgere e modificare anche il piano della sessualizzazione anatomofunzionale cerebrale, ma si tratta appunto di “patologie”, in nessun modo assimilabili (e non confondibili) alla fisiologia dello sviluppo.

Questo dimorfismo biologico è anche la base di un innovativo approccio clinico, noto come “medicina di genere”. Perché nascono più maschi che femmine (120/100) e i nati a termine sono più maschi che femmine (110/100)? Perché le convulsioni febbrili (140/100) sono più frequenti nei maschi, così come l’autismo, l’oligofrenia o la dislessia? La risposta sta proprio nel fatto che l’identità sessuata M/F (pur essendo certamente influenzata nel suo sviluppo da fattori ambientali e culturali) è rigorosamente determinata da fattori biologici naturali, strutturali, non modificabili sulla base di desideri o scelte individuali.

Il dato “naturalistico”, quindi, ci dice che maschio e femmina sono strutturalmente diversi e complementari, garantendo in tal modo tanto la riproduzione  “naturale”, quanto il “naturale” allevamento/accudimento della prole.

Questa diversità complementare è “primordiale” per ciascun essere umano.

Come già detto, esistono certamente malattie in grado di alterare il processo di sessualizzazione – così come esistono condizioni in grado di scardinare la complementarietà sessuale che sta alla base della fisiologica crescita della prole (cosiddetta “triade relazionale fondante”: donna/madre, uomo/padre, identità figlio/a) – ma va sottolineato che stiamo appunto parlando di eventi patologici, di “guasti”, di “disfunzioni” che, in quanto tali, sono l’opposto della fisiologia, biologica e relazionale.

Questa fisiologia della vita in comune – luogo di complementarietà sessuale, di relazione affettiva, di riproduzione naturale e di crescita della prole – la cultura universale ha convenuto di denominarla “famiglia”. Ne deriva che, proprio sulla base di questi dati razionali, l’unione omosessuale non è assimilabile al matrimonio: gli attori della prima non sono biologicamente uguali agli attori del secondo.

Allora, affrontare in modo diverso il tema del matrimonio e quello delle unioni gay, anche sul piano legislativo e giuridico, non è discriminazione, bensì ovvia conseguenza della loro stessa natura, appunto diversa. Fin qui il dato oggettivo, biologico e razionale; al di là di questo limite, c’è la mistificazione ideologica.

Vorrei concludere, sottolineando alcuni punti che per chiarezza riporto in modo sintetico:

– quando ci si sforza di dare una lettura rigorosa e chiara della complessità della “persona” umana ogni “determinismo” è una chiave interpretativa povera, ingenua e fallace: l’uomo non è i suoi geni, non è le sue reti neurali e non è neppure il semplice prodotto di influenze biografiche socio-culturali;

– l’identità sessuata uomo/donna è il risultato dell’interazione/integrazione di fattori biologici, neuropsichici, culturali e sociali non scindibili fra loro, pena frantumarne l’identità stessa con la conseguenza di una lettura parziale ed erronea;

– la persona umana vive entro una dimensione esistenziale rigorosamente sessuata (maschio/femmina) ed il comportamento sessuale è legato proprio al dimorfismo sessuale; ne consegue che ogni comportamento sessuale in contrasto con il dato fisiologico di appartenenza di genere M/F è in contrasto anche con il dato di strutturazione biologica, scivolando verso l’anomalia o la patologia.

Mi permetto di chiudere con un mio personale giudizio, riguardante il “clima” culturale che caratterizza il tempo in cui ci troviamo a vivere. Prendo in aiuto un filosofo di fine Settecento, per la sagace chiarezza che ci propone, applicandolo ai nostri giorni: “Le bugie somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente sono poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza saperlo.

Così la bugia, soprattutto se detta da persona autorevole o di successo, corre in  tutte le direzioni e lentamente si trasforma in verità, se non ci sottomettiamo alla fatica della verifica e della critica” (Joseph de Maistre, 1753-1821). Penso sia quanto sta accadendo oggi quando si affrontano i temi della vita, della procreazione, della famiglia, della morte: non sottraiamoci alla fatica della verifica, rendendoci complici – magari inconsapevoli – del diffondersi di “ideologiche” bugie.

Massimo Gandolfini- da Quaderno n.10 di Scienza e Vita

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