Maternità: il Rapporto CeDAP e la risoluzione del Parlamento Ue

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Il Rapporto annuale sull’evento nascita in Italia, pubblicato il 15 giugno dal Ministero della Salute, ha destato profonda preoccupazione. L’analisi dei dati rilevati per l’anno 2019 evidenzia una situazione allarmante riguardante la fecondità nel paese. Il numero medio di figli per donna è sceso a 1,22, confermando il trend decrescente degli anni precedenti (rispetto a 1,46 nel 2010).

Ancora più inquietante è il continuo calo delle nascite nell’intero territorio italiano nel corso del 2019. Questo fenomeno, attribuito principalmente alla modifica della struttura per età della popolazione femminile e alla diminuzione della propensione ad avere figli, si prevede che peggiorerà ulteriormente nella prossima rilevazione a causa degli effetti della pandemia da Covid-19.

Sebbene le cittadine straniere abbiano finora compensato in parte questo squilibrio strutturale, si osserva una diminuzione della fecondità anche tra le donne straniere negli ultimi anni. L’88,8% dei parti avviene negli istituti di cura pubblici ed equiparati.

Inoltre, preoccupa il persistente ricorso eccessivo al parto cesareo, che rappresenta in media il 31,8% dei parti, con notevoli differenze tra le regioni. Le donne italiane presentano un tasso di taglio cesareo più elevato rispetto alle donne straniere, con il 32,9% dei parti di madri italiane e il 27,1% dei parti di madri straniere.

Il rapporto evidenzia anche l’aumento dell’età media della madre al momento del parto, che raggiunge i 33 anni per le italiane e i 30,7 anni per le cittadine straniere. In particolare, l’età media al primo figlio supera i 31 anni per le donne italiane, con notevoli variazioni tra le regioni del Nord e quelle del Sud.

Per quanto riguarda le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) nel 2019, su un totale di 415.070 schede pervenute, sono state effettuate 12.729 gravidanze con l’ausilio di tali tecniche, corrispondenti a una media di 3,06 gravidanze ogni 100. La fecondazione in vitro con trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET) risulta essere la tecnica più utilizzata, coinvolgendo il 41,2% dei casi, seguita dalla fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoi nel citoplasma (ICSI), che riguarda il 32,8% dei casi. Si evidenzia una notevole variabilità territoriale nell’uso delle diverse metodiche.

Preoccupante è anche un recente articolo pubblicato su Human Reproduction che solleva dubbi sulla salute dei bambini nati attraverso tecniche di procreazione assistita. La ricerca indica che questi bambini presentano differenze nello sviluppo precoce rispetto a quelli concepiti naturalmente, anche se raggiungono la stessa altezza e peso entro i 17 anni.

Oltre alla situazione critica in Italia, l’approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento dell’Unione Europea solleva ulteriori preoccupazioni. Questa risoluzione, sebbene non vincolante per gli Stati, promuove una visione specifica della vita umana e dei diritti riproduttivi e sessuali. Qualifica l’interruzione di gravidanza come un diritto umano e un “servizio medico essenziale”, incoraggiando gli Stati membri a garantire l’accesso universale all’aborto sicuro e legale nelle prime fasi della gravidanza e oltre.

La risoluzione estende anche la questione dell’infertilità alle coppie formate da soggetti dello stesso sesso, aprendo la porta alla fecondazione eterologa e alla maternità surrogata, pratiche non consentite in Italia dalla legge. Inoltre, si sollevano preoccupazioni riguardo all’obiezione di coscienza dei medici, sostenendo che non dovrebbe interferire con il diritto dei pazienti di accedere ai servizi sanitari.

L’Unione Europea incoraggia anche l’introduzione di un’educazione sessuale “completa” nelle scuole primarie e secondarie, al fine di garantire tali “diritti”. Questo tentativo di fornire ai minori una visione ideologica e parziale del diritto alla salute, insieme a una concezione distorta di maternità e famiglia, suscita ulteriori preoccupazioni.

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